martedì 29 maggio 2018

Tra ambientalisti e società oil&gas c’è di mezzo il mare Airgun sì o no

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La valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi e la tutela della flora e della fauna marina continuano a rappresentare interessi contrapposti.
Al netto di passaggi decisionali importanti come il referendum del 17 aprile 2016 sulle concessioni di sfruttamento di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa o la Strategia energetica nazionale varata l’anno successivo dopo ampia consultazione pubblica, il dibattito è tutt’altro che sopito.
L’ultimo episodio in ordine di ...
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La valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi e la tutela della flora e della fauna marina continuano a rappresentare interessi contrapposti.
Al netto di passaggi decisionali importanti come il referendum del 17 aprile 2016 sulle concessioni di sfruttamento di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa o la Strategia energetica nazionale varata l’anno successivo dopo ampia consultazione pubblica, il dibattito è tutt’altro che sopito.
L’ultimo episodio in ordine di tempo a ravvivare il confronto è un rapporto pubblicato l’8 maggio da Greenpeace con il titolo: “Troppo rumor per nulla. Un altro assalto degli airgun al nostro mare, tra Adriatico e Ionio”.
L’oggetto del contendere, in questo caso, è la tecnica con cui si vuole verificare la presenza di petrolio o gas a largo della Puglia (S. Maria di Leuca) secondo quanto previsto dal “Permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi d 84F.R-EL” richiesto da Edison al Ministero dello Sviluppo economico il 28 agosto 2013.
Nel dettaglio, in queste attività esplorative si producono segnali acustici impulsivi. L’eco del suono, riflesso dal fondale, viene trasformato in mappe che rivelano, se presente, le caratteristiche del giacimento di idrocarburi. Questi segnali acustici possono essere generati con diverse sorgenti artificiali, tra cui aria compressa, cioè con tecnica “airgun”.
“Gli airgun generano esplosioni con onde d’urto. La riflessione di queste onde permette (tramite sistemi computerizzati) di realizzare una mappa della struttura del fondale”, scrive Greenpeace nel suo rapporto.
Nel caso in questione l’associazione sottolinea come il tratto di mare oggetto della richiesta di permesso di ricerca ricada in una “Ecologically or Biologically Significant Marine Areas – EBAS”, riconosciuta ai sensi della Convenzione internazionale sulla Biodiversità. “Quest’area contiene habitat importanti per lo zifio (Ziphius cavirostris), una specie inclusa nell’Allegato II del Protocollo per le Aree specialmente protette e la biodiversità nel Mediterraneo (SPA/BD Protocol) della Convenzione di Barcellona, e densità significative di altra megafauna come la mobula, la stenella, la foca monaca e la tartaruga caretta, tutte incluse nell’Allegato II-SPA/BD Protocol. Il benthos (popolamenti dei fondali) include comunità di coralli e aggregati di spugne di profondità che rappresentano importanti serbatoi di biodiversità e contribuiscono al riciclaggio di materia organica nella catena trofica. Anche tonni, pesce spada e squali sono specie comuni in quest’area”.
Gli effetti sonori degli airgun, dunque, “sono notoriamente deleteri per le attività riproduttive e le eventuali trivellazioni potrebbero esserlo ancor di più”. Inoltre, lo zifio manifesta una “sensibilità ai rumori (sonar ma anche airgun) ben nota”. Il problema di queste attività di ricerca, infine, si lega anche agli effetti negativi sulle migrazioni di alcune specie.
L’associazione amplia la prospettiva della sua contrarietà al progetto Edison sottolineando come in Italia, “dopo tanti altisonanti discorsi sull’Accordo di Parigi sul clima, si continui a pensare a estrarre quelle poche risorse dei nostri mari quando altri Paesi vi hanno rinunciato”. Per Greenpeace “l’impatto del cambiamento climatico sugli oceani e sul Mediterraneo è già evidente” e “l’effetto delle attività connesse all’industria del gas e del petrolio, compresi gli airgun, è noto. Questo ennesimo assalto al Mediterraneo deve essere fermato”.
Il nostro settimanale ha chiesto una posizione sul caso alla Edison, che rispondendo a e7 spiega come l’area in questione si trovi “oltre 14 miglia dalle coste di Santa Maria di Leuca e in prossimità della linea di delimitazione tra le acque italiane e greche. Parte delle attività esplorative nel Mar Ionio interessano proprio le vicine acque greche, dove tra il 2016 e il 2018 sono stati assegnati a diversi consorzi i permessi di ricerca e in cui sono attualmente in corso le attività esplorative”.
A febbraio 2018, dunque, “è stata inviata al Ministero dell’Ambiente la documentazione tecnica definita sulla base del confronto con le Amministrazione pubbliche interessate e adottando le opportune ‘misure di esclusione, riduzione e prevenzione’ dei rischi. Edison ha tenuto conto di tutte le prescrizioni e indicazioni fornite da Ministero e Regione Puglia su aspetti metodologici, progettuali e ambientali. In particolare, sono state analizzate tre possibili aree di attività all’interno della concessione e quattro tecnologie alternative e si è individuata una zona di progetto per l’indagine sismica che permette di ottimizzare il risultato evitando qualsiasi interazione con le aree a maggiore sensibilità ambientale per il benthos (coralli bianchi) e per la fauna ittica”.
La società, inoltre, ricorda che la tecnologia scelta per l’attività di ricerca di idrocarburi, la sismica a riflessione con airgun, “è riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo economico come il miglior riferimento che l’industria può adottare per questo tipo di indagine e rappresenta la miglior prassi a livello internazionale nei Paesi più avanzati in materia di esplorazione e produzione di idrocarburi, come per esempio la Norvegia e i Paesi che si affacciano sul Mare del Nord, che è riconosciuto essere un ecosistema molto delicato. Inoltre, è considerata la tecnica più efficace per lo studio delle caratteristiche geologiche del sottosuolo marino anche a scopi scientifici e di protezione civile”.
In conclusione, “si precisa che la società ha dato le più ampie garanzie ambientali e che le attività di ricerca saranno sviluppate in accordo con il Ministero dell’Ambiente e le autorità locali, secondo i più rigidi standard di sicurezza nazionali e internazionali”.
Quello dell’airgun è un tema molto sentito non solo da associazioni ambientaliste e operatori upstream ma anche dalle istituzioni preposte al controllo dei mari e del sistema energetico. La DGS-UNMIG del Ministero dello Sviluppo economico, ad esempio, ha istituito un gruppo di lavoro di esperti denominato TESEO (Tecniche avanzate Eco-sostenibili per la Sismica Esplorativa Offshore). Lo scorso 9 maggio a Roma è stato presentato il primo rapporto sul lavoro svolto, nel quale si evidenza come si riscontri “l’assenza di una correlazione provata del tipo causa-effetto degli impatti degli airgun sui mammiferi marini”. Allo stesso tempo, però, “il limitato numero di informazioni scientificamente verificate disponibili sugli effetti degli airgun sui mammiferi marini rende opportuno promuovere, in particolare per il Mediterraneo, un significativo aumento del popolamento di dati delle matrici di controllo ambientale”.
“I ministeri sono molto impegnati su questo tema per capire se ci sono correlazioni reali tra frequenze sonore e impatti sulla fauna marina”, conferma Ezio Mesini, Presidente del Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare (istituito con D.Lgs 18 agosto 2015, n. 145, in recepimento della Direttiva 2013/30/UE), oltre che Docente dell’Università di Bologna.
“Prove schiaccianti dal punto di vista scientifico non ci sono ancora, pur ammettendo una diffusa preoccupazione a vari livelli. Questo significa che la comunità scientifica è chiamata a ricercare sia soluzioni alternative all’airgun, sia soluzioni che applichino l’airgun in maniera più intelligente; ad esempio, per quanto riguarda l’intensità energetica e le finestre di frequenza da utilizzare, oppure energizzazioni che interessino direttamente il fondo del mare evitando l’interazione delle onde sonore con l’ambiente marino sovrastante”.
Infine, un invito al dialogo costruttivo: “Il Comitato da me presieduto – conclude Mesini - è molto attento a queste problematiche e al suo interno sono presenti il Ministero dell’Ambiente, il Ministero dello Sviluppo economico, i Vigili del Fuoco, la Marina Militare e la Guardia costiera. Dalla prossima riunione di Comitato verrà rivolto il mio auspicio affinché tutti gli attori interessati approfondiscano il Rapporto Teseo. Indispensabile sarà altresì un confronto diretto con tutti i portatori di interesse, a partire dalle associazioni ambientaliste che da sempre offrono importanti stimoli a individuare tecniche a minor impatto ambientale”.

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