lunedì 29 dicembre 2014

Tutte le domande alle quali RE GIORGIO non ha mai risposto “Il nuovo Presidente della Repubblica dovrà essere una persona che non firmi qualsiasi cosa, una persona di buon senso, una persona normale e al di fuori degli schieramenti politici” Beppe Grillo • 18 dicembre 2014 “ Io al Colle? No, come si dice, the game is over, la gara è finita: sono tutti giovani, tutti nuovi, quindi uno deve capire quando è il proprio tempo e quando il proprio tempo è passato” Romano Prodi • 28 febbraio 2014

IL PREMIER E IL CONDANNATO
CON RENZI AL GOVERNO, I SUOI
MONITI SI SONO FATTI PIÙ RADI,
MA NON MENO DISCUTIBILI E
INDECENTI. IL 1° AGOSTO 2013 B. FU
CONDANNATO A 4 ANNI PER FRODE
FISCALE. POI LEI LO INVITÒ E
RICEVETTE AL COLLE. È NORMALE?
PROCURA DI MILANO COME SI
È PERMESSO DI IMPORRE AL CSM,
CON UNA LETTERA RIMASTA
SEGRETA, DI SBIANCHETTARE
LE CRITICHE ALL’OPERATO DI BRUTI
LIBERATI NELLA GESTIONE DEL
CONFLITTO APERTO CON IL SUO
AGGIUNTO ALFREDO ROBLEDO?
ROMA E SICILIA QUANDO
LA GIUNTA DEL SENATO DISCUTE
LA DECADENZA DI B., VIOLANTE
E ALTRI INVOCANO UNO STOP.
TRAPELA L’APPREZZAMENTO
DA PARTE SUA. NON S’È MAI
VERGOGNATO DELL'INTERFERENZA?
E IL CASO LO VOI A PALERMO?

di Marco Travaglio
Signor Presidente, quando uno dei suoi migliori predecessori,
Sandro Pertini, fu eletto capo dello Stato nel 1978,
Indro Montanelli gli inviò il seguente telegramma: “Che
Dio le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si
possono e si debbono fare; l’umiltà di rinunziare a quelle che si
possono ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si
possono fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle
altre”. È un vero peccato che Montanelli, essendo scomparso nel
2001, non abbia potuto inviarlo anche a lei quando fu eletto nel
2006 e rieletto nel 2013. Le sarebbe senz’altro servito a evitare un
sacco di errori, abusi di potere e deragliamenti dai confini fissati
dalla Costituzione, che invece hanno costellato l’intero suo settennato
e anche il post-scriptum degli ultimi 20 mesi. Manca lo
spazio per riassumerli tutti: li troverà, nel caso in cui le servisse un
ripasso, nel libro Viva il Re! uscito un anno fa. Qui ci limitiamo a
quelli del suo secondo mandato, che da soli bastano e avanzano a
fare di lei il peggior presidente della storia della Repubblica.
A termine e a condizione. Lei, il 20 aprile 2013, quando smentì ciò
che aveva ripetutamente giurato agli italiani e accettò la rielezione
al Colle su richiesta delle cancellerie europee, di Mario Draghi, del
governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ma soprattutto dei vecchi
partiti (terrorizzati dalla candidatura di Stefano Rodotà, che
avrebbe impedito la riedizione delle larghe intese Pd-Berlusconi,
già peraltro bocciate dagli elettori due mesi prima), annunciò
subito che il suo secondo mandato sarebbe stato “di scopo”, limitato
a misteriosi “termini entro i quali ho ritenuto di poter
accogliere in assoluta limpidezza l’invito ad assumere ancora l’incarico
di presidente”. Sarebbe così gentile da indicarci quale articolo
della Costituzione prevede l’elezione condizionata e temporanea
del capo dello Stato, visto che l’articolo 85 stabilisce in
assoluta limpidezza che “il presidente della Repubblica è eletto per
sette anni”?
L'abbraccio allo Statista. In quei giorni il Corriere scrisse che – per
indurla ad accettare il bis – “decisivo sarebbe stato il colloquio tra
Napolitano e Berlusconi. Il presidente avrebbe dato atto all’ex
premier di avere avuto, in questa difficile fase, un ‘comportamento
da statista’. Prima del congedo, fra i due vi sarebbe stato un
lungo, caloroso abbraccio, talmente toccante da suscitare emozione
nel portavoce di Napolitano, Pasquale Cascella”. Dal Quirinale,
nessuna smentita. Davvero, Presidente, bastava un sì alla
sua rielezione per trasformare un pluriprescritto
per reati gravissimi, plurimputato
per concussione e prostituzione minorile
e per corruzione di senatori, nonchè
condannato in appello per frode fiscale,
in un insigne “statista”?
La Repubblica di Falò. Il 22 aprile 2013,
mentre lei preparava il suo discorso di
reinsediamento, i giudici di Palermo erano
costretti da un’inaudita sentenza della
Corte costituzionale a distruggere i
cd-rom contenenti le quattro conversazioni
legittimamente intercettate sui telefoni
di Nicola Mancino, coinvolto nelle
indagini sulla trattativa Stato-mafia. Vuole
spiegarci, una volta per tutte, cosa contenevano
di tanto imbarazzante per lei
quelle telefonate, al punto da spingerla a
sollevare un inaudito conflitto di attribuzioni
con la Procura di Palermo per sottrarre
ai cittadini un fondamentale elemento
di conoscenza su un capitolo così
buio della storia d'Italia?
Il Discorso del Re. Lo stesso 22 aprile 2013, nel pomeriggio, lei si
affacciò alle Camere riunite per un discorso programmatico del
tutto sconosciuto alla Costituzione e alle democrazie parlamentari,
tipico dei discorsi della Corona e dei capi delle repubbliche
presidenziali. Dopo aver giustificato il suo bis con la favola del
drammatico allarme” per l’“impotenza” del Parlamento a eleggere
il suo successore (si era votato per appena due giorni, mentre
in passato i tentativi a vuoto per l’elezione del Presidente erano
durati anche 12 giorni), lei intimò al Parlamento di “riformare la
seconda parte della Costituzione” in base ai “documenti dei due
gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo” (i famosi “saggi”
nominati al di fuori del Parlamento, non si sa bene con quale
legittimità democratica). A che titolo lo fece, visto che aveva appena
giurato per la seconda volta di difendere la Costituzione, non
certo di rottamarla? Non contento, lei minacciò il Parlamento che
l’aveva appena rieletta e il governo che lei stava per formare: “Ho
il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità
come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne
le conseguenze dinanzi al Paese... Eserciterò le funzioni fino a
quando la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerirà e
comunque le forze me lo consentiranno”. Cioè: se e finchè fate
come voglio io, resto e vi salvo dai guai; se mi disobbedite, me ne
vado e vi lascio nelle peste. Si è mai reso conto che questo si chiama
ricatto a due poteri dello Stato –il legislativo e l’esecutivo –che da
quel momento non sono stati più liberi né sovrani di operare,
sotto la spada di Damocle della sua minaccia?
Il Governo del Presidente. Incurante del popolo sovrano che appena
due mesi prima aveva platealmente bocciato le larghe intese
(e dell’impegno preso da Pd e Pdl con i rispettivi elettori di non
governare mai più insieme), lei aggiunse di aver accettato la rielezione
per propiziare un governo di “convergenza fra forze politiche
diverse”. Ma non tutte: solo quelle dell’“appello rivoltomi
due giorni orsono”. Cioè dei partiti che le avevano chiesto il bis
(Pd, Pdl, Centro montiano, Lega Nord). Esclusi dunque i 5Stelle,
Sel e Fratelli d’Italia. S’è mai reso conto che il capo dello Stato,
durando in carica 7 anni e avendo il potere di nominare il capo del
governo e i ministri (che durano in carica al massimo 5 anni), non
può subordinare la sua elezione al crearsi di questa o quella maggioranza
governativa? Appena due giorni dopo, lei incaricò Enrico
Letta, scelto da Silvio Berlusconi in persona, cioè da colui che
aveva perso sonoramente le elezioni con 6,5 milioni di voti in
meno. E fece subito capire chi era il vero premier, imponendo al
Letta travicello cinque suoi fedelissimi in altrettanti ministeri-
chiave: Saccomanni all’Economia, Bonino agli Esteri, Cancellieri
alla Giustizia, Giovannini al Lavoro, Quagliariello alle Riforme.
Conosce qualche precedente simile, nella storia delle democrazie
perlamentari?
Saggi su saggi. Il 29 maggio il governo Letta, in accordo con lei,
nominò altri 35 “saggi” extraparlamentari, quasi tutti di stretta
obbedienza quirinalesca, per scrivere le riforme costituzionali da
approvare – assicurò il premier – in Parlamento “entro 18 mesi”
per “dare immediato seguito all’impegno preso nel momento in
cui si è chiesto a Napolitano di essere rieletto”. E, per abbreviare i
tempi, partorì un ddl costituzionale che stravolgeva tempi e modi
dell’articolo 138 della Costituzione, quello che regola le riforme
costituzionali, e apriva la strada a ogni possibile scassinamento
della Carta a tappe forzate. Il 1° giugno lei diede a governo e
Parlamento un anno per varare le riforme che le garbavano: “Di
qui al 2 giugno del prossimo anno l’Italia dovrà essersi data una
prospettiva nuova”, anche perchè l’esecutivo “è una scelta eccezionale
e senza dubbio a termine”. Come lui. Il 5 giugno Barbara
Spinelli criticò sul Fatto l’ennesima sua interferenza nel potere
esecutivo e legislativo, e lei si autosmentì, definendo “ridicolo
falso” la notizia che lei avesse “posto un termine al governo”. Poi
il 6 giugno, non si sa a che titolo, ricevette i nuovi saggi ricostituenti
col ministro Quagliariello, per giunta a porte chiuse. Può
dirci quali articoli della Costituzione le consentivano quelle invasioni
di campo?
Un condannato al Quirinale. Il 24 giugno Berlusconi fu condannato
a 7 anni dal Tribunale di Milano per concussione e prostituzione
minorile e sparò a palle incatenate sulla magistratura,
paragonata a un “plotone di esecuzione”. Due giorni dopo lei
invitò e ricevette il neocondannato “per un ampio scambio di
opinioni sul momento politico e istituzionale”. Tutto normale,
Presidente?
Cicciobomba cannoniere. Il 29 giugno Camera e Senato approvarono
una mozione Sel-M5S che impegnava il governo a sospendere
l’acquisto di cacciabombardieri F-35 dall’americana
Lockheed fino al termine di un’indagine conoscitiva del Parlamento
sui costi e la sicurezza dei velivoli. Lei, furibondo, il 3 luglio
riunì il Consiglio Supremo di Difesa ed esautorò il potere legislativo:
La facoltà del Parlamento non può tradursi in un diritto
di veto su decisioni che... rientrano tra le responsabilità costituzionali
dell'esecutivo”. Se n’è mai pentito?
Dissidente deportata, Alfano salvato. Il 16 luglio il ministro
dell’Interno Angelino Alfano lesse in Parlamento una relazione
piena di bugie sul rapimento in Italia e la deportazione in Kazakhstan
di Alma Shalabayeva –moglie di un dissidente kazako –
e della figlioletta Alua a opera della polizia e dei vertici del Viminale.
I 5Stelle e Sel presentarono una mozione di sfiducia individuale
contro di lui. Il Pd di Epifani, su pressione di Matteo
Renzi, chiese le sue dimissioni, ma poi fece marcia indietro quando
lei monitò: “È assai delicato e azzardato invocare responsabilità
oggettive per dei ministri”. Presidente, s’è poi accorto
dell’articolo 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili…
individualmente degli atti dei loro dicasteri”?
Troppa grazia, San Giorgio. Il 1° agosto 2013 la sezione feriale della
Cassazione presieduta da Antonio Esposito emise la sentenza definitiva
del processo Mediaset: B. condannato a 4 anni per frode
fiscale. Mentre il Caimano tuonava contro i giudici in un videomessaggio
eversivo, lei monitò dalla Val Fiscalina un incredibile
elogio per il “clima più rispettoso e disteso” che aveva accompagnato
il verdetto e auspicò “che possano ora aprirsi condizioni
più favorevoli” per la riforma della giustizia. I berluscones chiesero
a gran voce la grazia presidenziale per il capo. Lei, il 2 agosto,
non la escluse, anzi: “C’è la legge a stabilire quali sono i soggetti
titolati a presentare la domanda di grazia”. Poi ebbe una lunga
conversazione telefonica col neopregiudicato. Bondi, Cicchitto e
Santanchè intanto le rammentavano i protocolli segreti della sua
rielezione e delle larghe intese: “pacificazione”, cioè grazia. Il 5
agosto, di ritorno dalle ferie, lei ricevette i capigruppo Pdl Brunetta
e Schifani venuti a chiederle la grazia e promise di “esaminare
con attenzione tutti gli aspetti delle questioni prospettate”.
Csm e Pg della Cassazione avviarono col suo consenso un
procedimento disciplinare e una pratica di trasferimento per il
giudice Esposito, imputandogli un’intervista a Il Mattino e ignorando
che era stata manipolata per inserirvi riferimenti alla sentenza
su B., mai pronunciati dal magistrato. Il 13 agosto lei diramò
una lunga nota in cui spiegava a B. che fare per ottenere la grazia:
presentare una domanda”; accontentarsi di una grazia sulla “pena
principale” (quella detentiva e non quella accessoria dell'interdizione
dai pubblici uffici); “prendere atto” della sentenza e
rispettare i giudici, anche se è “comprensibile” il “turbamento e la
preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità
che ha guidato il governo... leader incontrastato di una
formazione politica di innegabile importanza”; sostenere lealmente
il governo. Ripensandoci, non trova incredibile che lei,
appena 12 giorni dopo una sentenza, abbia speso tanto tempo e
tante parole per far balenare una grazia incostituzionale a un
politico condannato per un delitto così grave e ancora imputato in
altri processi?
Lodo Napolitano-Violante. A settembre la giunta per le elezioni del
Senato iniziò a discutere della decadenza del condannato B., prevista
in automatico dalla legge Severino. Ma ecco farsi avanti un
plotoncino di giuristi legatissimi al Quirinale e capitanati dal
saggio” Luciano Violante che invocavano uno stop in attesa che
la Consulta e le Corti europee si pronunciassero sulla legittimità
della Severino e della sentenza della Cassazione, per salvare il
seggio al neopregiudicato che ricattava tutti minacciando il governo.
Lei fece sapere di aver “letto con attenzione e apprezzamento”
il “lodo Violante” (poi fortunatamente ignorato dalla
maggioranza in Senato). Presidente, s’è mai vergognato di quell'ennesima
interferenza? E, già che ci siamo: intervistato da Bruno
Vespa per il suo ultimo libro, il ministro Alfano ha rivelato che lei,
in un incontro a quattr’occhi nel settembre 2013, si disse “pronto
a concedere la grazia”, anche motu proprio (cioè senza domanda),
se B. si fosse dimesso da senatore prima che il Senato votasse la sua
decadenza e, per soprammercato, a lanciare un appello al Parlamento
per un provvedimento di amnistia e indulto (cosa che
fece l’8 ottobre, fortunatamente inascoltato). Lei non ha mai
smentito.
Sono dunque ridicole panzane quelle che lei ha poi raccontato il
20 ottobre 2013, quando definì “ridicole panzane” le notizie sulla
sua promessa di grazia a B.?
Testimone obtorto Colle. Da quando, il 17 ottobre 2013, la Corte
d’Assise di Palermo la convocò come teste nel processo Trattativa,
lei fece il possibile e l’impossibile per sottrarsi al suo dovere di
testimoniare, sostenendo di non aver “alcuna conoscenza utile da
riferire” su quanto le scrisse il suo consigliere Loris D'Ambrosio
(poi scomparso) su confidenze fattele a proposito di “indicibili
accordi” fra Stato e mafia. Perchè allora quando il 28 ottobre 2014
si decise finalmente a testimoniare, parlò per più di tre ore, rivelando
importanti fatti che aveva taciuto per vent’anni (il progetto
di attentato mafioso contro di lei e Spadolini nel luglio ’93; il
timore di un “colpo di Stato”; la consapevolezza dei vertici dello
Stato che le bombe mafiose fossero finalizzate a ricattare il governo
Ciampi per ottenere l’alleggerimento del 41-bis)?
Nessuno tocchi Nonna Pina. Nel novembre 2013 finì nei guai la
ministra della Giustizia Cancellieri, indirettamente intercettata
sui telefoni della famiglia Ligresti mentre solidarizzava con gli
amici imprenditori plurinquisiti per il crac della Fonsai (di cui era
manager il figlio), si metteva a loro disposizione, brigava per fare
scarcerare Giulia Ligresti e si abbandonava a dure critiche ai magistrati.
Dinanzi alla mozione di sfiducia di M5S e Sel e alla richiesta
di dimissioni avanzata anche da Renzi, lei tornò a interferire,
ricevendo la ministra e auspicando “l’ulteriore pieno
sviluppo dell’azione di governo da lei avviata”. Letta telefonò a
Renzi: “Ho sentito il presidente della Repubblica, ti chiediamo di
ritirare la tua richiesta”. E l’indecente ministra si salvò, come
Alfano. Signor Presidente, che cos’è per lei il Parlamento?
Parlamento abusivo, dunque è ok. Il 4 dicembre 2013 la Consulta
cancellò il Porcellum, giudicandolo illegittimo sia per l’abnorme
premio di maggioranza al partito o alla coalizione più votati, sia
per le liste bloccate che “alterano per l’intero complesso dei parlamentari
il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti...
coartano la libertà di scelta degli elettori... contraddicono il principio
democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto”. E così
delegittimò in radice l’attuale Parlamento eletto con quella legge,
il presidente della Repubblica e il governo da esso espressi, nonché
la maggioranza che non esisterebbe senza il premio abnorme ora
cassato. Ce n’era abbastanza per mettere subito in cantiere una
riforma elettorale purchessia (semprechè non si condividesse
quella disegnata dalla Corte depurando il Porcellum dai suoi profili
incostituzionali: il proporzionale puro con preferenza unica,
simile alla legge elettorale con cui si votò nel 1992) e poi sciogliere
le Camere infette e restituire rapidamente la parola agli elettori,
cioè al popolo sovrano. Lei invece, il 5 dicembre, prim’ancora che
la Corte depositasse le motivazioni della sentenza, se ne infischiò:
decise che “questo Parlamento è legittimo” e gli dettò un programma
per l’intera legislatura: “riforma elettorale che superi il
sistema proporzionale” e “modifiche costituzionali almeno per il
numero dei parlamentari e per il bicameralismo perfetto”. Ma
come si permise il presunto “garante della Costituzione” di imporre
a un Parlamento appena dichiarato antidemocratico e abusivo
dalla Consulta di restare in piedi sino a fine legislatura, e
addirittura di modificare la Costituzione e la legge elettorale, dandogli
per giunta precise indicazioni sui modelli da seguire?
Un anno vissuto indecorosamente. Il 2014, che sta sta per concludersi,
è stato l’anno di Matteo Renzi. Che il 18 gennaio siglò,
con la benedizione del Colle, il Patto del Nazareno con B. per farlo
rientrare dalla finestra dopo che era uscito dalla porta a fine novembre,
abbandonando il governo Letta all’indomani della sua
decadenza da senatore. Il giovane e spregiudicato segretario del
Pd, a metà febbraio, defenestrò Enrico Letta per prenderne il
posto e il 22 febbraio giurò nelle mani di un Napolitano inizialmente
contrariato, poi sempre più rassegnato, infine addirittura
complice. Lei comunque, Presidente, non rinunziò a mettere le
mani nella lista dei ministri: non per escluderne gli impresentabili,
ma per cancellare dalla casella della Giustizia l’elemento
migliore della lista renziana: il pm anti-’ndrangheta Nicola Gratteri,
cassato in nome di un’inesistente “regola non scritta” che
escluderebbe a priori i magistrati dalla carica di Guardasigilli (e
allora perchè lei, nel 2010, nominò a quell’incarico il magistrato
forzista Francesco Nitto Palma, nel terzo governo B.?). Con Renzi
a Palazzo Chigi, i suoi moniti ed esternazioni si sono fatti più radi,
ma non per questo meno discutibili o indecenti (almeno quanto
certi suoi silenzi).
Presidente, non conosceva proprio un giurista meno compromesso
con l’Ancien Regime e in conflitto d’interesse di Giuliano
Amato da nominare alla Consulta? Sicuro di aver detto tutta la
verità sulla nascita del governo Monti nel novembre 2011, alla
luce delle rivelazioni di Alan Friedman sui suoi abboccamenti col
Professore fin dall'aprile di quell’anno?
Perchè lei ha smesso di sferzare il Parlamento affinchè elegga il
quindicesimo giudice costituzionale, lasciando la poltrona vacante
ormai da sei mesi?
Anzichè telefonare un giorno sì e l’altro pure ai due marò imputati
in India di un duplice omicidio ed elevarli a eroi nazionali, perchè
non ha mai trovato il tempo e le parole per esprimere la solidarietà
e la vicinanza dello Stato al pm Nino Di Matteo, condannato a
morte da Cosa Nostra (con tanto di tritolo già acquistato dai boss
e nascosto a Palermo) e al pg Roberto Scarpinato, minacciato fin
dentro il suo ufficio da uomini di apparato ben sicuri dell'invisibilità
e dell’impunità?
Con che faccia il 2 aprile scorso ha ricevuto al Quirinale il pregiudicato
B. “per parlare delle riforme e del fronte giudiziario”
(Corriere della sera, mai smentito)?
Come si è permesso, a luglio, di bloccare il Csm che stava per
votare per Guido Lo Forte come nuovo procuratore di Palermo,
costringendo il Plenum a seguire l’ordine cronologico delle nomine
(mai seguito prima) solo per rinviare la decisione al successivo
Consiglio, che poi ha nominato Franco Lo Voi, guardacaso
il candidato meno titolato ed esperto, ma più gradito ai
politici di destra e di sinistra, e naturalmente a lei?
A che titolo una figura super partes quale dovrebbe essere la sua ha
continuato a difendere il Jobs Act e le controriforme della giustizia
e della Costituzione, invitando opposizioni, sindacati e
Anm a non opporsi?
Come si è permesso di imporre al Csm, con una lettera rimasta
segreta, di sbianchettare le critiche all’operato del procuratore di
Milano Edmondo Bruti Liberati nella gestione del conflitto aperto
con il suo aggiunto Alfredo Robledo, incancrenendo così lo scontro
nell’ufficio giudiziario più cruciale d'Italia?
Quando ha scoperto che “il bicameralismo perfetto fu un errore
dei padri costituenti”, visto che lei entrò in Parlamento nel lontano
1953 senza mai dire una parola? E perchè non s’è accorto che
il Senato è un inutile doppione della Camera” nel 2005, quando
accettò la nomina a senatore a vita senza fare un plissè?
Che le è saltato in mente di cerchiobottare fra guardie e ladri,
mettendo sullo stesso piano il dilagare di corruzione e crimine
organizzato – divenuti un tutt’uno nel sistema Mafia Capitale – e
il presunto e imprecisato “protagonismo dei pm”?
Come può chiedere ai magistrati di “non guardare con diffidenza
i politici”, quando i politici sono i più corrotti dell’Occidente? E
con che faccia può definire “eversiva” la cosiddetta “anti-politica”,
quando la politica si riduce alla fogna degli scandali Expo,
Mose e Mondo di Mezzo, questi sì “eversivi”?
Perchè non ha detto una parola – da garante della Costituzione –
sull’Italicum che riproduce gran parte dei profili di incostituzionalità
già sanzionati dalla Consulta nel Porcellum?
Quando invoca il “rinnovamento” contro i “conservatorismi”,
non le viene da ridere, essendo il primo freno al cambiamento,
con la sua rielezione a 88 anni e con l’imbalsamazione dell’Ancien
Regime di cui è sempre stato il santo patrono e il lord protettore?
Non s’è pentito di aver così platealmente attaccato, anche in campagne
elettorali, un movimento politico con milioni di voti come
i 5Stelle, tacendo invece sull’ultima versione sempre più razzista e
fascistoide della Lega Nord?
Perchè, dopo averlo duramente censurato ai tempi di Prodi e in
parte di B., ha smesso di denunciare l’abuso di decreti e fiducie da
parte dei governi Monti, Letta e Renzi, guardacaso i tre creati o
avallati da lei all’insaputa degli elettori?
S’è mai domandato perchè, fino a tre anni fa, lei godeva di oltre
l’80% di consenso nei sondaggi, mentre dal governo Monti in poi
è sceso sotto il 50?
Non crede di aver abusato del suo potere lanciando continue
minacce al governo e al Parlamento, tipo “riforme o me ne vado”,
ma anche “riforme o resto”?
Siccome tutti nel Palazzo sanno che il 14 gennaio 2015 lei annuncerà
le sue dimissioni, non le pare il caso di comunicarlo
anche ai cittadini italiani, anziché seguitare a sfidarli con sciarade
e indovinelli?
Siccome è al passo d’addio, non crede che il bilancio del suo secondo
mandato sia un fallimento totale, con tutti gli indicatori
economici in picchiata (tranne quelli della corruzione, dell'evasione
e delle mafie) e nessuna delle riforme da lei dettate nel
messaggio di reinsediamento approvate?
Può rassicurarci sul fatto che ora non interferirà nella scelta del
suo successore per rifilarci un suo clone, tipo Giuliano Amato o
Sabino Cassese?
E, siccome considera il Senato un ente inutile, si impegna a evitare
di frequentarlo da senatore a vita e a ritirarsi a vita privata?
È un peccato che Montanelli non sia più fra noi. Altrimenti potrebbe
dedicarle il Controcorrente che riservò nel 1985 a Sandro
Pertini quando lasciò il Quirinale: “Il senatore Pertini ha annunciato
che intende rientrare nella vita politica e ingaggiare battaglia
per il riavvicinamento tra Psi e Pci. Con quest’uomo abbiamo
sbagliato due volte. La prima, mandandolo al Quirinale. La seconda,

rimettendolo in libertà”. il fatto quotidiano 29 dicembre 2014

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