sabato 2 maggio 2015

Dall'America all'India le dighe sotto accusa "Sono nemiche di popoli e salmoni"

Al Trento film festival (30 aprile - 10 maggio) due documentari che hanno al centro i danni prodotti alla natura e alle popolazioni locali di quei colossi architettonici che un tempo erano motivo di orgoglio. I realizzatori: "Un secolo di sviluppo poco lungimirante ha lasciato i fiumi americani in rovina"
 Cinquantuno indiani tra uomini e donne, avvolti nei loro abiti tradizionali, immersi nell'acqua fino al collo per ore come segno di protesta. Protestano contro la compagnia che gestisce la diga Omkareshwar sul fiume Narmada nel centro dell'India e che nel 2012 ha deciso, nonostante le decisioni contrarie del tribunale, di alzare i livelli d'acqua senza fornire alle popolazioni locali nè terra alternativa nè compensazione economica. Un altro gruppo di indiani, la tribù di nativi americani Lower Elwa Klallan a nord dell'Olympic National Park, affida alle acque del fiume un omaggio ai propri antenati realizzato con carne di salmone su un letto di foglie e rami mentre scandiscono la preghiera: "affinché i pesci ritornino in queste acque a sostenere le persone".

Due posti lontanissimi, l'India e gli Stati Uniti, accomunati da un'urgenza comune delle loro popolazioni: riappropriarsi del territorio, ostaggio di grandi dighe realizzate da imprese commerciali. DamNation di Travis Rummel e Ben Knight e Dammed di Kavita Bahl e Nandan Saxena, entrambi presentati al Trento film festival in corso fino al 10 maggio, sono due documentari che mettono al centro i danni prodotti alla natura e alle popolazioni locali da quei colossi architettonici che un tempo erano motivo di orgoglio: le dighe. Entrambi i film nel titolo giocano con il termine dam (diga in inglese) e se nel documentario prodotto da Patagonia l'unione delle parole "diga" e "nazione" forma il termine "dannazione" in quello indiano "dammed" può essere tradotto con "arginato, contenuto". 

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Ad oggi sono più di 11 milioni gli indiani costretti ad emigrare in seguito alla costruzione di grandi dighe, un numero destinato a crescere ulteriormente in seguito all’innalzamento del livello dell'acqua della diga di Onkareshwar. Le autorità governative appoggiano cordate di bachieri e investitori che traggono enormi profitti da queste operazioni, mentre le vite dei più poveri vengono continuamente calpestate. Questa la denuncia nel film di Kavita Bahl e Nandan Saxena presentato al Trento film festival.

"Viviamo in tempi strani. Gli agricoltori che ci nutrono si suicidano ad un ritmo sconcertante. I nostri leader vendono le risorse naturali alle società private per una miseria. Le grandi dighe stanno sommergendo la terra fertile con un imbroglio che mette a rischio il sostentamento di un miliardo di persone". Kavita Bahl e Nandan Saxena sono giornalisti e filmaker indiani che da anni approfondiscono il loro lavoro sul territorio e sugli effetti dei danni al territorio sulle loro popolazioni. Si sono occupati del suicidio degli agricoltori indiani, del dramma dei fiumi morenti e della lotta delle persone che vengono deportate perché nelle loro terre viene costruita una diga sproporzionata. Ad oggi sono più di 11 milioni gli indiani costretti ad emigrare in seguito alla costruzione di grandi dighe, un numero destinato a crescere ulteriormente in seguito all’innalzamento del livello dell'acqua della diga di Omkareshwar. Le autorità governative appoggiano cordate di banchieri e investitori che traggono enormi profitti da queste operazioni, mentre le vite dei più poveri vengono continuamente calpestate. L'atto dimostrativo nello spirito gandhiano di quegli uomini e donne immersi nell'acqua ha avuto un enorme rilievo mediatico ma ci sono voluti 17 giorni prima che il governo capitolasse.

Dall'altra parte del mondo Travis Rummel e Ben Knight, registi di DamNation, per tre anni e mezzo hanno viaggiato attraverso gli Stati Uniti per raccontare l'incredibile trasformazione dell'atteggiamento nazionale nei confronti delle dighe costruite a cavallo tra Ottocento e Novecento e viste per decenni come simbolo di progresso ma negli ultimi vent'anni messe al centro di un dibattito sostenuto da chi valuta negativamente il loro impatto sull'ecosistema. Il film si apre sulle parole di Franklin Delano Roosvelt che il 30 settembre 1935 inaugurando la diga Hoover (tra l'Arizona e il Nevada) disse: "Questa mattina sono arrivato qui, ho visto e sono rimasto conquistato come chiunque vede per la prima volta questa grande impresa dell'umanità" e si chiude su un'altra spettacolare impresa, quella notturna di alcuni attivisti che arrampicandosi sulla diga californiana di Matilija hanno dipinto un'enorme forbice e una linea tratteggiata.

"Un secolo di sviluppo poco lungimirante ha lasciato i fiumi americani in rovina", sostengono i registi. "Le dighe sono ovunque a migliaia. Non le avevamo mai osservate con molta attenzione, è facile distogliere lo sguardo da qualcosa di così comune. Ma infine eccoci qui a misurarci con queste pareti monolitiche del Glen Canyon che hanno annegato un paradiso di canyon di roccia rossa oppure con le dighe del fiume Snake dove la corsa dei salmoni è stata barattata con un sistema di trasporto con le chiatte". Nonostante i due registi abbiano dato voce ai sostenitori delle dighe (uno per tutti, il membro del Congresso Tom McClintock) e ai contrari (come l'ex segretario degli Interni Bruce Babbitt) il film risulta un manifesto militante a difesa dei fiumi, dei salmoni e delle popolazioni legate ai territori. E per riuscire a raccontare questa storia qualche volta sono stati obbligati a indossare mimetiche da combattimento: è accaduto per esempio per realizzare le immagini spettacolari della distruzione della diga Condit nello stato di Washington. http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2015/05/02/news/dall_usa_all_india_dighe_sotto_accusa_da_simbolo_di_progresso_a_nemici_di_popoli_e_salmoni-113358344/?ref=HRERO-1

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