giovedì 26 maggio 2016

Terra dei fuochi senza pace, 39 indagati per un traffico di rifiuti

Nuova inchiesta sul territorio dove ancora ci sono le discariche della camorra da bonificare. Questa volta un gruppo di imprenditori avrebbe smaltito gli scarti dei cantieri senza ripulirli. E in alcuni casi venduto il materiale a imprese di laterizi, che successivamente hanno prodotto mattoni "fragili" per uso civile

di Giovanni Tizian Non ha pace la terra dei fuochi. Tra promesse di bonifiche, mai realizzate, e nuove indagini sui traffici illeciti di rifiuti. L'ultima inchiesta coordinata dai procuratori aggiunti, Giuseppe Borrelli e Filippo Beatrice, della procura antimafia di Napoli e svolta dai carabinieri del Noe ha svelato un sistema collaudato di smaltimento illegale di materiale di scarto proveniente dai cantieri edili.

Scarti sui quali le società coinvolte non hanno svolto alcuna analisi e verifica per capire la loro composizione. E in alcuni casi persino miscelati e poi rivenduti a imprese che producono laterizi. In pratica mattoni prodotti coi rifiuti.

In tutto sono 39 gli indagati, per 14 di questi il giudice per le indagini di Napoli ha ordinato gli arresti e per quattro indagati il divieto di dimora. Tra i reati contestati anche quello di associazione per delinquere. Per un giro d'affari di diversi milioni di euro. In soli sei mesi, per esempio, il gruppo ha movimentato "merce" per 1 milione e 100. A questi si devono aggiungere altri viaggi e altre commesse.

Il comune vittima di questa ultima cricca dei rifiuti è sempreGiugliano. Il Comune dove il clan dei Casalesi aveva le sue discariche più importanti. Come per esempio la Resit che fu dell'avvocato Cipriano Chianese, il re dell'Ecomafia, sotto processo per disastro ambientale.

Le misure cautelari riguardano, tra gli altri, Toni Gattola, titolare di una società di consulenza ambientale (Omega Srl), e tre componenti della famiglia Liccardi, titolari della Eu.Sa.Edilizia Srl, nonché i titolari della “San Severino ricomposizioni ambientali” (Massimo Capuano, Enrico Micillo, Gennaro Pianura), il titolare della società Te.Vin Srl (Crescenzo Catogno), e quelli della Neos (Biagio Illiano, Antonio e Luigi Carannante), insieme a collaboratori e dipendenti delle società coinvolte nell’indagine. Decine, poi, le perquisizioni. Dalla Sicilia alla Lombardia.

Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri del Noe, i traffici illeciti hanno «riguardato anche i lavori di ripulitura dell'alveo di via Cirillo del Comune di Quarto in cui gli indagati hanno smaltito illecitamente i rifiuti speciali, non pericolosi, accatastandoli sulle sponde del canale e nei terreni circostanti, «con successiva copertura con terreno vegetale».

Per capire il giro d'affari, gli inquirenti e i detective hanno studiato i flussi dei trasporti: da novembre 2011 sino a settembre 2014 la San Severino ricomposizioni ambientali (principale protagonista dell'inchiesta) «ha fatturato la somma totale  329.476 euro (al netto di IVA), ritirava 13.317 carichi corrispondenti a circa 200.000 tonnellate (stimando una media di 15 tonnellate a carico)». 

Il raggiro dei furbetti però non ha tenuto conto del rischio intemperie. Così la pioggia ha provocato una piccola frana svelando l'immondezzaio. L'altro metodo escogitato era «l'occultamento nella vasca di laminazione dell'alveo o nel luogo da cui erano stati rimossi i rifiuti, con conseguente ostruzione del flusso delle acque». Secondo le indagini, «la gestione illegale avveniva mediante la ricezione e miscelazione illecita dei materiali e la loro provenienza da varie imprese senza essere abilitati a riceverli».

Le indagini del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Caserta sono partite in seguito a un esposto anonimo. Nel documento veniva denunciato il sistema di raccolta, stoccaggio e commercio di inerti “speciali”. Da qui gli investigatori hanno ricostruito la filiera: «Presso una cava, autorizzata ad effettuare operazioni di ricomposizione ambientale in realtà venivano smaltiti i rifiuti provenienti da demolizioni di edifici della città e provincia di Napoli, senza essere sottoposti a processi di separazione, vagliatura e macinazione mediante apposito impianto, peraltro in una zona a rischio idraulico, così come individuata dall'Autorità del Bacino Nord Occidentale della Campania».

Lo stesso traffico, secondo i militari dell'Arma, «è stato ricostruito presso una seconda cava», sempre nel comune di Giugliano in Campania. In questo caso è emerso «come gli indagati miscelassero i rifiuti provenienti dalle demolizioni con la pozzolana prodotta nella cava, rivendendone il miscuglio a un'industria produttrice di laterizi e cemento, la Moccia di Caserta. «Presso lo stabilimento di Montesarchio la polizia giudiziria accertava che i mattoni prodotti con tale pozzolana diventavano di colore giallo ed erano fragili perché attraversati da buchi. I controlli hanno infatti stabilito come i mattoni, destinati all'edilizia civile, presentassero una particolare fragilità», osservano i carabinieri. «Stanno prendendo i campioni di Pozzolana, perché con questa Pozzolana che ci mettono dentro dice che i mattoni non stanno uscendo buoni», rivela uno degli indagati intercettato.

In questo business non poteva mancare l'ombra della camorra. In questo caso il clan sotto accusa è il noto Polverino. Infatti, per alcuni degli indagati la procura contesta anche l'aggravante di aver favorito i camorristi di questo gruppo che domina a Marano di Napoli e dintorni. Ipotesi non condivisa dal Gip, che non ritiene sufficienti le dichiarazioni dei pentiti inseriti nella richiesta dei magistrati.

Tra queste, alcune gettano un'ombra su Crescenzo Catuogno, detto "Motosega", imprenditore coinvolto nel traffico.

Così il collaborato Roberto Perrone: «Un imprenditore di Quarto, Catuogno Crescenzo, che gestisce un’impresa di movimento terra, molto vicino al clan Polverino mi disse che lui tramite il figlio di ...omissis... al quale aveva già fatto dei lavori in passato, era interessato ad entrare nel consorzio e mi chiese se potevamo io e Polverino investire dei soldi. Io diedi il mio assenso e gli dissi di andare avanti...il clan aveva cominciato a sponsorizzare Crescenzo Catuogno, detto “Motosega”, legato strettamente a Giuseppe Perrotta e Giuseppe Polverino. Quest’ultimo investe direttamente i loro soldi per cui si è imposto pesantemente ed improvvisamente sul mercato, diventando vero e proprio monopolista in Quarto. Significativo il fatto che anche le commesse inizialmente assicurate a mio cugino passarono tutte a Catuogno». Insomma, il meccanismo sembra ripetersi a distanza di anni. Imprenditoria collusa e camorra a braccetto, ognuno per il proprio tornaconto. Insieme per distruggere il territorio.http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/05/25/news/terra-dei-fuochi-senza-pace-1.267333?ref=HEF_RULLO

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