(di Chiara Spegni)
A meno di un mese dall'ultimo round di negoziati prima della conferenza Onu sul clima di Parigi, le diplomazie europee sono al lavoro. La bozza di accordo in discussione è ancora lunga e costellata di troppe parentesi, anche se grazie alla 'sterzata' ambientalista di Washington e Pechino un'intesa globale ora appare a portata di mano. "Ormai è chiaro che l'accordo non sarà la soluzione al problema dei cambiamenti climatici, ma piuttosto segnerà una nuova fase a livello globale, dopo il trattato di Kyoto" fanno notare fonti comunitarie vicine ai negoziati, facendo una distinzione fra le dichiarazioni politiche e la loro traduzione concreta nel testo in discussione.
Lo stesso segretario esecutivo della convenzione Onu sul clima, Christiana Figueres, recentemente ha ammesso che "gli impegni di riduzione presentati non centreranno l'obiettivo di contenimento del riscaldamento globale entro i due gradi". La battaglia decisiva allora sarà quella "per non appiattirsi su un accordo dai contenuti ai minimi termini, promosso da Usa e Cina" riferiscono fonti diplomatiche, ricordando l'ostilità del Congresso statunitense ad un trattato vincolante. Se è vero infatti che i due grandi emettitori di gas serra sembrano intenzionati ad arrivare ad un'intesa, a difendere le posizioni più ambiziose sono Unione europea, Africa, piccole isole del Pacifico, parte dell'America Latina e Corea del Sud. L'Ue è decisa a portare a casa un trattato obbligatorio, con un obiettivo globale di taglio delle emissioni di gas serra a lungo termine (50% per il 2050 rispetto al 1990 e decarbonizzazione per la fine del secolo) e soprattutto un meccanismo di controllo ogni cinque anni che faccia il punto sui progressi fatti dai singoli Paesi, senza dare la possibilità di fare marcia indietro rispetto agli impegni presi.
Gli europei insomma non sembrano disposti a cedere sul carattere vincolante e dall'altra parte "Stati Uniti e Cina per legittimare un accordo a casa propria devono includere anche l'Unione europea" spiegano le fonti comunitarie, secondo cui "per questo probabilmente si andrà verso un accordo 'quadro' obbligatorio per un impegno globale, corredato da una serie di allegati" non vincolanti, che conterranno gli obiettivi di riduzione presentati dai singoli Stati. E mentre proseguono i contatti fra le grandi economie del Pianeta, di pari passo va anche l'assistenza tecnica di Unione europea e Francia ad almeno una quarantina di Paesi, perché possano presentare i propri impegni di riduzione di gas serra: da Egitto e Marocco, fino ad Argentina, Filippine, Indonesia, Tanzania, Ghana, Samoa e Vanuatu. Dopo l'Assemblea al Palazzo di vetro di New York, il primo giro di boa in vista di Parigi sarà una conferenza organizzata dalla Commissione europea il 12 e 13 ottobre in Marocco, il Paese che assumerà la prossima presidenza dopo la Francia dei negoziati Onu, per fare il punto della situazione. Tappa finale di avvicinamento sarà poi l'ultimo round dei negoziati tecnici, fissato dal 19 al 23 ottobre, a Bonn, in Germania.
A meno di un mese dall'ultimo round di negoziati prima della conferenza Onu sul clima di Parigi, le diplomazie europee sono al lavoro. La bozza di accordo in discussione è ancora lunga e costellata di troppe parentesi, anche se grazie alla 'sterzata' ambientalista di Washington e Pechino un'intesa globale ora appare a portata di mano. "Ormai è chiaro che l'accordo non sarà la soluzione al problema dei cambiamenti climatici, ma piuttosto segnerà una nuova fase a livello globale, dopo il trattato di Kyoto" fanno notare fonti comunitarie vicine ai negoziati, facendo una distinzione fra le dichiarazioni politiche e la loro traduzione concreta nel testo in discussione.
Lo stesso segretario esecutivo della convenzione Onu sul clima, Christiana Figueres, recentemente ha ammesso che "gli impegni di riduzione presentati non centreranno l'obiettivo di contenimento del riscaldamento globale entro i due gradi". La battaglia decisiva allora sarà quella "per non appiattirsi su un accordo dai contenuti ai minimi termini, promosso da Usa e Cina" riferiscono fonti diplomatiche, ricordando l'ostilità del Congresso statunitense ad un trattato vincolante. Se è vero infatti che i due grandi emettitori di gas serra sembrano intenzionati ad arrivare ad un'intesa, a difendere le posizioni più ambiziose sono Unione europea, Africa, piccole isole del Pacifico, parte dell'America Latina e Corea del Sud. L'Ue è decisa a portare a casa un trattato obbligatorio, con un obiettivo globale di taglio delle emissioni di gas serra a lungo termine (50% per il 2050 rispetto al 1990 e decarbonizzazione per la fine del secolo) e soprattutto un meccanismo di controllo ogni cinque anni che faccia il punto sui progressi fatti dai singoli Paesi, senza dare la possibilità di fare marcia indietro rispetto agli impegni presi.
Gli europei insomma non sembrano disposti a cedere sul carattere vincolante e dall'altra parte "Stati Uniti e Cina per legittimare un accordo a casa propria devono includere anche l'Unione europea" spiegano le fonti comunitarie, secondo cui "per questo probabilmente si andrà verso un accordo 'quadro' obbligatorio per un impegno globale, corredato da una serie di allegati" non vincolanti, che conterranno gli obiettivi di riduzione presentati dai singoli Stati. E mentre proseguono i contatti fra le grandi economie del Pianeta, di pari passo va anche l'assistenza tecnica di Unione europea e Francia ad almeno una quarantina di Paesi, perché possano presentare i propri impegni di riduzione di gas serra: da Egitto e Marocco, fino ad Argentina, Filippine, Indonesia, Tanzania, Ghana, Samoa e Vanuatu. Dopo l'Assemblea al Palazzo di vetro di New York, il primo giro di boa in vista di Parigi sarà una conferenza organizzata dalla Commissione europea il 12 e 13 ottobre in Marocco, il Paese che assumerà la prossima presidenza dopo la Francia dei negoziati Onu, per fare il punto della situazione. Tappa finale di avvicinamento sarà poi l'ultimo round dei negoziati tecnici, fissato dal 19 al 23 ottobre, a Bonn, in Germania.
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