tratto da https://ambientenonsolo.com/rifugiati-climatici-la-crisi-di-newtok-in-alaska/
Rifugiati Climatici: La Crisi di Newtok in Alaska

Con la pubblicazione di questo articolo inizia la collaborazione con “Osservatorio Artico“, realtà che è nata dalla volontà di dare risalto a un tema che trova poco spazio nel panorama di informazione italiano. Artico e Polo Nord sono spesso visti come temi lontani, di carattere squisitamente ambientale. Il cambiamento climatico in atto a queste latitudini, invece, riguarda molto da vicino anche l’Italia e l’Unione Europea, sotto molti punti di vista: economia, difesa, geopolitica, trasporti e tanto altro.
Nel 2022 un numero di persone pari agli abitanti dell’intera area metropolitana di Tokyo – circa 32 milioni– ha abbandonato la propria abitazione a causa di disastri come alluvioni, uragani, siccità e terremoti. Un dato impressionante, che si inserisce in un quadro tristemente più ampio: si stima che a partire dal 2008 oltre 375 milioni di individui, ovvero più dell’attuale popolazione degli Stati Uniti, abbiano dovuto forzosamente trasferirsi altrove. La loro casa era andata distrutta, rendendoli dei rifugiati climatici.
In luoghi come l’Alaska intere comunità sono minacciate da fenomeni come l’erosione costiera e lo scioglimento del permafrost, costringendo i residenti a trasferirsi per sopravvivere. Se si è fortunati, come nel recente caso di Newtok, dopo mille difficoltà il trasferimento è a pochi chilometri di distanza. Nel caso delle piccole realtà del Pacifico (il sempre più famigliare acronimo SIDS, ovvero Small Island Developing States) il rischio di frammentare un intero popolo in una progressiva e silenziosa diaspora diventa sempre più forte col passare dei giorni.
La crisi climatica, pur manifestandosi in modi diversi, è un fenomeno che non risparmia nessuna latitudine e che richiede un approccio strutturale e coordinato da parte delle autorità politiche. Il quadro giuridico internazionale è di fatto ancora inattivo e il futuro di chi lotta con la natura, a sua volta sofferente, è ancora una pagina marginale nelle agende politiche di molti stati. Lo sanno bene gli abitanti di Newtok.
Già da questo primavera, il piccolo villaggio di Newtok affacciato sul Mare di Bering in Alaska – circa 350 abitanti Yup’ik raggiungibili quasi solo per via aerea – è suo malgrado entrato nelle cronache. Il villaggio non solo stava perdendo case e infrastrutture, ma correva il rischio di restare senza acqua potabile, fagocitato dall’erosione del fiume Ninglick: quello stesso fiume che, come per molte altre comunità indigene alaskane, in passato aveva permesso agli abitanti dell’Artico di trovare casa, ma che adesso si stava “mangiando” (il cosiddetto encroachment) dai 20 ai 30 metri di terra all’anno, mescolandosi con la terra che si scioglieva sotto i piedi degli abitanti del villaggio. Non solo: compenetrandosi con un altro fiume vicino, il Ninglick ha creato un insalubre pantano che costringeva diversi locali, tra cui i neonati, a dover ricorrere a serie cure ospedaliere.
Questo settembre gli ultimi 71 abitanti di Newtok hanno completato il proprio trasferimento, questa volta su un’isola, ma sullo stesso fiume, a Mertarvik, a circa 14 km di distanza. Il caso di Newtok, in compagnia delle
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