giovedì 9 marzo 2023

Il Fatto di domani. Cutro, le bare trasferite a Bologna, anzi no: retromarcia (e figuraccia) del governo contestato dai parenti delle vittime. La "grande abbuffata" delle province, alla faccia dei poveri senza Reddito

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La "grande abbuffata" delle province, alla faccia dei poveri senza Reddito. Leggi le anticipazioni del giornale di domani ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/

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CUTRO, SALME AL CIMITERO DI BOLOGNA, ANZI NO: LA VERGOGNOSA RETROMARCIA DEL GOVERNO E LA CONTESTAZIONE DEI FAMIGLIARI DELLE VITTIME. Non c’è pace per i migranti deceduti nel mare di Cutro, nemmeno nelle bare. Dopo la protesta dei famigliari delle vittime, è stato bloccato il trasferimento della salme nel cimitero musulmano di Borgo Panigale (Bologna). In mattinata, su Facebook, era arrivata la denuncia della Rete 26 febbraio: “Oggi lo stato italiano ha comunicato, alle famiglie in attesa da 10 giorni, che i corpi dei loro congiunti non potranno essere espatriati. Non a spese dello stato”. Il Viminale infatti aveva deciso il trasferimento delle bare come soluzione “provvisoria”, per dare subito “dignità” alle salme, suscitando l’ira dei familiari e la contestazione nelle vie di Cutro. “Il governo italiano gioca con i morti”, recitava il cartello di una donna afgana che nel naufragio ha perso la figlia. Non è l’unica a contestare la decisione del governo. Il sindaco dem di Bologna, Matteo Lepore, ha subito avvisato Piantedosi: “Ogni trasferimento dovrà avvenire solo con il pieno consenso delle famiglie”. Poi è arrivato l’alt del governo. Il Viminale ha precisato che se i famigliari lo richiederanno, i corpi saranno rimpatriati e le spese saranno a carico dello Stato. Ma ci vorrà tempo, soprattutto per i rimpatri in Afghanistan. L’ennesima polemica che scalda gli animi in vista del Consiglio dei ministri di domani, a Cutro, dove il governo rischia fischi e contestazioni. Oggi pomeriggio era previsto il pre consiglio per decidere i provvedimenti da discutere, ma la riunione è slittata a domattina. Salvini e Meloni remano in direzioni opposte: il Capitano leghista vuole una stretta sui migranti con una riedizione dei decreti sicurezza; Meloni vuole allargare le maglie degli ingressi regolari per non apparire cinica e spietata, dopo i suoi silenzi sul naufragio e le sortite di Piantedosi. Ma la premier non devia dalla linea dura: “La questione migratoria va affrontata partendo dalla difesa dei confini esterni e dalla lotta ai trafficanti”, ha dichiarato – senza alcun accenno all’accoglienza – dopo l’incontro con il primo ministro olandese Mark Rutte. Sul Fatto di domani vi racconteremo la faida nella maggioranza e la marcia indietro del Viminale. L’ennesima figuraccia del ministro Piantedosi.


PROVINCE, IL RITORNO: IL GOVERNO STUDIA LA “GRANDE ABBUFFATA” CON 2.500 POLTRONE. Stanno per tornare le province, con il carico di poltrone che ai partiti non dispiace. Il governo Meloni sta studiando un disegno di legge per riportarla in auge: la promessa era che sarebbero tornate “dimagrite”, ma non è detto che la riforma sarà light. Fu la legge Delrio a depotenziarle nel 2014. Da allora, gli enti locali sono rimasti in sonno. Conservano compiti fondamentali come l’edilizia scolastica, la manutenzione delle strade e i trasporti locali. Le province gestiscono 5.179 edifici scolastici, 4 su 10 in zona a rischio sismico. Ma senza una linea politica chiara e con fondi insufficienti per svolgere le loro funzioni. Oggi infatti il presidente e i consiglieri provinciali non sono eletti dai cittadini – bensì dai sindaci e dai consiglieri dei comuni del territorio – e lavorano senza alcun compenso. Risultato: la spesa per i trasporti nelle aree vaste è crollata del 65% tra il 2013 e il 2015. Le destre puntano al ritorno delle province sbandierando il vessillo della democrazia: il motto è che gli elettori devono tornare alle urne. Ci sono 8 progetti di legge: il ministro delle Autonomie Roberto Calderoli (con la ministra delle Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati) è al lavoro per formulare la proposta di sintesi. Con le 107 province italiane potrebbero tornare 2.500 amministratori (tra consiglieri e presidenti) più i funzionari e gli staff. Sul Fatto di domani vi racconteremo come il governo prepari la “grande abbuffata”. L’intenzione era che i consigli provinciali non superassero i 20 o 24 scranni. Ma in Sicilia, ad esempio, il governatore Schifani ha annunciato fino a 36 consiglieri per provincia.


SENZA IL REDDITO DI CITTADINANZA LA CRISI PANDEMICA SAREBBE STATA PEGGIORE, ORA CON IL “MIA” SARÀ PEGGIO. Senza il Reddito di cittadinanza e le altre misure di sostegno, la crisi economica scatenata dalla pandemia sarebbe stata molto più devastante per le fasce più basse della popolazione. L’Istat aveva già certificato nel suo rapporto annuale che il Rdc nel 2020 aveva evitato a un milione di individui di finire in povertà assoluta. Oggi l’Istituto di statistica mostra che anche nel 2021 le misure a sostegno del reddito (non solo il sussidio di cittadinanza, ma anche la Naspi) sono state fondamentali per 6,9 milioni di famiglie. Il Reddito di cittadinanza, in particolare, è andato al 5,3% delle famiglie, quasi tutte (il 74%) appartenenti al quinto più povero della popolazione. Ma i dati dicono anche, ed è noto, che il Rdc ha raggiunto solo un quinto del totale dei poveri in Italia. Il che portava gli analisti della commissione Saraceno, per esempio, a concludere che la misura andrebbe estesa. Invece il governo ha in cantiere di falcidiarla del 30%, sia dal punto di vista degli importi (per la categoria fumosa degli occupabili) sia per quanto riguarda la soglia di reddito massima per accedervi (portata da 9 mila a 7 mila circa). Sul Fatto di domani leggerete la nostra analisi e un’intervista alla sociologa Enrica Morlicchio, esperta di contrasto alla povertà. Su FQ Extra è disponibile lo speciale“Abbasso la povertà”, con grafici interattivi, una video inchiesta e un podcast. Vogliamo accendere un faro sulle persone che rischiano di perdere il sussidio (o subire il taglio dell’assegno), per via dei tagli decisi dal governo Meloni: raccontaci la tua storia e inviala all’indirizzo mail lettere@ilfattoquotidiano.it.


SABOTAGGIO NORD STREAM, KIEV NEGA RESPONSABILITÀ. IL NOSTRO APPROFONDIMENTO. NATO: “BAKHMUT PUÒ CADERE NEI PROSSIMI GIORNI”. La battaglia infuria a Bakhmut. Il capo della milizia russa Wagner ha dichiarato che i suoi uomini hanno assunto il controllo della parte est della città. Ieri Kiev ha dato l’ordine di evacuare i minori rimasti. Oggi, arrivando al consiglio informale dei ministri della Difesa a Stoccolma, il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha dichiarato che “non si può escludere” che Bakhmut capitoli nei prossimi giorni. Alla riunione svedese è stato presentato il piano della Commissione Ue per la produzione di munizioni d’artiglieria necessarie all’Ucraina per difendersi. L’investimento, presentato dall’alto rappresentante per la Difesa Ue Josep Borrell, sarà di 2 miliardi di euro, di cui uno per l’acquisto di proiettili 155 e 152 mm. Kiev però ha già fatto sapere che non è abbastanza: secondo il ministro della Difesa Resnikov, l’Ucraina ha bisogno di 250 mila proiettili al mese in più per poter sparare con tutte le armi di difesa che ha accumulato. Su questa linea, l’Estonia ha proposto di investire 4 miliardi per finanziare un milione di proiettili, ma le risorse non ci sono: “I soldi non piovono dal cielo”, ha commentato Borrell. Resnikov ha smentito lo scoop del New York Times sulla responsabilità di un commando filo-ucraino per il sabotaggio del gasdotto Nord Stream. I media tedeschi hanno pubblicato alcuni particolari sull’esecuzione dell’azione e la composizione del gruppo, composto da 4 uomini e una donna. Il governo di Berlino invece si è trincerato dietro il “no comment” in attesa della conclusione delle indagini, ma leggendo tra le righe si capisce che una responsabilità ucraina avrebbe un grosso contraccolpo politico sulle relazioni tra i due Paesi. Intanto comunque i Leopard 2 tedeschi arriveranno a Kiev a fine mese. La Nato invita a non saltare a conclusioni affrettate sul sabotaggio al Nord Stream e curiosamente anche Mosca sminuisce la portata delle rivelazioni, bollandola come disinformazione. Sul Fatto di domani ricostruiremo la vicenda dal primo giorno fino agli ultimi sviluppi delle indagini.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Il caso Cospito alla Corte Costituzionale il 18 aprile. La Consulta ha fissato per il 18 aprile l’udienza pubblica in cui sarà trattata l’ordinanza con la quale la Corte d’assise d’appello di Torino ha sospeso il processo all’anarchico per i due ordigni davanti alla Scuola allievi carabinieri di Fossano e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione a una norma del codice penale. Si tratta della norma che, per il reato di strage politica, non consente l’attenuante dei fatti di lieve entità nei casi di recidiva aggravata, come quello di Cospito.

Messina Denaro, l’avvocatessa (e nipote) rinuncia a difenderlo. Lorenza Guttadauro, figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, non farà l’arringa difensiva al processo d’appello di Caltanissetta, dove l’ex boss di Castelvetrano è imputato per le stragi di Capaci e via D’Amelio. In primo grado, Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo come mandante. Nei giorni scorsi, è stata arrestata la madre dell’avvocatessa, sorella del capomafia.

Inchiesta Covid: indagato a Roma Roberto Speranza, archiviato Giuseppe ConteL’ipotesi di reato per il segretario di Articolo 1 è omissione in atti d’ufficio. Con lui, nel mirino della magistratura sono finiti gli ex titolari della Salute Giulia Grillo e Beatrice Lorenzin, indicati come “responsabili dell’omessa istituzione, rinnovo del Comitato Nazionale per la pandemia”. Indagati anche Ranieri Guerra e quattro tecnici del ministero per falso ideologico. Intanto, il Tribunale dei ministri ha archiviato Giuseppe Conte dopo la denuncia dei familiari delle vittime per la diffusione del Covid-19.


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Tassare i ricchi e i super-profitti per salvare le donne (dai disastri naturali)

di Magdalena Sepúlveda

Il suo nome sarà Aya. Questo è il nome che le infermiere hanno dato alla bambina trovata sotto le macerie di un edificio di cinque piani a Jinderis, nel nord della Siria. Un miracolo. Sua madre, che l’ha partorita nelle ore successive al terremoto di magnitudo 7,8 che ha colpito la Turchia e la Siria nella notte del 6 febbraio 2023, non potrà vederla crescere. È una delle 50.000 vittime del terremoto. Questa storia, tanto tragica quanto piena di speranza, ha commosso la stampa, ma ci ricorda anche che, secondo le Nazioni Unite, più di 350.000 donne incinte nella regione non hanno accesso all’assistenza sanitaria. E questo è solo un aspetto della vulnerabilità delle donne ai disastri naturali.

Magdalena Sepúlveda è Direttore Esecutivo dell’Iniziativa Globale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali e membro della Commissione Indipendente per la Riforma della tassazione delle imprese multinazionali (ICRICT).

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