INUTILE
SCRUPOLO
Sapere
che un membro
del
collegio la pensava
diversamente
dagli altri,
farne
cioè un beniamino o
un
bersaglio, non ha nulla
a
che fare con la Giustizia
Bruno
Tinti
La
sentenza della Corte
d’assise
di Chieti
sulla
discarica di
Bussi
ha innescato
polemiche
e dibattiti. Le questioni
su
cui si discute sono tre.
1)
La sentenza è “giusta”?
2)
I giudici popolari (alcuni) sono
stati
intimiditi?
3)
È bene che le diverse opinioni
espresse
in camera di consiglio
al
momento della decisione siano
note
all’esterno?
1
- Una sentenza
conforme alla
legge
è “giusta” per definizione.
A
nulla rileva che la legge applicata
sia
iniqua, emanata per
compiacere
interessi potenti,
sbagliata
tecnicamente. I giudici
non
hanno il potere (per fortuna)
di
disapplicare o correggere
le
leggi che ritengono sbagliate o
ingiuste.
Possono, quando ne
sussistono
i presupposti, sollevare
eccezioni
di legittimità costituzionale;
la
Corte deciderà.
Ma
le sentenze devono rispettare
il
diritto, non la volontà (occasionale)
del
popolo. Così se
l’iniqua
legge sulla prescrizione
impedisce
la condanna del peggiore
dei
delinquenti, il problema
non
riguarda la sentenza né
– ovviamente
– il giudice che la
emette,
ma il Parlamento che
non
modifica la legge. Diversa
cosa
è una sentenza emessa per
favorire
qualcuno. Questa non è
una
sentenza “ingiusta”, è un
crimine.
Che va denunciato, da
chiunque,
primo tra tutti il giudice
del
Collegio che ne sia consapevole
e
che non ha potuto
evitarlo
perché messo in minoranza.
Qui
non è questione di
segreto
di camera di consiglio,
ma
di rispetto dell’articolo 357
del
codice penale che obbliga il
pubblico
ufficiale a denunciare i
reati
di cui viene a conoscenza.
Per
finire, una sentenza che viene
riformata
nei gradi di giudizio
successivi
non è una sentenza
“ingiusta”.
Come ho cercato
di
spiegare molte volte, le sentenze
successive
si eseguono
non
perché intrinsecamente
“giuste”
(potrebbe essere “giu -
sta”
quella precedente e “sba -
gliata”
quella successiva) ma solo
perché
è necessario risolvere i
conflitti
per garantire la civile
convivenza.
Non ho elementi
per
stabilire se la sentenza sulla
discarica
di Bussi sia “giusta”,
“criminale”o“sbagliata”.
Lo decideranno
gli
uffici giudiziari di
Campobasso,
competenti a giudicare
i
magistrati di Chieti.
2
– Pare
accertato che il presidente
della
Corte d’assise abbia
pronunciato
la frase riportata da
due
giudici popolari: “Se decidete
per
la sussistenza del dolo
(e
quindi per la condanna, la
prescrizione
non sarebbe scattata)
e
se poi in Appello lo escludono,
correte
il rischio di
un’azione
per risarcimento
danni
e potete perdere tutto
quello
che avete”. La frase però
si
presta a diverse interpretazioni.
I
giudici togati potrebbero
essere
stati fermamente convinti
della
non sussistenza del dolo.
Tanto
convinti da ritenere che
una
decisione diversa avrebbe
potuto
integrare una manifesta
violazione
di legge o il travisamento
del
fatto o delle prove,
come
previsto dalla recente legge
sulla
responsabilità civile dei
magistrati.
Avrebbero dunque
ammonito
i giudici popolari nel
loro
interesse. Oppure potrebbero
aver
adottato questo sistema
per
superare quella che loro
consideravano
una irragionevole
impuntatura
di persone
non
esperte di diritto e cocciutamente
intestardite.
E, se così
fosse
andata, sarebbe certamente
comportamento
censurabile.
Oppure
ancora, impegnati a favorire
gli
imputati e dunque a
commettere
un reato, potrebbero
aver
utilizzato questa intimidazione
per
perseguire il loro
scopo
criminale. In questo caso
la
violenza privata commessa
(questo
il reato) sarebbe il minore
dei
loro problemi.
3
– Nell’ordinamento
giuridico
italiano
le motivazioni delle decisioni
dei
giudici sono sempre
rese
note. Le sentenze contengono
le
ragioni della decisione, e
se
non è così sono riformate nei
successivi
gradi di giudizio.
Sempre
esplicitano anche le ragioni
opposte,
quelle che avrebbero
portato
a decisione di senso
contrario,
per spiegare perché
non
sono state ritenute valide.
E,
anche in questo caso, se
così
non è, sono riformate. Vi è
dunque
una totale trasparenza.
Diversa
cosa è dare conto della
opinione
dissenziente del giudice
di
minoranza. Ciò non solo è
del
tutto inutile, ma è anche
dannoso.
Inutile perché la sentenza
non
perde efficacia se uno
dei
componenti del Collegio la
pensava
diversamente dagli altri.
Dannosa
perché, soprattutto
in
un momento storico come
questo,
caratterizzato dalla delegittimazione
dei
giudici, dellamagistratura nel suo complesso
e,
in definitiva, dell’istituzione
stessa
di una giustizia amministrata
da
magistrati professionisti,
aggraverebbe
le polemiche
che
puntualmente (e quasi sempre
strumentalmente)
imputati
e
gruppi di potere di riferimento
sollevano
nei confronti di sentenze
che
li riguardano. I contrasti
in
camera di consiglio sono
di
natura tecnica, destinati a
essere
riproposti nei gradi successivi
di
giudizio, resi noti nelle
sentenze
di Appello o Cassazione,
pubblicizzati
da giuristi su
riviste
tecniche e, sempre più
frequentemente,
sugli organi di
informazione.
Sapere che il giudice
tale
la pensava diversamente
dai
suoi colleghi, farne un beniamino
o
un bersaglio dell’opi -
nione
pubblica, non ha nulla a
che
fare con la Giustizia e la Democrazia. il fatto quotidiano 23 maggio 2015
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