UN DOCUMENTO INEDITO DIMOSTRA CHE LO SVERSAMENTO
È CONTINUATO DAL 2000 IN POI. SI CERCÒ DI OCCULTARE LE PROVE
di
Melissa
Di Sano
e
Antonio Massari
Non
solo negli anni
Sessanta.
Ma anche
dal
2000 in
poi:
“Otto tonnellate
di
clorometani vanno in
fiume
ogni anno”. È questo il
prossimo
colpo di scena: un
documento
dimostra
che
ancora negli anni
2000
la Montedison sapeva
e
continuava a inquinare.
Quando
la Guardia forestale,
nel
2007, sequestrò
l’archivio
storico
Ausimont
Montedison,
scoprì
la massiccia contabilità
dell’inferno
scatenato
nelle
falde acquifere.
Che 8
tonnellate di
clorometano
– sostanza
incolore,
inodore, tossica
e
cancerogena – finisse
nel
fiume ogni anno,
non
soltanto era noto,
ma
persino messo in
conto,
nero su bianco,
con
grafia scritta a mano,
nella
corrispondenza interna
che il
Fatto Quotidiano è
in
grado
di pubblicare. Atti confluiti
nel
processo e nell’udienza
di
ieri, dinanzi alla Corte
d’assise
di Chieti, dove i pm
Giuseppe
Bellelli e Annarita
Mantini,
in una requisitoria
durata
ben sette ore, hanno
spiegato
che il polo industriale
di
Bussi – fino a tutti gli anni
Sessanta
– ha sversato nel fiume
Tirino
una tonnellata al
giorno
di veleni. Il processo ai
vertici
Montedison dell’impianto
abruzzese
conta 19 imputati
e 27
parti civili. Ed è
sempre
più chiaro, stando all’accusa,
che la
Montedison
conoscesse
i rischi. E se fino al
1992,
secondo l’accusa, è ravvisabile
la
colpa, dal '93 in poi
c'è
il dolo: lo spartiacque – secondo
i pm –
è l'audit di un
consulente
esterno che, nel '92,
arriva
in Montedison e intervista
operai
e capireparto. Poi
scrive
una relazione: avverte la
Montedison
dell’esistenza di
pozzi
inquinati. Ne segue una
riunione
in azienda, salvo poi
affermare,
nel ‘94, che “la situazione
ambientale
è migliorata”.
Secondo
i pm, da questo
momento
in poi, Montedison
inizia
a negare e a occultare
consapevolmente.
“Nel ‘92 –
dice
il pm Bellelli nella requisitoria
– sanno
che vi è un cancro:
è la
discarica, che disperde
nelle
falde acquifere le metastasi,
come
attraverso le vene”.
L’accusa
mostra in aula un documento
del
1992, una sorta di
“confessione”,
nel quale
si
citano i problemi –
legati
al clorurato –
nell’acquedotto
Giardino.
Che le
analisi dovessero
risultare
addomesticate,
poi, è
chiaro
leggendo
la corrispondenza
interna
che Il
Fatto
ha
potuto visionare.
I dati
di tale Piazzardi,
per
esempio, dovevano
essere
letteralmente
“tolti”.
In merito ai clorometani,
nel
documento,
leggiamo:
“Si
toglie
l’analisi di Piazzardi
e si
mettono i nostri
valori
‘corretti’…”.
Analisi
sulle acque:
“Pb,
correggere valore…
Piazzardi”.
E soprattutto,
sul
“piano di caratterizzazione”
per
Bussi, ecco la strategia:
“L’inquinamento
non esce,
non
c’è emergenza, ma bonifica
da
risolvere con le autorità…”.
È
questo il tenore degli
atti
in possesso dell’accusa. Il
dipendente
Montedison Gabriele
Toto,
nel 2011, pochi
mesi
prima di morire, descrive
ai pm
un reparto del polo in
industriale:
operai
sostituiti
spesso,
perché ammalati di
cancro
alla vescica, proprio lì,
dove
erano a contatto con la
benzidina
per produrre un colorante.
Pochi
giorni fa Marco
Lombardo,
presidente della
Lega
italiana tumori di Pescara,
per
molti anni primario del
reparto
di Oncologia, ha dichiarato:
“Nella
zona di Bussi
abbiamo
rilevato una maggiore
concentrazione
di tumori
urologici
rispetto al resto dell'Abruzzo:
in
quel territorio,
l’incidenza
di neoplasie alla
vescica
è sicuramente superiore
al
resto della regione”.
TOTO
RACCONTA agli
inquirenti
scene
raccapriccianti. Dice
d’aver
visto una lepre, con
due
leprotti, brucare l’erba nell’area
della
discarica: l’animale
muore
sotto i suoi occhi in pochi
minuti.
Eppure, già nel
1972,
l’assessore pescarese
Giovanni
Contratti aveva denunciato
il
comportamento tenuto
da
Montedison. In una
lettera
interna alla Montedison,
un
dirigente, dopo un incontro
con
l’assessore comunale,
avverte
che “l’atmosfera è
cambiata”
e che “Contratti andrà
fino
in fondo”. Era il 1972 e
l’assessore
intimava alla Montedison
di
dissotterrare i veleni.
Quattro
anni dopo, come
dimostra
una lettera mostrata
in
aula dai pm, alcuni dirigenti
Montedison
segnalano che il
materiale
è fortemente acido:
c'è
il rischio che i cassoni di cemento
vengano
addirittura disgregati.
Ma
bisogna aspettare
il
2007 perché il disastro venga
alla
luce e gli abruzzesi inizino
a
sapere. L’istituto superiore di
Sanità,
nei suoi documenti, denuncia
che la
popolazione non
è
stata adeguatamente informata.
Tra i
pochi a denunciare,
c’era
Augusto De Sanctis, del
Forum
Abruzzese dei Movimenti
per
l’Acqua, che oggi
chiede
di “monitorare tutta la
valle
e avviare le azioni di disinquinamento”.
il fatto quotidiano 5 aprile 2014
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