domenica 19 agosto 2012
Clini smentito sull'ultima bugia Ilva di Taranto, risanare si può chiudendo
Clini smentito dagli ambientalisti, chiudere l'Ilva di Taranto e risanare si può
Chiudere e risanare si può l’ultima bugia di Clini “OTTO MESI PER FAR RIPARTIRE L’A LT OFOR NO” NON È VERO, DICONO OPERAI E AMBIENTALISTI Nel 2009 Riva fermò 4 impianti su 5: c’è la crisi meglio p ro d u r re di meno di Salvatore Cannavò Il Fatto quotidiano 19 agosto 2012 Il ministro Clini è stato apocalittico: “Se si chiude l’im - pianto a caldo finisce l’I l va , ci vogliono 8 mesi per spegnere tutto, più altri mesi eventualmente per farlo ripartire. Nel frattempo il mercato dell’acciaio non aspetta”. Accettare le prescrizioni del gip di Taranto, in base a questo ragionamento potrebbe essere una cat a s t ro fe . Chiudere è possibile “A me sembra che stiano giocando” spiega al Fatto France - sco Maresca, operaio Ilva per 35 anni, andato in pensione con la legge sull’amianto, e componente di un originale gruppo di lavoro che riunisce ex operai dell’acciaio, Legambiente, Libera, una ricercatrice dll’Istituto Ernesto Martino. Hanno redatto un documento intitolato “Produrre acciaio pulito è possibile” r ifacendosi agli studi sui processi Corex e Finex progettati dalla Siemens. Su Clini non hanno dubbi: “Fa allar mismo”.“All’Ilva ci ho lavorato una vita e sono sicuro che per riattivare un altoforno bastano 2 o 3 settimane” af ferma Maresca, confortato da un altro componente del gruppo, Leo Corvace, del direttivo di Legambiente, grande esperto dell’I l va . Insomma, chiudere gli altiforni per ristrutturarli è possibile e l’unico limite è il costo. Lo hanno confermato al Fatto anche ingegneri del ministero dell’Ambiente che preferiscono mantenere l’anonimato. Anche chiudere le altre due aree più velenose, l’a gglomerato (dove si mescola il minerale ferroso) e la cokeria (dove si distilla il carbone) può farsi senza problemi. Tanto che le cokerie sono già state chiuse nel 2002 dopo l’intervento della Procura. “Allora l’Ilva - ricorda Corvace - preferì chiudere le batterie piuttosto che adempiere alle prescrizioni della Procura. Poi, grazie all’intesa regionale siglata con l’allora giunta Fitto, le riaprì senza però mettersi in re go l a ”. La chiusura degli altiforni, invece, è resa possibile dal loro numero (sono 5ma attualmente ne funzionano 4) e quindi dalla possibilità di lavorare “a moduli”. Se ne può chiudere uno, lavorare al risanamento e nel frattempo continuare con gli altri. Lo conferma un testimone d’eccezione, Emilio Riva, in un’intervista al Sole 24 Ore del 2009, in cui spiegava la strategia contro la crisi internazionale: “Preferisco tenere i siti produttivi fermi al 60-70 per cento, con quattro altiforni (...) ricorrendo alla cassa integrazione”. Se l’Ilva si ferma L’altro allarme riguarda le conseguenze della chiusura sull’economia cittadina. Difficile contestare l’impatto su Taranto di un’azienda con un fatturato di circa 6 miliardi di euro, che paga stipendi per circa 750 milioni a una forza lavoro, diretta e indiretta, di 15mila operai. Solo che, anche in questo caso, l’allarme sulla chiusura dell’Ilva è spropositato. Nessuno sta proponendo per la città un futuro a pane e acqua. Le posizioni più “ra d i c a l i ” ipotizza - no l’impiego della forza lavoro per la stessa bonifica e poi per sostenere un progetto di riconversione. Ma la proposta maggioritaria è quella che punta alla ristrutturazione degli impianti e al loro mantenimento. Legambiente, ad esempio, ha presentato “26 punti irrinuncia bili” in cui si chiede la “co - pertura dei parchi minerali, la chiusura di un altoforno, nuove tecnologie e, in particolare, la riduzione della produzione a un massimo d 9 milioni (oggi sono 10) con la prospettiva di scendere a 6. “E’ il massimo sostenibile da Taranto” dice Corvace, ricordando che i guai sono aumentati quando la produzione di Cornigliano, nel frattempo chiusa,è stata trasferita nello stabilimento pugliese. Nessun abbandono della città. quindi ma interventi di riqualificazione, anche imponenti. E del resto, prima di prendere le mazzette da Archinà, il perito Liberti, allora Rettore del Politecnico, nel 2005, pubblicò uno studio di fattibilità sulla copertura dei parchi per evitare la dispersione di polveri. Progetto che oggi è ritenuto impossibile dall’azienda. Che ovviamente vuole spendere il meno possibile. Al massimo, 146 milioni che però “non sono un granché” dicono Corvace e Maresca. Solo che quando si parla di soldi non si conteggiano i benefici avuti dai Riva: finaziamenti pubblici, cassa integrazione, l’Ilva “re g a l a t a ” dallo Stato. E poi gli stipendi. Fino al 2000, ad esempio, la vecchia generazione operaia, mandata in pensione anticipata con la legge sull’amianto, era inquadrata al sesto livello. Oggi il grosso dei dipendenti è inquadrato al terzo livello. Anche per questo Riva non lascerà mai Taranto - conclude Maresca - perché Taranto è redditizia”.
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