martedì 23 dicembre 2014

“Il reato di disastro ambientale non è incostituzionale, ma non c’è”

DIFETTI DI LEGGE
La norma attuale
sarebbe comunque
un’arma spuntata,
per la misura (bassa)
e la prescrizione
scatta in tempi brevi”
Caro direttore, io non
temo affatto che il reato
di disastro ambientale
possa essere incostituzionale
(il Fatto Quotidiano di sabato 20 dicembre).
Al contrario, sostengo che, purtroppo,
quel reato non è finora previsto dal nostro
Codice penale e auspico che possa entrarvi
al più presto (com’è noto, dopo i tentativi
falliti nelle precedenti legislature, il ddl sui
delitti contro l’ambiente, approvato in febbraio
dalla Camera, è all’esame delle commissioni
Giustizia e Territorio del Senato).
Ritengo – questo è vero – che l’attuale articolo
434 del Codice penale
sarebbe (parzialmente)
incostituzionale se, come
sostiene una parte della
giurisprudenza, si volesse
includere il disastro ambientale
nel generico “altro
disastro” previsto e punito
da quell’articolo. E questo
perché la Costituzione prevede
che i comportamenti
e i fatti di rilievo penale siano
espressamente previsti
dalla legge (princìpi di determinatezza
e tassatività).
Inoltre, la norma attuale
sarebbe comunque un’arma spuntata, perché
la misura (bassa) della pena minima, e la
difficoltà di prolungare nel tempo il momento
in cui il reato si “consuma”, fanno sì
che la prescrizione scatti in tempi abbastanza
brevi, perfino anteriori al verificarsi degli
effetti dannosi, ed eventualmente delittuosi,
sulla popolazione e l’ambiente. L’epilogo recente
del caso Eternit in Cassazione, e quello
recentissimo – sia pure di primo grado,
quindi non definitivo – per la discarica di
rifiuti tossici e pericolosi nella Valpescara,
stanno lì a dimostrarlo. Sulla questione la
giurisprudenza non si è consolidata. Per
questo la Corte costituzionale, in una sentenza
del 2008 di cui fui relatore (n. 327),
ritenne non fondata la questione
di legittimità costituzionale
(come sempre avviene
quando, di una norma,
siano possibili più interpretazioni,
almeno una delle
quali non sia incostituzionale).
Ma avvertì che se la giurisprudenza
si fosse consolidata
nell’interpretazione, per
così dire, “estensiva” dell’a rticolo
434 Codice penale,
avrebbe potuto riconsiderare
la questione. Soprattutto, definì
auspicabile che (...) il disastro
ambientale (formi) oggetto
di autonoma considerazione da parte
del legislatore penale, anche nell’ottica
dell’accresciuta attenzione alla tutela ambientale
ed a quella dell’integrità fisica e della
salute”. Siamo ancora in attesa del legislatore.
Naturalmente l’assenza di un reato
specifico non esclude la possibilità di sanzionare
i danni alla salute e alle persone,
come le lesioni, le patologie permanenti, i
decessi (ma l’esperienza mostra la difficoltà
almeno ai fini processuali – di stabilire il
nesso diretto tra il danno ambientale e il
danno alla salute delle singole persone,
quando sia differito nel tempo). Soprattutto,
non esclude i risarcimenti in
sede civile e l’obbligo amministrativo
di bonifica dei
luoghi inquinati. Luigi Ferrarella,
sul Corriere della Sera
di sabato 20 dicembre, lo ha
ricordato con una immagine
efficace: per le aziende colpevoli
dei disastri può essere
più temibile il “fucile di precisione”
delle azioni civili e
amministrative, di un “b azooka
penale” che spari a
salve. Caro direttore, consideri
questo mio intervento –
per il quale le chiedo ospitalità
un contributo al dibattito
e, soprattutto, alla soluzione
di un problema grave;
non già una rettifica ai
sensi della legge sulla stampa,
assolutamente non dovuta
perché Antonio Massari
ha correttamente citato in
due occasioni la mia posizione
e l’estraneità al processo
di Chieti, tenendo conto delle mie risposte
telefoniche alla sua richiesta di chiarimenti.
Semmai mi riservo di verificare e
approfondire quanto avrebbe detto in aula
(uso il condizionale perché il rito abbreviato
si svolge a porte chiuse, come pure è stato
ricordato negli articoli) l’avvocato dello Stato,
definendo il parere pro veritate da me reso
in altro processo, “un messaggio per i giudici
di Chieti” (il Fatto Quotidiano di venerdì
19 dicembre 2014). Un’insinuazione di questo
tipo deve essere valutata in altre sedi. La
mia posizione è nota da tempo agli addetti ai
lavori e anche ai non tecnici (da ultimo, ne
ho parlato nell’intervista al Corriere della Sera
del 22 novembre). Soprattutto, non è mia
abitudine inviare messaggi trasversali, intimidatori
o mafiosi a nessuno, perché metto
la firma e la faccia solo
sulle cose che penso. Da
quando ho lasciato la Corte
costituzionale, e concluso
alcuni incarichi da civil servant
, sono numerose le richieste
di parere che ricevo,
ma assai rari i pareri che
esprimo. Il motivo è semplice:
i pareri pro veritate r i g u a rdano
questioni di diritto
(non fatti specifici) e sono
chiesti dalla difesa degli imputati
per rafforzare la propria
linea difensiva e la posizione
del cliente. Io non
utilizzo la mia competenza
giuridica per sostenere in
qualche modo tesi che portino
acqua al mulino della
difesa. Studio la questione,
anticipo le mie conclusioni,
e chiedo al collega se davvero
sia interessato alla mia
opinione. Il più delle volte
l’esito è negativo: l’avvocato
riferisce al cliente la cattiva
notizia del parere mancato, e
la buona notizia della parcella risparmiata.
Anche per questo troverei intollerabile l’i nsinuazione
di utilizzare l’autorevolezza derivante
da passati incarichi istituzionali, per
esercitare pressioni sui giudici. Grazie per
l’ospitalità
10 MARTEDÌ 23 DICEMBRE 2014
VELENI D’I TA L I A il Fatto Quotidiano


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