Affari indicibili compiuti da malavitosi e imprenditori spregiudicati. Alcuni fatti di nascosto, tenuti segreti per lunghi anni, e altri addirittura autorizzati dalle istituzioni. Veleni buttati a fiumi nel sottosuolo, danneggiando l’ambiente e la salute dei cittadini. Montagne di denaro legato all’ecobusiness, per cui più volte è stato avanzato anche il sospetto che siano alla base di un omicidio, quello del parroco del posto. Mafie e coperture politiche. Pochissime voci pronte a denunciare e a raccontare quello che i più hanno preferito restasse sotto silenzio. Ancor più rare le indagini e in larghissima parte finite con archiviazioni. Questo e molto altro ancora sono da decenni Borgo Montello e la discarica con cui viene ormai associato il nome di quel lembo di agro pontino, la quarta più grande d’Italia. Una realtà inquietante che, nell’ultimo mezzo secolo, ha visto i più scegliere di voltare le spalle e far finta di non vedere e non sapere. Un buco nero. A mettere in fila le tessere sparse di un puzzle oscuro, cercando di scrivere una storia completa della monnezza che ha devastato quell’area e a portare anche alcuni elementi nuovi per meglio comprendere quanto accaduto, è stata la commissione parlamentare contro le ecomafie. Un organismo presieduto dall’onorevole Alessandro Bratti, che solo di recente ha ceduto il testimone alla collega Chiara Braga. L’ennesimo documento-choc su Montello, forse il più completo sinora redatto, che come troppe volte è accaduto in passato è stato sostanzialmente ignorato dalle cronache e su cui nessuno ha aperto un serio dibattito. Nonostante nella relazione sul ciclo dei rifiuti di Roma Capitale e i fenomeni illeciti nel territorio del Lazio, approvata dalla commissione parlamentare d’inchiesta il 20 dicembre scorso, l’unica chiara e pesante traccia di mafie nell’ecobusiness della regione sia stata trovata proprio a Borgo Montello.
Gli affari legati alla monnezza nella zona sono iniziati attorno al 1971 e sono andati avanti fino ad oggi, con la discarica ferma, almeno al momento, essendo esauriti gli spazi sinora autorizzati per smaltire rifiuti, dopo che lì sono finiti, secondo le stime fatte, oltre sei milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani.Un sito attualmente gestito da due società, la Indeco, del gruppo Green Holding di Milano, destinataria di un recente sequestro con l’accusa di aver abbancato più rifiuti di quelli per cui era autorizzata, e la Ecoambiente, le cui quote sono parte della Latina Ambiente – società mista composta dal Comune di Latina e dal gruppo Colucci, fallita e sostituita dalla giunta di Damiano Coletta con la ABC – e parte delle società di Manlio Cerroni, a lungo monopolista di tale business nella capitale, tanto da essere definito l’ottavo re di Roma, e che la Dda ritiene aver dettato legge nel Lazio grazie a numerose complicità anche all’interno delle istituzioni. “La storia della discarica – scrivono i commissari – è complessa e, per molti aspetti, ancora nebulosa”. Vi “aleggia da anni il sospetto di un utilizzo illecito per lo sversamento di rifiuti industriali pericolosi, sotto forma di fusti o di fanghi”. “Lo stesso collaboratore di giustizia Carmine Schiavone – proseguono – ha parlato di collegamenti tra il clan dei Casalesi e la discarica di Latina, indicando – nel 1996 a sommarie informazioni e poi, poco prima della sua morte, in interviste a diverse testate giornalistiche – nomi e circostanze riconducibili a sversamenti illeciti di rifiuti nell’area della discarica”.
A PAGINA 2 – “ISTITUZIONI ASSENTI”
A PAGINA 3 – “I VELENI”
A PAGINA 4 – “LA CACCIA AL CIMITERO DEI RIFIUTI”
A PAGINA 5 – “I TENTACOLI DEI CASALESI”
A PAGINA 6 – “L’OMICIDIO DI DON BOSCHIN”
A PAGINA 7 – “LA PIAGA S0”
A PAGINA 8 – “LA FALDA AVVELENATA”
A PAGINA 9 – “LA RECENTE INDAGINE DELLA MOBILE
A PAGINA 10 – “LE TESTIMONIANZE CHOC”
A PAGINA 11 – “LA POLITICA”
A PAGINA 12 – “LE CONCLUSIONI”
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