Le meraviglie dei dialoghi sul libero mercato non finiscono qui. Pensiamo all’Ega (Environmental Goods Agreement), un accordo multilaterale, negoziato dall’Ue e altri sedici Paesi – tra cui Canada, Stati Uniti, Svizzera, Giappone, Israele, Cina – che, bypassando il Wto (che ha lanciato un negoziato su beni e servizi ambientali nell’ambito del Doha Development Agenda/Round), mira al nobile obiettivo di abbattere le tariffe sul commercio internazionale di prodotti “green”.
Il fatto che l’Ega sia stato lanciato al vertice di Davos del 2014 ha fatto venire dei sospetti a più di uno. Transport & Environment (T&E), una rete di associazioni con sede a Bruxelles, ha divulgato pochi giorni fa una lista di 650 beni che sono oggetto del negoziato che si svolge in questi giorni a Ginevra. Lista bizzarra e, per molti versi, stupefacente. Di 650 prodotti, secondo T&E, ce ne sono solo 140 (biciclette, turbine idrauliche, Led…) che possono essere effettivamente classificati come “amici dell’ambiente”.
Tanti, non si capisce proprio che cosa c’entrino: le bacchette cinesi di bambù, ad esempio. E poi ci sono circa 140 prodotti, secondo T&E, che non possono proprio definirsi green: scambiatori di calore per i rigassificatori, turbine a gas, biocarburanti e caldaie per la loro combustione, condizionatori d’aria, caldaie per centrali a carbone, prodotti contenenti amianto, motori di aeroplani e molto altro ancora.
Certo, il negoziato (segreto, ovviamente) ancora non è concluso e magari alcuni di questi prodotti verranno esclusi. Ma il fatto che Paesi come Israele, Taiwan e Canada propongano, oggi, i reattori nucleari come “amici dell’ambiente” è francamente disarmante.
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