martedì 29 marzo 2016

Trivelle: Puglia,presto in distribuzione manifesto per il Sì Campagna finanziata con prelievo indennità consiglieri Regione

Il delegato del Consiglio regionale della Puglia promotore del quesito referendario, Giuseppe Longo, comunica che è in fase avanzata di stampa e sta per essere distribuito per l'affissione il manifesto ufficiale del comitato pugliesecon l'invito agli elettori a sostenere il "Sì", per difendere "il nostro mare dalle trivelle". Il materiale è tra i prodotti della campagna informativa sul referendum abrogativo di domenica 17 aprile (DPR del 15 febbraio 2015), finanziata con il prelievo sulle indennità di aprile 2016 autorizzato dai consiglieri regionali della Puglia e dagli assessori esterni.

Intanto, il presidente del consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza (Pd), fra i principali promotori del referendum ha detto che "a seguito dei dati pubblicati da Agcom nella giornata di venerdì che, evidenziano la totale assenza dell'argomento referendum del sistema informativo, stiamo verificando se vi sia stata la violazione delle legge sulla par condicio": Lacorazza ha sottolineato che proprio in base ad alcuni sondaggi, "solo un cittadino su quattro è a conoscenza che il 17 aprile c'è il referendum. Aggiungo che per il referendum, a differenza di alcune consultazioni elettorali, il quorum determina la validità della consultazione popolare. Quindi l'assenza quasi totale d'informazione favorisce l'astensionismo e quindi altera la par condicio, modifica le regole del gioco. I dati Agcom evidenziano come dal 16 febbraio al 4 marzo l'argomento non sia stato in nessun modo trattato. Dopo il 4 marzo è cresciuta l'attenzione ma in maniera molto lieve. Insomma se tre cittadini su quattro non sanno che c'è il referendum la motivazione è sicuramente riconducibile alla totale, o quasi assenza, d'informazione che non puoi essere relegata a questi ultimi 18 giorni. Noi andiamo avanti perché l'Italia ne parli - ha concluso Lacorazza - ma forse è il caso che leggi e regole vengano rispettate". 

Quattro ragioni per votare 'sì' vengono indicate dall'ufficio Problemi sociali e del lavoro, giustizia e pace, salvaguardia del creato della diocesi di Trani, a firma del direttore, don Matteo Martire. "Le trivellazioni in mare - è la sintesi - costituiscono un pericolo per il nostro ambiente". "Oggi siamo alla vigilia di un importante appuntamento elettorale - scrive la diocesi - che ci chiama in causa tutti, in quanto cristiani e in quanto cittadini consapevoli e attenti alla difesa del bene comune. Il 17 aprile siamo chiamati a esprimerci in difesa del mare e della sua incolumità". Ed ecco le quattro ragioni. In merito alla tutela del territorio "potrebbero esserci sversamenti di petrolio in mare (con enormi danni alle spiagge e al turismo), rischi di movimenti tellurici (legati soprattutto all'estrazione di gas) e alterazione della fauna marina per l'uso dei bombardamenti con l'aria compressa" scrive don Matteo. Quanto alla salute delle terre pugliesi, "le risorse naturali vanno rispettate: la salubrità del mare, dell'aria e delle condizioni ambientali delle coste interessate sono beni essenziali; che ne sarebbe della nostra pesca? e della fauna marina?". Non reggono, secondo la diocesi, neppure le motivazioni economiche a sostegno delle trivellazioni. "Perché non dirigersi verso risorse eco-compatibili e alternative come sole, vento e acqua? Perché non liberarci dalla dipendenza dal petrolio e combustibili fossili, così inquinanti e causa di guerre? Perché danneggiare il nostro turismo con un mare che da perla diverrebbe inquinato e non balneabile?". Infine, scrive la diocesi, c'è il "valore della vita", ovvero "gli interessi economici sono subordinati al valore inviolabile della vita, della salute pubblica, della custodia dei beni naturali e della salubrità del territorio". La diocesi si dice convinta che sia necessaria oggi "una compatta partecipazione di base, così come è avvenuto in difesa dell'acqua bene comune. Le trivellazioni in mare - conclude - costituiscono un pericolo per il nostro ambiente".

L'alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. Lo afferma Legambiente il cui vicepresidente Edoardo Zanchini osserva che "il vero grande giacimento italiano da sfruttare è nei territori e nella valorizzazione di biogas e biometano prodotti da discariche e scarti agricoli". All'allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un'Italia costretta ad aumentare le importazioni dall'estero via nave, Legambiente risponde che "sono tutte bugie. Il gas estratto nelle piattaforme oggetto del referendum non arriva al 3% dei consumi nazionali. E, com'è noto, il gas nel nostro Paese arriva attraverso i gasdotti". Zanchini spiega che "già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come 'upgrading' del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia. Il problema è che questi interventi sono bloccati proprio dalle scelte del Governo". Secondo Legambiente "si potrebbero realizzare impianti distribuiti in tutto il Paese per produrre biogas e biometano, dalla digestione anaerobica dei rifiuti o di biomasse e scarti agricoli, con vantaggi rilevanti economici, occupazionali e di risoluzione dei problemi di smaltimento dei rifiuti".

"Renzi ha una gran faccia tosta a parlare di rinnovabili. Mentre invita gli italiani a disertare un referendum nazionale, schierandosi dalla parte dei petrolieri, non manca di vantarsi dei traguardi di un settore che il suo governo sta invece mettendo in ginocchio. Nel 2012 in Italia erano entrati in esercizio quasi 150 mila nuovi impianti fotovoltaici: nel primo anno dell'era Renzi sono stati appena 722". Lo afferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. "L'anno scorso - ricorda Boraschi - nel solo settore eolico si sono persi 4000 posti di lavoro. Secondo il rapporto "Rinnovabili nel mirino" recentemente pubblicato da Greenpeace, il governo Renzi è riuscito a ostacolare le energie rinnovabili in tutti i modi: cambiando in corsa contratti già sottoscritti con lo "Spalma incentivi", modificando la tariffa elettrica per frenare il risparmio energetico e finendo per causare un aumento delle nostre bollette, bloccando i piccoli impianti domestici, specialmente quelli fotovoltaici". Nel frattempo, aggiunge l'esponente di Greenpeace, "gli incentivi ai combustibili fossili aumentano. Come riporta il Fondo monetario internazionale, nel 2014 l'Italia ha regalato alle fonti sporche 13,2 miliardi di dollari, un dato addirittura in crescita rispetto ai 12,8 miliardi del 2013. In Germania confermano incentivi per le fonti rinnovabili per oltre 23 miliardi, in Italia le penalizziamo con incentivi che non superano gli 11 miliardi. Renzi è chiaramente dalla parte delle lobby fossili, non inganni gli italiani. È insopportabile che si faccia vanto persino dei nostri primati sulle rinnovabili, quando ci sono migliaia e migliaia di lavoratori del settore che hanno perso l'impiego a causa delle sue politiche anti-rinnovabili. La verità - conclude Boraschi - è che a Renzi le rinnovabili piacciono solo quando si fanno all'estero: in Italia disturbano gli interessi delle lobby fossili".

"Il presidente del Consiglio Matteo Renzi evidentemente è in difficoltà per la crescente consapevolezza che sta favorendo il fronte del Sì al referendum del 17 aprile e cerca di ridimensionare le responsabilità del Governo sulla modifica normativa sottoposta a referendum" dichiara il vice presidente del Wwf Italia Dante Caserta. "Altro che 'inutile' consultazione referendaria - aggiunge -. Il Governo non solo non convince gli italiani, ma non ha convinto né l'Ufficio centrale per i referendum, né la Corte Costituzionale che hanno ritenuto più che 'utile' la consultazione referendaria per abrogare la furbesca norma proposta dal Governo e approvata dalla maggioranza in Parlamento che vuole tentare di eludere il termine trentennale delle concessioni, stabilito dalle norme europee". Caserta osserva che "è la Corte Costituzionale, nella sua sentenza 17/2016, che, citando la Cassazione, ha valutato che la modifica introdotta dal Governo ha modificato la 'durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo 'di vita utile del giacimento', prevedendo, quindi, una 'sostanziale' proroga degli stessi ove 'la vita utile del giacimento' superi la durata stabilita nel titolo'. E' questa - conclude il vice presidente del Wwf - una forzatura intollerabile del nostro ordinamento e delle regole comunitarie: è singolare che il premier e l'intero Governo facciano finta di ignorare il vero oggetto del contendere".
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