Nuovi posti di lavoro per quasi 200 mila persone, maggiore risparmio e più benefici ambientali facendo attenzione ad un uso responsabile delle risorse. Questo lo scenario che l'economia circolare porterebbe in Italia, così come è stato raccontato oggi nel corso della prima giornata del 'Forum rifiuti', la terza Conferenza nazionale, organizzata alla Casa del Cinema a Roma (fino al 23 giugno) da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club, con la partnership del Consorzio obbligatorio degli oli usati (Coou) e il patrocinio del ministero dell'Ambiente.
Il nostro Paese, è stato spiegato, avrebbe settori pronti per l'economia del futuro: riciclo e rigenerazione, bioeconomia, innovazione nell'industria alimentare, chimica, farmaceutica, prodotti confezionati di largo consumo e industria biotecnologica. Senza dimenticare che il settore agricolo produce annualmente 9 milioni di tonnellate di rifiuti e 20 milioni di tonnellate di residui agricoli che "potrebbero trovare un riutilizzo vantaggioso in compostaggio, digestione anaerobica e bioraffinazione"; mentre altro "sviluppo occupazionale ed economico potrebbe venire dal settore in crescita delle bioplastiche".
Le stime a livello europeo parlano di 400 mila nuovi posti di lavoro, possibili grazie ad "un'applicazione rigorosa dell'attuale legislazione sui rifiuti"; oltre ai "180 mila posti per l'applicazione del pacchetto sull'economia circolare" del luglio 2014 (Valutazione d’impatto della Commissione Europea al 2030), mentre per lo stesso orizzonte temporale, uno studio del settembre 2015 dell’Ong britannica Wrap, ipotizzerebbe addirittura 3 milioni di nuovi posti di lavoro tra diretti e indotto.
Per questo viene ritenuto "indispensabile aumentare almeno del 30% entro il 2030 la produttività delle risorse, misurata in base al rapporto tra Pil e consumo di materie prime: prevenzione dei rifiuti, rigenerazione, riparazione e riciclaggio possono generare risparmi netti per le imprese europee pari a 600 miliardi di euro, l'8% del fatturato annuo, riducendo contemporaneamente l'emissione del 2-4% di gas serra".
In Europa il pacchetto sull’economia circolare è in una fase avanzata di definizione. L’Italia si sta lasciando alle spalle le stagioni caratterizzate dalle gravi emergenze rifiuti e può contare su diverse esperienze leader a livello internazionale. L’uso efficiente delle risorse è uno dei principali fattori di competitività delle imprese, considerato che il 40% dei costi che il settore manifatturiero europeo mediamente sostiene è attribuibile alle materie prime, una quota che con i costi dell’acqua e dell’energia arriva fino al 50% del costo di fabbricazione, rispetto al 20% attribuibile al costo del lavoro. Per questa ragione, è indispensabile aumentare almeno del 30% entro il 2030 la produttività delle risorse, misurata in base al rapporto tra PIL e consumo di materie prime.
Dal 1984 a oggi il COOU ha raccolto 5.3 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, il 90% delle quali avviate alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti: il riutilizzo di un rifiuto pericoloso per l’ambiente come l’olio lubrificante usato ha consentito un risparmio complessivo sulle importazioni di petrolio del Paese di 3 miliardi di euro.
Su nove decimi circa dei rifiuti che complessivamente si producono in Italia si hanno informazioni poco chiare o contrastanti. In alcuni settori produttivi non ci sono dati sulla destinazione degli scarti, in molti altri i conti non tornano. L’attendibilità delle cifre diventa sfuggente a causa di autocertificazioni, deroghe, rischi di doppio conteggio. Poco sappiamo soprattutto del destino dei circa 130 milioni di tonnellate di materiali che fuoriescono da aziende e altri settori produttivi: l’attenzione è concentrata solo su una parte dei 30 milioni di tonnellate di scarti che vengono dalle città su un totale complessivo di 161 milioni di tonnellate di rifiuti. Ma in quel quasi 90% dei rifiuti che rimane nel cono d’ombra è contenuta non solo una potenziale bomba ambientale ma anche una vera e propria miniera di materie riutilizzabili per cui si rende invece difficile una ‘second life’. A lanciare l’allarme per un vuoto di informazione e quindi di azione che rischia di mettere il nostro paese in seconda fila nella partenza di nuove forme di economia, lo Short Report ‘Materia rinnovata. Quanto è circolare l’economia: l’Italia alla sfida dei dati’, elaborato dalla rivista Materia Rinnovabile (Edizioni Ambiente) e presentato al Forum Rifiuti di Legambiente. Nella parte non nota c’è la possibilità, a livello europeo, di risparmi di ben 600 miliardi di euro per i settori produttivi, di 580 mila nuovi posti di lavoro, di un taglio del 2-4 % delle emissioni serra.
Il nostro Paese, è stato spiegato, avrebbe settori pronti per l'economia del futuro: riciclo e rigenerazione, bioeconomia, innovazione nell'industria alimentare, chimica, farmaceutica, prodotti confezionati di largo consumo e industria biotecnologica. Senza dimenticare che il settore agricolo produce annualmente 9 milioni di tonnellate di rifiuti e 20 milioni di tonnellate di residui agricoli che "potrebbero trovare un riutilizzo vantaggioso in compostaggio, digestione anaerobica e bioraffinazione"; mentre altro "sviluppo occupazionale ed economico potrebbe venire dal settore in crescita delle bioplastiche".
Le stime a livello europeo parlano di 400 mila nuovi posti di lavoro, possibili grazie ad "un'applicazione rigorosa dell'attuale legislazione sui rifiuti"; oltre ai "180 mila posti per l'applicazione del pacchetto sull'economia circolare" del luglio 2014 (Valutazione d’impatto della Commissione Europea al 2030), mentre per lo stesso orizzonte temporale, uno studio del settembre 2015 dell’Ong britannica Wrap, ipotizzerebbe addirittura 3 milioni di nuovi posti di lavoro tra diretti e indotto.
Per questo viene ritenuto "indispensabile aumentare almeno del 30% entro il 2030 la produttività delle risorse, misurata in base al rapporto tra Pil e consumo di materie prime: prevenzione dei rifiuti, rigenerazione, riparazione e riciclaggio possono generare risparmi netti per le imprese europee pari a 600 miliardi di euro, l'8% del fatturato annuo, riducendo contemporaneamente l'emissione del 2-4% di gas serra".
In Europa il pacchetto sull’economia circolare è in una fase avanzata di definizione. L’Italia si sta lasciando alle spalle le stagioni caratterizzate dalle gravi emergenze rifiuti e può contare su diverse esperienze leader a livello internazionale. L’uso efficiente delle risorse è uno dei principali fattori di competitività delle imprese, considerato che il 40% dei costi che il settore manifatturiero europeo mediamente sostiene è attribuibile alle materie prime, una quota che con i costi dell’acqua e dell’energia arriva fino al 50% del costo di fabbricazione, rispetto al 20% attribuibile al costo del lavoro. Per questa ragione, è indispensabile aumentare almeno del 30% entro il 2030 la produttività delle risorse, misurata in base al rapporto tra PIL e consumo di materie prime.
Dal 1984 a oggi il COOU ha raccolto 5.3 milioni di tonnellate di olio lubrificante usato, il 90% delle quali avviate alla rigenerazione per la produzione di nuove basi lubrificanti: il riutilizzo di un rifiuto pericoloso per l’ambiente come l’olio lubrificante usato ha consentito un risparmio complessivo sulle importazioni di petrolio del Paese di 3 miliardi di euro.
Su nove decimi circa dei rifiuti che complessivamente si producono in Italia si hanno informazioni poco chiare o contrastanti. In alcuni settori produttivi non ci sono dati sulla destinazione degli scarti, in molti altri i conti non tornano. L’attendibilità delle cifre diventa sfuggente a causa di autocertificazioni, deroghe, rischi di doppio conteggio. Poco sappiamo soprattutto del destino dei circa 130 milioni di tonnellate di materiali che fuoriescono da aziende e altri settori produttivi: l’attenzione è concentrata solo su una parte dei 30 milioni di tonnellate di scarti che vengono dalle città su un totale complessivo di 161 milioni di tonnellate di rifiuti. Ma in quel quasi 90% dei rifiuti che rimane nel cono d’ombra è contenuta non solo una potenziale bomba ambientale ma anche una vera e propria miniera di materie riutilizzabili per cui si rende invece difficile una ‘second life’. A lanciare l’allarme per un vuoto di informazione e quindi di azione che rischia di mettere il nostro paese in seconda fila nella partenza di nuove forme di economia, lo Short Report ‘Materia rinnovata. Quanto è circolare l’economia: l’Italia alla sfida dei dati’, elaborato dalla rivista Materia Rinnovabile (Edizioni Ambiente) e presentato al Forum Rifiuti di Legambiente. Nella parte non nota c’è la possibilità, a livello europeo, di risparmi di ben 600 miliardi di euro per i settori produttivi, di 580 mila nuovi posti di lavoro, di un taglio del 2-4 % delle emissioni serra.
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