domenica 27 dicembre 2015

Belize, barriera corallina e sette siti Unesco salvi dalle trivelle

“The World Heritage Committee has taken a very clear position that
oil and mining exploration and exploitation are
 incompatible with World Heritage status”
Un altra storia di democrazia e di attivismo a lieto fine. Il governo centro-americano del piccolo Belize, 300,000 abitanti, ha annunciato che vieterà le trivelle in alcuni dei suoi mari più belli. Il cosiddetto Belize Barrier Reef Reserve System che ospita un serie di sistemi corallini, e dal 1996 sette siti protetti Unesco, è salvo dal petrolio. Anzi, è una follia che abbiano anche solo pensato di trivellarli. La storia inizia nel 2004: il governo del Belize assegna delleconcessioni petrolifere in mare, nei pressi della Meso-American Reef, la seconda più grande barriera corallina del mondo dopo quella d’Australia. Altri lotti vengono assegnati nel 2007, per un totale di sei concessioni.
trivelle mare 675
Nel 2009 l’Unesco inserisce il Belize Barrier Reef Reserve System nella lista dei suoi siti protetti in pericolo a causa di compravendita di piccoli isolotti di mangrovie e di scarsa attenzione alla conservazione dei suoi tesori naturalistici. Nel 2010 lo stesso ente aggiunge alle sue preoccupazioni lo spettro delle trivelle e decreta che ricerca ed estrazione di petrolio non sono compatibili con lo status di World Heritage site. Se si va avanti in questo modo, ammonisce l’Unesco, lo status di sito protetto potrebbe essere revocato.
Subentrano gli attivisti da mezzo mondo, le associazioni turistiche locali, gli amanti del mare, i pescatori.  Le trivelle nel Belize diventano un caso internazionale. Viene fuori che durante la vendita di queste concessioni petrolifere da parte del governo non c’era stato coinvolgimento delle popolazioni locali, non erano stati resi noti gli impatti ambientali delle trivellazioni e le ditte scelte non avevano dimostrato alcuna possibilità di poter fornire fondi, macchinari, risorse e sapienza per poter trivellare in una zona cosi sensibile. Il governo aveva assegnato le concessioni petrolifere in gran segreto. Anzi, alcune delle ditte non avevano nessuna esperienza nel petrolio: la Princess Petroleum, per esempio, gestiva hotel e casinò. Le erano stati dati i diritti di trivellare il Blue Hole Natural Monument, protetto dall’Unesco, sito di bellezza speciale con pesci di ogni tipo e colore e considerato uno delle dieci località più belle al mondo per fare scuba diving.
Si passa alle vie legali, con associazioni ambientali e turistiche che portano in causa il governo del Belize. Tutti insieme creano il Belize Coalition to Save Our Natural Heritage. Viene organizzato un “People’s referendum” e il 96% dei 30,000 residenti interpellati si dichiara contrario alle trivelle. Il 16 aprile 2013, il paese è incollato ai media per conoscere il verdetto della causa. E’ un trionfo. La corte suprema del Belize rende tutti i contratti petroliferi “null and void”. E questo non perché i petrolieri non avessero fatto le valutazioni di impatto ambientale, ma perché non le aveva fatto il governo.  E cioè la corte annulla l’idea che il governo possa cedere dei tratti di mare ai petrolieri senza capirne prima e in modo indipendente gli effetti su natura, pesca e turismo. Tutti gli attori coinvolti possono fare un sospiro di sollievo. Ma nonostante il “null and void” dei contratti petroliferi già dati, l’Unesco mantiene la barriera corallina del Belize nella lista dei siti in pericolo. Occorre fare di più. A maggio del 2015, il governo decide di aprire alle trivelle. Ma come? E l’Unesco? E i mancati studi ambientali che avevano reso “null and void” le concessioni già date due anni prima?
Tutto apposto: il governo presenta un rapporto in cui si espongono i benefici del petrolio dal titolo “Offshore Drilling: Potential Benefits and Risks”. Viene ripetuto il solito mantra che le trivelle a mare possono avere effetti positivi sull’ambiente, che le piattaforme fungono da attrattori per la vita marina, e anzi, possono aumentare l’abbondanza di pesca e di biodiversità di addirittura cinquanta volte! Scrivono che in letteratura non si conoscono casi di effetti deleteri su coralli da parte di petrolio, con o senza incidenti petroliferi. Aggiungono che i coralli sono resistenti agli scarichi di rifiuti petroliferi in mare. Interessante: non dicono che non ci saranno riversamenti a mare, dicono che i coralli possono resistere! Il documento dice pure che i potenziali rischi ambientali non devono prevenire il Belize dal cercare di innalzare i suoi standard economici e raccogliere i frutti delle sue risorse petrolifere.  Ovviamente non si parla di incidenti, di riversamenti a mare, di turismo. Non si parla dei coralli morti a causa dello scoppio della BP.
Alla fine, sono gli stessi concetti adattati al Belize che conosciamo bene anche in Italia – le solite sceneggiate che petrolio e ambiente possono convivere bene, in terra, in mare, nei campi. Ma chi l’ha scritto veramente tale rapporto? The Guardian, giornale inglese che segue il caso da tempo, scopre che l’ha scritto Carla Suite Wright, un ingegnere BP! Ovviamente in Belize, all’Unesco, e spero in Italia, non ci crede nessuno. Intanto, i rappresentanti dell’Unesco decidono di fare visita al Belize per monitorare i siti protetti. La data scelta è la seconda metà di dicembre 2015. Il 1 Dicembre arriva la svolta. Il governo, sotto pressione incessante di residenti, turisti,  ambientalisti, pescatori, e i riflettori interazionali per la vista dell’Unesco, decide di cambiare radicalmente corso: vietano esplorazioni sismiche, trivellazione ed estrazione del petrolio in 3500 chilometri quadrati di mare protetto, che includono tutta l’area dei siti Unesco, e che rappresentano il 15% dei suoi mari nazionali.
Accanto a questo divieto, una moratoria temporanea in tutto il resto dei mari del paese. Le trivelle sono ora vietate nel Bacalar Chico National Park and Marine Reserve, nel Blue Hole Natural Monument, nell’Half Moon Caye Natural Monument,  nel South Water Caye Marine Reserve, nel Glover’s Reef Marine Reserve, nel Laughing Bird Caye National Park, e nel Sapodilla Cayes Marine Reserve e a un chilometro attorno ai loro confini. Queste zone sono spettacolari non solo per i loro mari e per le loro mangrovie, per i delfini e per i pesci colorati,  ma sono anche la casa di varie specie protette e a rischio di estinzione, come le tartarughe verdi, la Caretta caretta, e alcuni esemplari di trichechi, squali e coccodrilli.
E questo è solo il primo passo: gli attivisti chiedono che non siano protetti solo i siti Unesco, ma che l’attuale moratoria su tutti gli altri mari venga trasformata in un divieto permanente, in modo da vietare ai petrolieri di trivellare nel 100% dei loro mari, adesso e sine die. C’è quindi ancora molto da fare per raggiungere obiettivi più grandi. Ma è anche il primo passo verso la rimozione del Belize dalla lista dei siti Unesco in pericolo. Il paese si è anche impegnato a promuovere una serie di interventi entro il 2018 per migliorare la conservazione e protezione dei suoi mari.
L’Unesco farà l’annuncio ufficiale del divieto petrolifero nei suoi sette siti protetti in Belize il 31 Gennaio 2016. E’ un altra vittoria di popolo, di intelligenza, di volontà, di perseveranza. Speriamo di scriverne altre di storie così in tutto il mondo, Italia compresa, per il 2016 e per gli anni a venire. Qui le foto delle spettacolari aree protette del Belize e le concessioni “null and void”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/27/belize-barriera-corallina-e-sette-siti-unesco-salvi-dalle-trivelle/2333539/

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