lunedì 29 febbraio 2016

Basta una raccomandata per trasformarti in ostaggio Poste italiane: il mancato recapito può diventare un calvario senza fine

Disavventure di un cittadino 6 Il numero dei mesi che una lettera dovrebbe rimanere in giacenza. Capita però che allo sportello l’impiegata comunichi che, trascorsi 30 giorni, la missiva sia stata rispedita al mittente: “Si lamenti al numero verde”
 Grazie e saluti Dopo le battaglie, la risposta: “Ci scusiamo se il servizio offerto le ha causato disagio”
GIORGIO MELETTI P ossiamo scegliere tutto, il mercato è libertà (dicono): il telefonino, l’e l e ttricità, il gas, l'autostrada, il treno. Siamo liberi di vivere senza gas o senza telefonino. E se non ci fidiamo della sanità pubblica possiamo rivolgerci al guaritore o alla santona. La sacra libertà del cittadino consumatore sarebbe perfetta se non esistessero le Poste Italiane. Non c’è scelta e siamo sudditi: basta che qualcuno ti spedisca una raccomandata per trasformarti da libero cittadino in ostaggio. Il numero uno di Poste Italiane Francesco Caio, fresco di quotazione in Borsa, lo sa: può tagliare il servizio quanto vuole, il cliente non può scappare e lo Stato continuerà a pagare il sussidio. STORIA VERA, m ic ro sc op ic a e significativa. Il 4 novembre 2015 il postino, dopo aver suonato una sola volta, lascia l’av - viso di giacenza di una raccomandata. C’è scritto che trattasi di atto giudiziario da ritirare all’ufficio postale entro sei mesi. Il destinatario se la prende comoda, e con giusta ragione. Massimo Sarmi, il genio del management che per oltre dieci anni ha guidato le Poste, decise un giorno di razionalizzare la consegna delle raccomandate, concentrandola in pochi uffici. Prima gli italiani, popolo pigro e arcaico, erano abituati a ritirare le “inesitate” al più vicino ufficio postale. Adesso devono mettersi in viaggio. Nel nostro caso il malcapitato deve andare a prendersi la raccomandata a quattro chilometri da casa, in una città, Roma, dove il trasporto pubblico è come se non ci fosse. Così si presenta per il ritiro il 23 dicembre, cinquanta giorni dopo l’avviso. Allo sportello l’i m pi e g a t a gli comunica che, trascorsi 30 giorni di giacenza, la raccomandata è stata rispedita al mittente. Il poveretto mostra l'avviso (“L’oggetto rimarrà giacente per 6 mesi”) e l’acuta operatrice deduce: “C’è stato un errore. Deve andare a via del Portonaccio”. Chi vive a Roma sa che “via del Portonaccio” è una sentenza dolorosa come una diagnosi infausta: è un luogo sconosciuto ai più, irraggiungibile, una metafora dell'aldilà. “Vada a via del Portonaccio” significa in italiano corrente: “P re nd it i un giorno di ferie e fai volontariato per Poste italiane, per rimediare al guaio che ti hanno combinato persone pagate per darti un servizio”. Le vive proteste della vittima impietosiscono l’a c ut a sportellista: “Allora provi al numero verde”, dice con tono perplesso, tipo “a tuo rischio e pericolo”. Infatti chiamare il numero verde è come mettere un messaggio nella bottiglia. La risoluta operatrice si rifiuta di dare spiegazioni sull’ac - caduto, si fa dare gli estremi del caso e “apre il reclamo”. Inutile anche chiedere che cosa accadrà: “Non è mia competenza, qualcuno la chiamerà”. Invece nessuno chiama, ma dopo soli 50 giorni arriva la lettera di un “responsabile qualità” che fornisce gli “op - portuni chiarimenti”. Egli, il “responsabile qualità”, in ben 50 giorni di strenuo impegno ha scoperto “a seguito delle nostre verifiche” che “il plico in questione risulta rinviato al mittente al termine della prescritta giacenza da Roma Esquilino Cpd” . Folgorante la c on cl us io ne : “Ci rammarichiamo che il servizio offerto possa averle causato disagio e insoddisfazione”. UN INTELLETTUALE la chiamerebbe stratificazione delle culture. Decenni di regime Dc-An-Cisl hanno fatto delle Poste l’azienda capace di rispondere a un cliente – che chiede come mai la sua raccomandata è tornata al mittente dopo 30 giorni anziché dopo sei mesi come scritto nell'avviso – che non è successo niente, è tutto in regola, sono cavoli suoi e può quindi dire addio alla raccomandata. Poi però si innesta la cultura Mc Kinsey di Caio che aggiunge il ra mmar ico per l’i ns o ddisfazione del cliente al quale è stato appena detto che non c’è stato alcun disservizio. Per fortuna in calce alla lettera c'è scritto che per ulteriori informazioni si può richiamare il numero verde. L’addetto fornisce alcune interessanti notizie. La prima è che la collega che aprì il reclamo a dicembre “non ha scritto niente”, ma ha un’attenuante: “Era femmina”. La seconda è che “anche il responsabile qualità non ha capito niente”. Pronta la soluzione: “Riapria - mo il reclamo”. Alla richiesta di maggiori spiegazioni su che cosa è successo egli si irrita. Non devono avergli detto che è pagato per dare informazioni e non solo per “ria - prire il caso”. Niente da fare. Si innervosisce: “Signore, vogliamo risolvere il caso o no?”. Siccome il cliente insiste per sapere, il postale riattacca il telefono. Tanto Caio è un uomo digitale, mica si occupa di come il suo call center tratta iclienti. Egli si occupa solo di tagliare il servizio universale e i relativi costi. Tanto che, quando ha quotato in Borsa la società, ha dovuto ammettere che la “raz ion ali zzaz ion e” del servizio universale e la connessa riduzione dei costi sono soggette “a rischi connessi al contenzioso amministrativo dovuto alle impugnative promosse dai comuni”. Eccola, la meravigliosa cavalcata nella modernità.

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