martedì 26 maggio 2015

grandi opere Progetti mastodontici come elefanti bianchi il parere di Luca Mercalli

 di Lorenzo Tosa
Le grandi opere? Sono come gli
elefanti bianchi che, nel '700-800,
i sovrani siamesi donavano agli aristocratici
europei. Animali di pregio,
ma che dopo un po' si rivelavano solo
un enorme dispendio di risorse. Oggi
sta accadendo lo stesso, solo che il cibo
dell'elefante lo paga la collettività".
Luca Mercalli si allenta il fiocco e impugna
la sciabola. Un po' climatologo,
un po' filosofo, da anni combatte una
battaglia ostinata e contraria "contro
un modello di sviluppo che non funziona
più".
In che senso?
Le grandi opere, per loro natura, tendono
a concentrare grandi quantità di
denaro in un luogo, con obiettivi ridotti
e risultati limitati. Quei soldi potrebbero,
invece, essere distribuiti sul
territorio, attraverso opere estese e generalizzate
in grado di valorizzare risorse
e creare nuovi posti di lavoro
Ad esempio?
Penso a un piano di risanamento del
dissesto idrogeologico, ma anche a investimenti
sulle energie rinnovabili
che renderebbero di più in termini sociali
e di competenze, anche sul lungo
termine. Piccole opere a livello locale,
che diventano grandi se portate avanti
in tutto il Paese.
Un problema culturale?
Soprattutto culturale.
In Italia abbiamo migliaia
di ricercatori
senza nome. Un patrimonio
immenso di conoscenze
che non valorizziamo.
Concepiamo
progetti faraonici per
risolvere i problemi legati
ai trasporti e all'ambiente
- come il
Mose - e intanto le
scuole cadono a pezzi,
così come gli ospedali e molti edifici
pubblici. È lì che bisognerebbe intervenire,
e invece è tutto fermo.
Da dove si comincia?
Ci sono decine di quartieri che sono
stati costruiti di fretta e in zone a rischio.
Pensi a cosa vorrebbe dire
smantellare interi quartieri, abbatterli
e ricostruirli. La quantità di energie e
posti di lavoro che metterebbe in circolo.
E poi ci sarebbe un'altra grande
opera fondamentale incompiuta...
Quale?
Portare la rete internet fino alle frazioni
più remote di montagna. Permetterebbe
di spostare il baricentro
della conoscenza, porterebbe lavoro,
rivitalizzando luoghi marginali.
Perché non si è fatto?
Perché le grandi opere consumano
tutta la torta dei finanziamenti. Asfissiano
il resto, attirando anche sacche
di malaffare, come abbiamo visto coi
recenti scandali. I risultati li abbiamo
sotto gli occhi: la Brebemi o l'Expo:
un'occasione sprecata.
Non c'è proprio nulla da salvare? Esistono
anche le grandi opere utili?
In passato lo sono state. Nel Dopoguerra,
in un'Italia ancora rurale e distrutta
dai bombardamenti, la realizzazione
della moderna rete autostradale
è stata decisiva, ha portato sviluppo
e benessere. Oggi, in questa società
iper-strutturata, non
ha più senso. È il momento
di mantenere,
curare quello che abbiamo.
Lo avevano capito
anche i Savoia...
Prego?
Gli avevano regalato
un elefante bianco.
Stupendo. Dopo pochi
anni non sapevano più
che farsene e lo dovettero
soffocare col monossido
di carbonio. il fatto quotidiano 25 maggio 2015

BIOMEDICA

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