"La guerra in Ucraina e la pandemia da Covid-19 mostrano, oltre all’orrore di guerre e malattie, la precarietà di uno stato di benessere e sicurezza che davamo per scontato e, anche, le conseguenze della globalizzazione. Il nostro impatto sulla natura è globale: non basta trasferire lontano le produzioni climalteranti, nel medio termine i loro effetti si globalizzano e arrivano a noi. L’ecologia è globale. E l’economia? Ci accorgiamo, con la crisi Ucraina, che la nostra produzione di grano non soddisfa i nostri bisogni. Abbiamo trovato più conveniente abbandonare certe produzioni, trasferendole in paesi dove la manodopera costa poco e dove le leggi che difendono l’ambiente e i diritti umani non esistono o non sono rispettate. E questo non vale solo per il cibo. Magari continuiamo a progettare le nostre macchine, ma le facciamo fare a “loro”. Anche la moda ha delocalizzato. Chiudono le fabbriche, si trasferiscono le produzioni, e poi si riporta in Italia quel che abbiamo progettato, per venderlo. Di solito a prezzi gonfiati rispetto ai costi di produzione."