giovedì 29 giugno 2023

Il Fatto di domani. Sul Mes Meloni di governo contraddice Meloni di opposizione: “Lo approveremo”. La premier senza pudore attacca De Masi e M5S sui dittatori

 tratto da https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/il-fatto-di-domani-del-28-giugno-2023/

La giornata in cinque minuti

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MES, MELONI GIOCA ALL’ULTIMO SAMURAI, MA GRIDA CONTRO L’OPPOSIZIONE, NON CONTRO L’UE. Il Mes lo approveremo, ma non oggi, e proveremo ad alzare il prezzo con l’Europa. È questo il succo del ragionamento della premier oggi al Parlamento, durante le comunicazioni prima del Consiglio europeo. Discorso agitato e a tratti sopra le righe. Meloni ultimamente si è mostrata nervosa di fronte alle critiche: “Non accetto lezioni da quelli che andavano a braccetto con le dittature comuniste”, ha gridato all’opposizione. Solo l’altro ieri aveva perso le staffe per una contestazione di Riccardo Magi alla Giornata mondiale contro le droghe. Nel merito del Mes, la premier sostiene che “l’interesse dell’Italia è affrontare il negoziato sulla governance europea, dove si discuta nel complesso nel rispetto del nostro interesse nazionale”. Come si usa dire negli affari europei, insomma, Meloni vuole gestire la ratifica italiana del Meccanismo europeo di stabilità, l’unica che manca tra i 27, “con una logica di pacchetto”, cioè come contropartita per trattare sulle altre riforme in discussione in Ue. “State offrendo uno spettacolo indecoroso”, ha detto Conte in Aula per il M5S. Elly Schlein, a Bruxelles, ha affermato che il governo sta mettendo in imbarazzo l’Italia. Al fondo della questione, però, la premier sa che la firma sulla ratifica alla fine dovrà metterla. Lo ha riconosciuto nella replica in Aula, con la formula “mi assumerò le mie responsabilità”, ma lo aveva fatto capire anche Guido Crosetto in un’intervista al Corriere stamattina: “Storicamente avevamo le nostre posizioni, ma lo strumento è cambiato e dobbiamo metterci seduti a ragionare”. In questo percorso a tappe obbligate la Lega ha visto uno spiraglio per differenziarsi dall’alleato ingombrante di FdI, e con il vicesegretario Andrea Crippa ricorda che il Carroccio resta contrario di principio al Mes, ma “ci dica Meloni come fare”. La responsabilità, insomma, a tempo debito dovrà assumersela politicamente tutta lei. Con l’obbligo di dover smentire le posizioni sostenute fino a quando è stata all’opposizione: sul Fatto di domani approfondiremo questi motivi di nervosismo per Meloni.


LA PREMIER: “IL RICHIAMO ALLA PACE È GIUSTIFICARE L’INVASIONE”. LA MISSIONE DI ZUPPI A MOSCA INCONTRA L’OSTILITÀ DEGLI ATLANTISTI. Uno degli attacchi più duri di Meloni non è stato sul tema del Mes, ma su quello della guerra in Ucraina. Qui la premier se l’è presa col M5S e con il professore Domenico De Masi, sociologo del lavoro che lei ha definito “filosofo di riferimento” del Movimento. “De Masi ha detto che vivere sotto una dittatura è meglio che morire, è l’esegesi della vigliaccheria”, ha scandito più volte la premier (prima nella replica alla Camera e poi in quella al Senato). E poi ha definito il richiamo alla pace e la richiesta di fermare l’invio di armi nella mozione del M5S come una giustificazione dell’invasione di Putin. E cita a sproposito Falcone e Borsellino: “Si fa strage di secoli di storia in cui libertà e democrazia sono stati costruiti con il sacrificio di persone come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone”. La premier pensa lo stesso anche della missione vaticana? Quasi, visto che ha dichiarato: “Il governo italiano fa fatto tutto quello che era possibile per sostenere la missione che il cardinale Zuppi. Dopo di che continuo ad essere convinta che il modo più serio per favorire una pace sia mantenere equilibrio tra le forze in campo. Se non avessimo aiutato gli ucraini non ci sarebbe stato bisogno di nessun tavolo di pace, perché ci sarebbe stata l’invasione”. Matteo Maria Zuppi a Mosca è stato ricevuto oggi dal consigliere di Putin Ushakov, al Cremlino, e domani incontrerà il patriarca Kirill. Non previsti incontri al ministero degli Esteri di Lavrov. La missione di pace dell’arcivescovo di Bologna, capo della Cei, inviato dal Papa prima in Ucraina e ora in Russia, prosegue senza annunci e un programma riservato, ma incontra una malcelata ostilità da parte degli atlantisti più convinti. “Con la Russia non si può negoziare, inutile perdere tempo”, afferma il “falco” ucraino consigliere di Zelensky, Podolyak, e sulla stessa linea si schierano anche politici e commentatori più bellicisti. Intanto, mentre il Wall Street Journal rivela che il capo della Wagner Prigozhin con l’ammutinamento puntava a catturare i leader militari russi, da Washington Biden dice che è “difficile dire” se Putin ne sia uscito indebolito. Il Cremlino ha smentito come un “pettegolezzo” invece un articolo del New York Times secondo cui il generale Sergei Surovikin, vice comandante delle operazioni militari russe in Ucraina, sarebbe stato a conoscenza del piano di Prigozhin in anticipo. Surovikin, spesso elogiato dal capo della Wagner, non compare in pubblico dal giorno della rivolta armata.


LA CORTE DEI CONTI BOCCIA IL GOVERNO DEI CONDONI. L’esecutivo incassa l’ennesima tirata di orecchi. E questa volta è la tanto criticata (dal governo) Corte dei Conti a cui Meloni ha tolto già il potere di controllo sui fondi del Pnrr, anche perché – scrivono i giudici contabili – “l’Italia ‘spicca’ per il dato sulle frodi ai danni dei fondi europei, che ha superato i due miliardi di euro nel 2002”, ottime premesse insomma. Poi passa al fisco lasco: “Gli effetti negativi di una politica fiscale basata su frequenti e reiterati condoni sono molteplici” come l’attesa di ulteriori condoni e l’adeguamento dei contribuenti onesti al modus operandi dell’Italia, scrive la Procura generale, anche perché “in congiunture finanziarie complesse, come quelle che hanno contraddistinto la recente storia dell’Italia, il ricorso ai condoni rischia di sollecitare aspettative di ulteriori condoni futuri, resi necessari proprio dalle medesime difficoltà finanziarie”. Un circolo vizioso quindi, una pratica che per la Corte dei Conti “va abolita immediatamente”. Sul Fatto di domani i particolari e le conseguenze a cui andiamo incontro.


SANTANCHÈ IN AULA IL 5 LUGLIO, LE MOSSE “SENZA VERGOGNA” DELLA PITONESSA. La ministra del turismo, Daniela Santanchè, è attesa in aula a Palazzo Madama il 5 luglio per un’informativa. Questo momento è stato richiesto con toni infuocati dalle opposizioni, ma anche da parti della maggioranza e dalla stessa premier, che, pur continuando a sostenerla, l’hanno invitata a riferire. Il perno della vicenda è l’attività della società Visibilia con le inchieste per falso in bilancio e bancarotta. Sul Fatto di oggi abbiamo raccontato come la ministra abbia addebitato nel 2014 alla sua società gli oneri di una Maserati, oltre alla sublocazione, alla stessa Visibilia, di un canone di affitto da 19.200 euro più spesa per un appartamento in via della Rotonda a Roma, nei pressi del Pantheon, per farne la sede della rivista “Ciak”, rilevata da Mondadori. Da amministratrice delegata, Daniela Santanché, tuttavia, chiedeva sacrifici ai dipendenti e deroghe di pagamento ai fornitori: mosse “senza vergogna”, come ha detto una volta Paolo Cirino Pomicino (“Dovrebbe dimettersi. Non conosce vergogna”). E ancora la società Visibilia ha chiesto per i suoi conti in rosso la riduzione di un terzo del debito di 1,9 milioni di euro verso lo Stato e la dilazione in 10 anni. Sul Fatto di domani continueremo a far luce sulle azioni spregiudicate della ministra, tornando sulla vicenda del fondo Negma, che vede coinvolto come avvocato anche il presidente del Senato Ignazio La Russa. Oggi in Parlamento il governo ha dato parere favorevole ad un ordine del giorno del Pd alla Camera che impegna l’esecutivo “a sanzionare gli operatori che avessero usufruito in maniera fraudolenta” della Cassa integrazione Covid. Il testo cita esplicitamente Visibilia Editore.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Lagarde: “Col rialzo dei tassi rischio recessione”. “Sui tassi d’interesse abbiamo ancora da fare”, ha ribadito oggi la presidente della Bce Christine Lagarde, ma stavolta non esclude che un ulteriore aumento non inneschi la recessione: “Il nostro scenario di base non include una recessione” come conseguenza dei rialzi dei tassi, “ma il rischio c’è sempre”. Lagarde ha ricordato che il primo trimestre la crescita della la zona euro è stata “stagnante”, mentre per il secondo trimestre “non ci sono grandi speranze”, poi nel terzo trimestre prevede che sarà moderata.

Il Senato salva Salvini per le accuse su Rackete. Con 82 “sì” e 60 “no” dei partiti dell’opposizione Palazzo Madama ha negato l’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini, nel caso aperto dalla querela per diffamazione sporta dell’ex comandante di SeaWatch3 Carola Rackete. Salvini è accusato di diffamazione aggravata per gli epiteti espressi sulla donna a luglio del 2019: “zecca tedesca, sbruffoncella, complice degli scafisti”.

La mazzata energetica per le famiglie. Nel terzo trimestre la bolletta energetica è aumentata dello 0,4%, ma anno su anno del 7,3: per l’agenzia Arera la spesa tipo di una famiglia tra il 1 ottobre 2022 e il 30 settembre 2023 è stata di 1.150 euro. Una bella batosta, vista anche l’incertezza per il futuro.

Banlieue francesi in rivolta per la morte di un 17enne ucciso dalla polizia. 31 fermati e 24 agenti feriti. Una notte di rivolta nelle periferie di Parigi dopo l’uccisione di un giovane di 17 anni – Naël M. – a Nanterre, cittadina a nord-ovest. Un video mostra il giovane alla guida di un’auto forzare un controllo e si sente l’agente che lo ha fermato sparare all’auto che riprende la corsa.

Rogo del Corano in piazza, tensioni e un arresto a Stoccolma. La manifestazione era stata autorizzata, nonostante fosse a tre giorni dalla festa musulmana del sacrificio. E così un cittadino svedese di origine siriana, secondo cui il libro sacro dell’Islam dovrebbe essere messo al bando, gli ha dato fuoco davanti a una moschea. Un cordone di polizia l’ha difeso dal lancio di pietre. Una persona è stata fermata.


OGGI LA NEWSLETTER A PAROLE NOSTRE

Violenza, aborto, trans: Vox riporta indietro la Spagna (con l’ok dei popolari)

di Alessia Grossi

Che la merce di scambio per un patto di governo post voto del 23 luglio tra il dato per vincente Partito Popolare spagnolo e Vox fosse derogare la legge socialista del “solo sì è sì” contro la violenza sulle donne, il leader dell’ultradestra, Santiago Abascal, l’aveva esplicitato fin da subito al collega conservatore Alberto Núñez Feijóo. Ma che questo patto si traducesse anche nel mettere fin da subito a capo delle regioni in cui i due partiti possono governare insieme personaggi che di questa deroga ai diritti hanno fatto la loro bandiera, neanche lo stesso Pp l’avrebbe immaginato. Eppure succede che in Estremadura, così come nella Comunità Valenciana, a rappresentare il voto espresso dai cittadini alle Regionali del 28 maggio siano propri politici ultraconservatori.

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