Disavventure di un cittadino
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Il numero dei mesi che una lettera
dovrebbe rimanere in giacenza. Capita però
che allo sportello l’impiegata comunichi che,
trascorsi 30 giorni, la missiva sia stata rispedita
al mittente: “Si lamenti al numero verde”
Grazie e saluti
Dopo le battaglie, la
risposta: “Ci scusiamo
se il servizio offerto
le ha causato disagio”
GIORGIO MELETTI
P
ossiamo scegliere
tutto, il mercato è
libertà (dicono): il
telefonino, l’e l e ttricità,
il gas, l'autostrada,
il treno. Siamo liberi
di vivere senza gas o senza telefonino.
E se non ci fidiamo
della sanità pubblica possiamo
rivolgerci al guaritore o
alla santona. La sacra libertà
del cittadino consumatore
sarebbe perfetta se non esistessero
le Poste Italiane.
Non c’è scelta e siamo sudditi:
basta che qualcuno ti spedisca
una raccomandata per
trasformarti da libero cittadino
in ostaggio. Il numero uno
di Poste Italiane Francesco
Caio, fresco di quotazione
in Borsa, lo sa: può tagliare
il servizio quanto vuole, il
cliente non può scappare e lo
Stato continuerà a pagare il
sussidio.
STORIA VERA, m ic ro sc op ic a
e significativa. Il 4 novembre
2015 il postino, dopo aver suonato
una sola volta, lascia l’av -
viso di giacenza di una raccomandata.
C’è scritto che trattasi
di atto giudiziario da ritirare
all’ufficio postale entro
sei mesi. Il destinatario se la
prende comoda, e con giusta
ragione. Massimo Sarmi, il
genio del management che
per oltre dieci anni ha guidato
le Poste, decise un giorno di
razionalizzare la consegna
delle raccomandate, concentrandola
in pochi uffici. Prima
gli italiani, popolo pigro e arcaico,
erano abituati a ritirare
le “inesitate” al più vicino ufficio
postale. Adesso devono
mettersi in viaggio. Nel nostro
caso il malcapitato deve
andare a prendersi la raccomandata
a quattro chilometri
da casa, in una città, Roma,
dove il trasporto pubblico è
come se non ci fosse. Così si
presenta per il ritiro il 23 dicembre,
cinquanta giorni dopo
l’avviso.
Allo sportello l’i m pi e g a t a
gli comunica che, trascorsi 30
giorni di giacenza, la raccomandata
è stata rispedita al
mittente. Il poveretto mostra
l'avviso (“L’oggetto rimarrà
giacente per 6 mesi”) e l’acuta
operatrice deduce: “C’è stato
un errore. Deve andare a via
del Portonaccio”. Chi vive a
Roma sa che “via del Portonaccio”
è una sentenza dolorosa
come una diagnosi infausta:
è un luogo sconosciuto ai
più, irraggiungibile, una metafora
dell'aldilà. “Vada a via
del Portonaccio” significa in
italiano corrente: “P re nd it i
un giorno di ferie e fai volontariato
per Poste italiane, per
rimediare al guaio che ti hanno
combinato persone pagate
per darti un servizio”.
Le vive proteste della vittima
impietosiscono l’a c ut a
sportellista: “Allora provi al
numero verde”, dice con tono
perplesso, tipo “a tuo rischio e
pericolo”. Infatti chiamare il
numero verde è come mettere
un messaggio nella bottiglia.
La risoluta operatrice si rifiuta
di dare spiegazioni sull’ac -
caduto, si fa dare gli estremi
del caso e “apre il reclamo”. Inutile
anche chiedere che cosa
accadrà: “Non è mia competenza,
qualcuno la chiamerà”.
Invece nessuno chiama,
ma dopo soli 50 giorni arriva
la lettera di un “responsabile
qualità” che fornisce gli “op -
portuni chiarimenti”. Egli, il
“responsabile qualità”, in ben
50 giorni di strenuo impegno
ha scoperto “a seguito delle
nostre verifiche” che “il plico
in questione risulta rinviato al
mittente al
termine della
prescritta
giacenza da
Roma Esquilino
Cpd” .
Folgorante la
c on cl us io ne :
“Ci rammarichiamo
che il
servizio offerto
possa averle causato disagio
e insoddisfazione”.
UN INTELLETTUALE la chiamerebbe
stratificazione delle
culture. Decenni di regime
Dc-An-Cisl hanno fatto delle
Poste l’azienda capace di rispondere
a un cliente – che
chiede come mai la sua raccomandata
è tornata al mittente
dopo 30 giorni anziché dopo
sei mesi come scritto nell'avviso
– che non è successo
niente, è tutto in regola, sono
cavoli suoi e può quindi dire
addio alla raccomandata. Poi
però si innesta la cultura Mc
Kinsey di Caio che aggiunge il
ra mmar ico
per l’i ns o ddisfazione
del cliente al
quale è stato
appena detto
che non c’è
stato alcun
disservizio.
Per fortuna
in calce alla
lettera c'è scritto che per ulteriori
informazioni si può richiamare
il numero verde.
L’addetto fornisce alcune interessanti
notizie. La prima è
che la collega che aprì il reclamo
a dicembre “non ha scritto
niente”, ma ha un’attenuante:
“Era femmina”. La seconda è
che “anche il responsabile
qualità non ha capito niente”.
Pronta la soluzione: “Riapria -
mo il reclamo”. Alla richiesta
di maggiori spiegazioni su
che cosa è successo egli si irrita.
Non devono avergli detto
che è pagato per dare informazioni
e non solo per “ria -
prire il caso”. Niente da fare.
Si innervosisce: “Signore, vogliamo
risolvere il caso o no?”.
Siccome il cliente insiste per
sapere, il postale riattacca il
telefono. Tanto Caio è un uomo
digitale, mica si occupa di
come il suo call center tratta
iclienti. Egli si occupa solo di
tagliare il servizio universale
e i relativi costi. Tanto che,
quando ha quotato in Borsa la
società, ha dovuto ammettere
che la “raz ion ali zzaz ion e”
del servizio universale e la
connessa riduzione dei costi
sono soggette “a rischi connessi
al contenzioso amministrativo
dovuto alle impugnative
promosse dai comuni”.
Eccola, la meravigliosa cavalcata
nella modernità.
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