martedì 27 giugno 2023

Il Fatto di domani. Santanchè in aula: le 10 domande a cui non può sfuggire. La Wagner e il Cremlino, la versione di Prigozhin: "Una marcia di protesta"

 tratto da https://www.ilfattoquotidiano.it/fq-newsletter/il-fatto-di-domani-del-26-giugno-2023/

La giornata in cinque minuti

 Ascolta il podcast del Fatto di domani

SANTANCHÈ IN AULA (FORSE GIOVEDÌ): LE 10 DOMANDE A CUI DEVE RISPONDERE. “Dimettermi? Su cosa? Sia serio. Andiamo dietro a Report?”. Non ci pensa proprio Daniela Santanchè, almeno per il momento. La ministra per il Turismo, nella bufera dopo le inchieste sul gruppo editoriale Visibilia e sul colosso del biologico Ki Group, continua a ripetere di non aver ricevuto alcun avviso di garanzia. È già tanto che abbia accettato di riferire in Aula nei prossimi giorni, spinta dalla premier Meloni, anche se le modalità sono al centro dell’ultima polemica. A deciderle sarà la conferenza dei capigruppo del Senato, che si riunirà domani alle 16. La formula scelta da Santanchè sarebbe quella dell’informativa, che però al Pd e alle opposizioni non va giù: i dem hanno già presentato un’interrogazione e alla capigruppo potrebbero chiedere un question time con la ministra, che in questo modo dovrebbe rispondere alle precise domande formulate nell’atto ispettivo. Il prossimo question time è previsto per giovedì alle 15, ma la presenza di altri due ministri, e quindi il poco tempo a disposizione, potrebbero far preferire alle opposizioni addirittura quello della prossima settimana. Sul Fatto di domani capiremo quali sono i possibili scenari e, soprattutto, a cosa dovrà (o dovrebbe) rispondere Santanchè. Da sottolineare, intanto, la grave uscita di Guido Crosetto in difesa della collega sul Corriere di oggi, che suona quasi come un avvertimento: “Anche stavolta ho la netta impressione che una parte di soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsi d’altro utilizzino tivù e giornali con fini ben precisi – ha detto il titolare della Difesa –. E agli sciacalli dico: stiano attenti, perché da qualche parte c’è un dossier che aspetta anche voi…”.


ANCHE IL MOLISE VA A DESTRA. SECHI LASCIA PALAZZO CHIGI (PER LIBERO) DOPO UNA RESISTIBILE ASCESA. L’indizio più chiaro era stato l’assenza dalla visita di Meloni a Parigi, per il primo bilaterale con Emmanuel Macron. Mario Sechi, ex direttore dell’agenzia di stampa Agi, lascia la direzione dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi dopo meno di quattro mesi di servizio. Era stato nominato in un momento travagliato per il governo dal punto di vista comunicativo, mentre Meloni era in India ed era appena successo il naufragio di Cutro, dove si è fatta notare la sequela di errori collezionati dalla premier e dal governo (tra cui il non recarsi al palazzetto dove venivano raccolte le bare dei morti). Ora, secondo voci accreditate e non smentite dal diretto interessato, Sechi passerà alla direzione del quotidiano Libero. Prenderà il posto di Alessandro Sallusti, destinato (insieme col fondatore Vittorio Feltri) a trasferirsi al Giornale appena passato dalla famiglia Berlusconi agli Angelucci, proprietari anche di Libero e della Verità. Il rapporto tra Sechi e lo staff di Meloni, raccontano i retroscena, non è mai decollato. Sul Fatto di domani ricostruiremo la resistibile ascesa di Sechi a Palazzo Chigi, e la sua molto più sonora caduta. Intanto, alle elezioni regionali molisane il candidato di centrodestra Roberti ha stravinto, raccogliendo oltre il 60% dei consensi, con un’affluenza ai seggi però ai minimi storici: 47,9%, meno della metà degli aventi diritto al voto.


LA VERSIONE DI PRIGOZHIN E IL SUO FUTURO IN AFRICA. IN RUSSIA TENTATIVI DI NORMALIZZAZIONE. KIEV: “SUPERATO IL DNIPRO”. Come l’annuncio dell’invasione, anche la normalizzazione in Russia passa dai video. Vladimir Putin è apparso oggi per la prima volta sullo schermo al Forum internazionale dei giovani industriali di Tula (regione a sud di Mosca). Anche il nemico numero 1 di Yevgeny Prigozhin, il ministro della Difesa Sergej Shoigu, è comparso in un video mentre è in visita alle truppe al fronte. Nelle ultime ore si erano diffuse voci di una sua sostituzione come parte dell’accordo con Prigozhin. Il capo di Wagner (ancora indagato in Russia, smentito il salvacondotto) secondo i media bielorussi è stato avvistato in un albergo della capitale Minsk. Nel pomeriggio ha postato online un audio di 11 minuti in cui dà la sua versione della rivolta. In sintesi: una protesta contro la decisione delle autorità di sciogliere la sua brigata mercenaria, che non mirava al colpo di Stato ma solo a segnalare i problemi di sicurezza della Russia. Per i servizi britannici il numero di uomini coinvolti nell’ammutinamento di sabato e domenica erano non più di 8000, non i 25 mila dichiarati. Ha parlato anche il ministro degli Esteri Lavrov, affermando che il gruppo di mercenari rimarrà in attività in Mali e in Repubblica Centrafricana, dove è insediato stabilmente come esercito parallelo: il sottinteso sembra essere che lascerà l’Ucraina. Forse è proprio in Africa che Prigozhin sposterà il suo feudo. Lavrov ha anche detto che gli Usa hanno negato un coinvolgimento nella rivolta dei Wagner, accusando invece Macron di aver preso subito le parti di Prigozhin. Sul Fatto di domani leggerete un ritratto del numero 2 di Wagner, il terribile neonazista Dimitri Utkin. Nel frattempo sul campo si continua a combattere. Kiev ha annunciato la liberazione di un villaggio nel Donetsk, ma soprattutto di aver valicato il fiume Dnipro e aver guadagnato un punto di appoggio sulla riva sinistra, vicino a Kherson, da mesi in mano russa.


I FERVORI ATLANTISTI PER LA DESTABILIZZAZIONE DELLA RUSSIA. Oltre alla cronaca, gli eventi che hanno scosso la Russia negli ultimi due giorni sollevano chiaramente interrogativi sulle loro ricadute politiche sul potere in Russia e sulla guerra in Ucraina. I commentatori più ferreamente filo-atlantici in questi giorni hanno esaltato la rivolta di Prigozhin vagheggiando la possibilità di un golpe militare e della fine di Putin. Ma gli analisti più attenti sono tutti concordi nel dire che il dominio dello Zar del Cremlino non scomparirà così facilmente, anche se indubbiamente è entrato in una fase diversa. Sul giornale di domani vedremo anche tutti i rischi di una destabilizzazione della Russia e daremo anche conto del punto di vista dei pacifisti con un’intervista a Paolo Ciani.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Incidente di Casal Palocco, il suv viaggiava a 124 km/h. Andava ben oltre il limite di velocità l’auto guidata Matteo Di Pietro, che il 14 giugno scorso ha travolto in un frontale la Smart su cui viaggiava anche Manuel Proietti, il bambino di 5 anni morto nello scontro. È quanto emerge dall’ordinanza che ha disposto i domiciliari per lo youtuber ventenne. Non si trovano le telecamere con cui stavano registrando.

Grecia, Mitsotakis al governo da solo. Il leader di Nea Demokratia ha prestato giuramento. Con 158 parlamentari su 300 potrà governare da solo per i prossimi 4 anni. La sinistra di Alexis Tsipras crolla a 48 seggi. Tre formazioni di estrema destra hanno superato lo sbarramento del 3%. Tra queste quella degli “Spartani”, erede della neonazista Alba Dorata, sciolto nel 2020 dalla magistratura come organizzazione a delinquere, dopo una serie di omicidi.

Per Sisto, abolire l’abuso d’ufficio fa bene all’economia. “La paura della firma, ha avuto conseguenze economiche dannose specie per chi ha diritto di ricevere dalla P.A. degli adempimenti in tempi ragionevoli”. A dichiararlo è il vice ministro della giustizia, Francesco Paolo Sisto, intervenendo all’evento Futuro Direzione Nord in corso al Palazzo delle Stelline di Milano.


OGGI LA NEWSLETTER IL FATTO ECONOMICO

De Cecco, guerra totale tra i familiari-soci del colosso della pasta

di Nicola Borzi

Le tensioni che da anni covavano sotto la cenere della governance del gruppo abruzzese De Cecco, terzo produttore mondiale di pasta dopo Barilla ed Ebro Foods, sono ormai esplose: è guerra aperta nelle aule dei tribunali. Lo scontro tra due fronti contrapposti della famiglia (le azioni sono in mano a 22 parenti dei tre rami del fondatore Giovanni) che dal 1831 gestisce il gruppo tra Fara San Martino (Chieti) e Pescara, era andato avanti per anni sottotraccia tra pedinamenti, intercettazioni e litigi, ma adesso è sfociato in denunce e processi che con esiti alterni investono direttamente la società, altre aziende del gruppo, amministratori e manager sia attuali che passati.

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