lunedì 29 dicembre 2014

Vogliamo un’Italia senza barriere architettoniche LE BUONE PRATICHE

di Domenico
Finiguerra
Viene definita barriera architettonica qualunque
elemento fisico o senso-percettivo
che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti
o la fruizione di servizi, soprattutto per
le persone con limitata capacità motoria o sensoriale.
Una scala, un sopralzo, un attraversamento,
un marciapiede, una porta. Sono molti
gli ostacoli che possono rendere impossibili o
difficoltosi l’accesso a edifici e la mobilità di disabili,
anziani, bambini, genitori e nonni con il
passeggino, donne in dolce attesa. Esiste vasta
legislazione in materia, esistono già norme e
strumenti di pianificazione per abbattere le barriere
esistenti e in quasi tutte le Regioni è obbligatoria
la destinazione di una quota degli
oneri di urbanizzazione per rimuovere le stesse
barriere (e con tutto il cemento vomitato negli
ultimi anni e i miliardi di oneri incassati dai comuni
dovremmo essere al livello dei paese scandinavi).
Purtroppo, però, le priorità in Italia sono
altre e la minoranza di persone che patisce la
propria condizione di svantaggio si vede sempre
sorpassata nel riconoscimento del proprio diritto
da esigenze definite superiori (da altri). E
pensare che se l’intero paese affrontasse questo
problema “di petto”, stanziando le risorse necessarie
e sbloccando molti dei limiti (come il
patto di stabilità) che impediscono ai comuni di
realizzare piccole opere sul territorio, ne trarrebbe
beneficio l’intero comparto dell’edilizia.
Ma occorre una cosciente volontà politica.
Quella che porta a scegliere di realizzare l’ade -
guamento dell’ingresso di una scuola al posto
dell’ennesima rotonda con monumento arboreo
o scultoreo vicino al centro commerciale.
Una volontà che nascerebbe solo se i decisori
pubblici si mettessero nei panni di una persona
costretta su una carrozzina, di un cieco o di un
anziano.
Ai sindaci basterebbe poco. Girare la propria
città nelle condizioni di chi ha difficoltà deambulatorie,
di chi è non vedente, sordo, oppure
semplicemente mamma di due gemelli. Percorrendo
in sedia a rotelle lo stesso tragitto casa-
municipio che si compie tutte le mattine fischiettando,
ci si renderebbe conto di come sia
difficile superare un gradino, scendere da un
marciapiede, affrontare la difficoltà una breve
salita o la pericolosità di una rampa in discesa
con pendenza superiore all’8%. Andando in posta
con gli occhi bendati o con gli occhiali che
simulano l’ipovisione si capirebbe quanto siano
importanti i segnali acustici, la presenza di corrimano
e l’assenza di piccoli dislivelli sulla strada.
Una volta affrontato questo “safari” sarà poi
sufficiente rileggere l’articolo 3 della Costituzione:
(…) È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica
e sociale del Paese”.
Quindi cosa stiamo aspettando? Serve forse un

diktat della Trojka? il fatto quotidiano 29 dicembre 2014

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