lunedì 23 febbraio 2009

In Inghilterra orti contro la crisi, a Pontinia le biomasse, chi avrà ragione?

In Inghilterra orti contro la crisi, a Pontinia le biomasse, chi avrà ragione?
In Inghilterra 100 mila persone hanno deciso di tornare alla cura dell’orto contro la crisi per coltivarsi frutta e verdura in proprio.
Sempre in Inghilterra (e non solo) si sta facendo un processo di inversione rispetto ai grandi centri commerciali alla ricerca dei piccoli mercati, della vendita diretta dei prodotti agricoli e dei piccoli negozi.
Latina e la sua provincia dopo aver esageratamente superato gli spazi programmati per i grandi centri commerciali sta pensando di crearne altri, pensando in questo modo di invertire la crisi.
A Pontinia qualcuno vorrebbe poi far credere che le piantagioni di biomasse potrebbero ridar fiato a quelle poche aziende locali che sono sopravissute al Crac Parmalat, alla chiusura di altri grandi aziende (caseifici, zuccherificio, ridimensionamento di altre grande aziende), alle quote latte.
Andando a vedere quello che è successo invece nella mitica padania scopre che un’altra centrale a biomasse, simile a quella progettata per Pontinia, dopo circa 7 anni è riuscita a concludere contratti con le aziende per la fornitura di appena un decimo del fabbisogno.
Quindi, sembrerebbe confermare che, da una parte non è conveniente il ricorso a questo tipo di coltura, dall’altra che ci vuole metà del ciclo vitale di questo tipo di centrale (secondo i biomasse fans club 15 anni), per arrivare ad 1/10 della potenza per la quale la centrale è stata progettata.
Ciò vorrebbe dire che hanno ragione università, amministrazione provinciale, comune di Pontinia a dire che il sistema non è conveniente, né adatto al territorio, né dimensionato in base alla produttività locale?
Sempre dalla Padania (quanta cultura e quante informazioni ci arrivano da lì) si apprende che per compensare la produzione di anidride carbonica da una centrale a turbogas (simile a quella progettata a Pontinia) occorre piantumare il doppio delle piante di pioppo presenti oggi in Italia.
Mi sa che qualcuno oltre a negare il principio di Lavoisier (si impara in fisica già alle scuole medie) dovrebbe tornare alle scuole elementari di matematica dove si dovrebbero apprendere (almeno) addizioni e sottrazioni per capire che se la spesa è maggiore del guadagno forse è meglio cambiare argomento.
Già perché qualcuno vuole negare che nulla si crea e nulla si distrugge, negando anidride carbonica e diossina e qualcun altro vorrebbe far credere che con impianti inutili (la regione Lazio produce il doppio dell’energia che consuma) si aumentano le emissioni, anziché ridurle.
O forse pensiamo che a sbagliare siano gli scienziati, gli statisti e i governanti che hanno proposto, approvato il protocollo di Kyoto e la comunità europea?
Pontinia 23 febbraio 2009 Ecologia e territorio Giorgio Libralato
Orti anti-crisi
di BARBARA LOMONACO

La grande crisi sembra spingere i sudditi di sua Maestà a riconsiderare le gioie dell'orto sotto casa. Tanto che il National Trust, davanti a una lista di attesa di 100mila persone, ha deciso di usare la terra delle dimore storiche per dare ai britannici la possibilità di coltivarsi frutta e verdura in proprio
L'ultima volta che i britannici imbracciarono in massa vanga e zappa i bombardieri della Luftwaffe sganciavano tonnellate di bombe sopra i cieli di Londra. E Churchill lanciò la campagna 'dig for victory', ovvero convertire i parchi pubblici alla coltivazione di patate e cavoli. Oggi la situazione non è altrettanto tesa ma la grande crisi sembra spingere i sudditi di sua Maestà a riconsiderare le gioie dell'orto sotto casa. Tanto che il National Trust, davanti a una lista di attesa di 100mila persone, ha deciso di usare la terra delle dimore storiche per dare ai britannici la possibilità di coltivarsi frutta e verdura in proprio.
La richiesta di 'allotment' - piccoli appezzamenti di terra a uso agricolo spesso piazzati anche nel centro delle città - è infatti negli ultimi mesi esplosa. Così il National Trust, la Ong britannica che si occupa della gestione del patrimonio culturale del Regno Unito, ha deciso di mettere a disposizione dei cittadini 1.000 nuovi 'allotment' ricavandoli dalle terre incolte e non utilizzate che sono parte dei suoi poderi. Non pochi, visto che il National Trust è il più grande 'latifondista' privato di tutta la Gran Bretagna. Terreni che, tutti insieme, saranno in grado di produrre 2,6 milioni di cespi di lattuga o 50mila sacchi di patate all'anno.
"Non si tratta solo di risparmiare denaro", ha detto Fiona Reynolds, direttrice del National Trust, "ma di ricavare soddisfazione dal raccogliere il frutto del proprio lavoro". Un cambio nella mentalità ancor prima che nel portafoglio. Cambiamento che, concede la Reynolds, è stato forse scatenato - quantomeno velocizzato - dalla crisi economica in cui si dibatte ora il Regno Unito. Il piano del National Trust, dice, si è inserito in una fase in cui le persone danno più valore a cose "reali" - tempo con la famiglia, cibo salutare - rispetto a desideri "materiali".
E per sostenere, sul lungo periodo, la 'rivoluzione verde' - che sa tanto di ritorno alle origini - il National Trust non solo metterà a disposizione la terra, ma anche i suoi esperti dal pollice verde. Così che pure i principianti, fino a ieri abituati a vedere le carote già impacchettate sui banchi del supermercato, apprenderanno le competenze necessarie per diventare dei novelli contadini. "Il nostro primo obiettivo - ha dunque spiegato la Reynolds - è dare la terra". Che verrà data in affitto in cambio di una pigione molto bassa. "Detto questo - ha concluso - vogliamo anche insegnare a queste persone cosa coltivare e come".
20 febbraio 2009 La Nuova Ecologia

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