(le prime 4 foto sono di Vincenzo Serra anni '94/95 che si ringrazia per la gentile concessione. L'immagine a colori durante gli scavi nell'invaso Essezero di 10 anni fa. La foto aerea in basso rappresenta i primi invasi all'inizio dell'attività della discarica)
Borgo Montello dall'11 agosto 1971 cinquant'anni di discarica. Relazione sul ciclo dei rifiuti di Roma Capitale e fenomeni illeciti nel territorio del Lazio.La questione degli illeciti ambientali nel Basso Lazio 7.1 La discarica di Borgo Montello
CAMERA DEI DEPUTATI | SENATO DELLA REPUBBLICA |
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XVII LEGISLATURA
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(istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1)
(composta dai deputati: Braga, Presidente; Bianchi Dorina, Bianchi Stella, Carrescia, Castiello, Cominelli, D’Agostino, De Mita, Narduolo, Palma, Polverini, Taglialatela, Vignaroli, Vicepresidente, Zaratti, Segretario, Zolezzi; e dai senatori: Arrigoni, Augello, Vicepresidente, Cervellini, Compagnone, Iurlaro, Martelli, Morgoni, Nugnes, Orellana, Orru’, Pagnoncelli, Pepe, Puppato, Scalia, Segretario, Sollo)
Relazione sul ciclo dei rifiuti di Roma Capitale e fenomeni illeciti nel territorio del Lazio
(Relatrici: Sen. Paola Nugnes, Sen. Laura Puppato)
Approvata dalla Commissione nella seduta del 20 dicembre 2017
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Comunicata alle Presidenze il 20 dicembre 2017
ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 gennaio 2014, n. 1
7. La questione degli illeciti ambientali nel Basso Lazio
7.1 La discarica di Borgo Montello
La discarica di Borgo Montello è considerata la quarta in Italia per estensione e per volume di rifiuti abbancati. La data d’inizio delle attività di smaltimento è il 1971 (o poco dopo, secondo altre fonti). Oggi occupa un’area di circa 50 ettari, divisi tra due società, la Ind.Eco S.r.l., riconducibile al gruppo Green Holding di Milano e la Ecoambiente S.r.l., con quote divise tra Latina Ambiente (gestore del servizio di raccolta del comune di Latina, partecipata al 51 per cento dall’ente locale e al 49 per cento da società riconducibile alla famiglia Colucci) e società della holding Cerroni.
La storia della discarica è complessa e, per molti aspetti, ancora nebulosa. Nelle passate legislature la Commissione si è occupata di diversi aspetti relativi alla gestione degli invasi, senza, peraltro, mai svolgere inchieste dirette.
Sulla discarica di Borgo Montello aleggia da anni il sospetto di un utilizzo illecito per lo sversamento di rifiuti industriali pericolosi, sotto forma di fusti o di fanghi. Tantissime le testimonianze apparse negli anni scorsi sulla stampa, locale e nazionale. Lo stesso collaboratore di giustizia Carmine Schiavone ha parlato di collegamenti tra il clan dei Casalesi e la discarica di Latina, indicando – nel 1996 a sommarie informazioni e poi, poco prima della sua morte, in interviste a diverse testate giornalistiche – nomi e circostanze riconducibili a sversamenti illeciti di rifiuti nell’area della discarica.
Oggi la discarica è ferma, per l’esaurimento delle volumetrie (fino ad oggi sono stati sversati negli anni più di 6 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, secondo stime conservative). In un caso, l’area gestita dalla Ind.Eco, il sito è stato sottoposto a sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria; l’altro gestore, Ecoambiente, ha operato ed opera su terreni confiscati dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma, nell’ambito di un procedimento penale nei confronti dell’imprenditore De Pierro, accusato di riciclaggio. Una situazione complessa, che si è sviluppata su un’area compromessa dal punto di vista ambientale, come documentato dagli studi ARPA e ISPRA.
La questione dello sversamento di rifiuti pericolosi nel passato ha creato e continua a creare un forte allarme sociale. E’ evidente che la presenza nel sottosuolo di rifiuti pericolosi allo stato sconosciuti, oltre ad essere un indicatore importante di criticità gestionali nel passato (anni ‘80 e ‘90), è un elemento molto importante per la ricostruzione puntuale della criminalità ambientale nella regione Lazio. Accanto a questo elemento non può essere trascurata la ormai consolidata conoscenza delle infiltrazioni della criminalità organizzata nella zona di Latina, che si intreccia inevitabilmente con il business ambientale.
La Commissione ha, dunque, deciso di concentrare l’approfondimento su questo versante, puntando a fornire al Parlamento elementi oggettivi rispetto al traffico illecito di rifiuti pericolosi nell’area di Borgo Montello, anche in connessione con organizzazioni criminali.
Anticipando quanto si dirà oltre in dettaglio, il primo elemento di rilievo riguarda la presenza di rifiuti industriali – anche pericolosi – nell'area di Borgo Montello. Questo elemento ha una importanza chiave anche, e soprattutto, nella fase di bonifica del sito. Dalla documentazione ufficiale raccolta nel corso dell'inchiesta parlamentare non sono emersi approfondimenti istituzionali in questo senso. La regione Lazio, interpellata sul punto, non ha fornito elementi conoscitivi, evidenziando una lacuna istruttoria.
Dalle indagini e acquisizioni della Commissione risulta che nell'area di Borgo Montello sono stati stoccati – extra ordinem e, in alcuni casi, illegalmente – rifiuti speciali pericolosi, tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90. Questo elemento conoscitivo, che ha visto un importante sforzo investigativo da parte della commissione, conferma quanto da sempre sostenuto dalla popolazione locale, allarmata da voci, confidenze e notizie giornalistiche.
Vi è stato un conferimento di rifiuti pericolosi di origine industriale nell'area denominata 2B, come accertato nel corso del processo di primo grado nei confronti di Adriano Musso, amministratore della società Ecotecna, gestore dell'epoca dell'invaso. In questo caso è possibile anche individuare almeno una parte della tipologia di rifiuti sversati, grazie alla consulenza tecnica svolta nel corso di quelle indagini. Si tratta di un caso particolarmente significativo e grave, anche dal punto di vista ambientale. La zona dello sversamento, infatti, era già stata definita all'epoca come non idonea dal punto di vista geologico per la realizzazione di una discarica per rifiuti pericolosi (secondo la normativa dell'epoca, il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982). La regione Lazio, attraverso una semplice ordinanza, permise lo stoccaggio dei rifiuti industriali, indicando il sito come “temporaneo”. Non vi è agli atti nessun elemento che possa indicare il successivo trasporto di quei rifiuti in altro luogo. Anzi, le motivazioni della citata sentenza indicano il contrario. La successiva sentenza di appello ha poi revocato l'ordine di bonifica e ripristino dei luoghi che i giudici di primo grado avevano imposto seguendo il dettato della legge. Nessun elemento che possa far immaginare un successivo intervento di bonifica è stato presentato alla commissione o ritrovato nella copiosa documentazione acquisita. Si deve, dunque, dedurre che quei rifiuti pericolosi di origine industriale siano ancora interrati nel primo strato dell'invaso “2B” (area gestita attualmente dalla società Indeco), poi ricoperta negli anni da altre discariche per rifiuti solidi urbani. Questo elemento dovrebbe essere accuratamente analizzato per capire quale impatto sulle matrici ambientali vi possa essere, considerando anche il tempo trascorso e la già grave situazione della sottostante falda acquifera.
Vi sono poi tanti elementi – concordanti tra di loro – che portano a ritenere altamente probabile – se non sicura – la presenza di rifiuti industriali anche nella zona della discarica a cavallo tra gli invasi S3-S1 (area attualmente gestita, in post mortem, dalla società Ecoambiente). In questo caso le testimonianze raccolte dalla commissione nel corso delle indagini forniscono elementi concordanti con quanto ricostruito dalla pregevole inchiesta della squadra mobile di Latina nel 2013. Uno dei testimoni ascoltati a sommarie informazioni dalla Commissione ha lavorato per lungo periodo all'interno della discarica (tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90) e, dunque, è stato protagonista diretto dei fatti narrati. Questo stesso testimone lavora ancora oggi nel settore dei rifiuti speciali ed è in possesso delle certificazioni necessarie per operare nel campo. Ha, dunque, il necessario know-how per poter fornire informazioni precise. Secondo la sua testimonianza durante il periodo di gestione della discarica da parte della società Pro.Chi arrivavano in media 300-400 fusti al mese. Si può, dunque, facilmente stimare in diverse migliaia i fusti di rifiuti industriali probabilmente interrati in quell'area.
Anche in questo caso l'impatto ambientale potrebbe essere di rilievo. L'area indicata dai testimoni si trova all'interno della zona utilizzata fin dal 2000 dalla societa Ecoambiente per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani. Nel 1998 la società aveva presentato un progetto di messa in sicurezza che escludeva la presenza di rifiuti pericolosi, realizzando un sistema di barramento idraulico con un polder. Tale soluzione, però, è stata ritenuta non idonea da due perizie disposte dalla procura e dal Gup del tribunale di Latina, che hanno deciso di rinviare a giudizio gli amministratori della società, oggi imputati per avvelenamento delle acque. La presenza di rifiuti industriali in quantità significativa – come indicato dai testimoni – potrebbe rappresentare un ulteriore aggravamento della situazione, giù grave, della sottostante falda acquifera. In ogni caso questo elemento deve essere preso in considerazione nell'ambito della bonifica dell'area.
Per quanto riguarda la presenza criminale nell'area, di particolare rilievo è la figura di Michele Coppola, soggetto già indicato nel 1996 dal collaboratore di giustizia del clan dei casalesi Carmine Schiavone come contiguo al gruppo criminale di Casal di Principe. Coppola fin dal 1988-1989 ha vissuto a ridosso della discarica di Borgo Montello. Parte delle proprietà a lui affidate dal clan – secondo quanto ricostruito dallo Schiavone – sono poi state vendute ad uno dei gestori della discarica, la società Indeco. Coppola poteva disporre di diverse armi, come verificato dalla Commissione. Nel dicembre del 1995 venne arrestato nell'ambito del procedimento penale contro il clan Schiavone (processo “Spartacus”); sentenze successive, relative ad altri procedimenti, passate in giudicato, hanno dimostrato la sua appartenenza al clan.
Nel corso dell'inchiesta condotta da questa Commissione sul sito di Borgo Montello sono emersi dettagli significativi rispetto ai contatti stretti tra Coppola e lavoratori della discarica (uno dei testimoni ha raccontato di essere andato a Casal di Principe, dove avrebbe incontrato anche Carmine Schiavone, prima dell'inizio della sua collaborazione, quando, dunque, era pienamente operativo all'interno del clan, in posizione apicale), alcune testimonianze de relato hanno poi indicato punti di contatto tra Coppola ed esponenti politici e delle forze di polizia locali, che destano preoccupazione.
La Commissione ha proceduto a diverse audizioni, i cui contenuti hanno orientato le successive attività. Il 16 marzo 2016 è stato audito Giorgio Libralato, consulente tecnico delle famiglie di Borgo Montello, accompagnato dai rappresentanti dei Comitati riuniti dei borghi Montello e Bainsizza[1]. L’audizione è successiva alla visita della Commissione nella discarica di Borgo Montello, avvenuta subito dopo la discovery processuale (con ordinanza di custodia cautelare) della prima indagine giudiziaria del tribunale di Latina, in epoca recente, sulla società Indeco, gestore di parte della discarica.
E' stato chiesto all’audito di presentare le problematiche della discarica, evidenziando il punto di vista dei cittadini che abitano in prossimità del sito. Giorgio Libralato, a nome dei cittadini di Borgo Montello, ha ricordato la presentazione di una petizione al Parlamento europeo, presso il quale alcuni abitanti dalla zona sono stati auditi nel novembre 2013. La petizione è tuttora aperta. I rappresentanti dei cittadini sono stati altresì ascoltati il 26 maggio 2015 dalla Commissione rifiuti regione Lazio. Era la prima volta che venivano auditi dalla Commissione parlamentare d’inchiesta.
Giorgio Libralato ha richiamato alcuni eventi giudiziari poi oggetto di specifico approfondimento da parte della Commissione:
“Una cosa fondamentale avviene il 29 gennaio 2014: con la solita inchiesta - anche in quel caso, gruppo De Pierro, Capitolina, Giulia e altre società - viene sequestrata dal GICO della Guardia di finanza una parte attiva della discarica di Borgo Montello, ovviamente con atti giudiziari e atti di conservatoria, ma non succede assolutamente nulla”. Rispetto a questa azione giudiziaria (sulla quale si ritornerà in seguito) ha aggiunto: “La proprietà della discarica è della Ecomont e non della Ecoambiente come falsamente dichiarato dalla regione Lazio nell'AIA del 2009. Allo stesso modo, è falso uno dei verbali di rinnovo dell'AIA, che appunto scadeva l'8 aprile 2012, dove si dichiara che quest'invaso non è stato sequestrato, ma invece, è stato sequestrato. Sono state fatte tutte le segnalazioni ma non sono state sufficienti”.
Su un altro delicato punto, ovvero la ricerca di “fusti tossici” o, più in generale, di tracce di sversamenti di rifiuti pericolosi in epoca passata, Libralato ha dichiarato:
“Nell'agosto 2012, iniziano anche i famosi scavi nell'invaso S0, che non è di nessuno, e quindi spetta alla comunità. La regione Lazio eroga un finanziamento di circa 700.000 euro per fare questi scavi, viene affidato un appalto di circa 400.000 euro, ma gli scavi vengono effettuati solo parzialmente [...] La ragione di questi scavi ha origine dalla dichiarazione di Carmine Schiavone che nella discarica di Borgo Montello erano stati conferiti dei fusti tossici. Uno studio dell'ENEA del 1995 certificava che nella S0, in una delle tante vasche, la prima, la più antica, c'erano queste masse metalliche che potevano far pensare alla presenza di fusti metallici. Questa massa metallica è stata poi confermata dalle ricerche dell'INGV, e quindi sono stati fatti gli scavi. Durante una conferenza pubblica, il 20 settembre 2012, uno dei direttori dei lavori, il direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ha dichiarato che si sarebbero fatti tutti gli scavi perché per loro quello che avevano trovato era sufficiente per dire che quella massa metallica era o del ferro che si trovava nei copertoni o armature metalliche delle recinzioni dell'epoca”.
Il consulente degli abitanti di Borgo Montello fa riferimento alla campagna di scavi nel sito più antico della discarica del 2012: secondo la documentazione acquisita dalla Commissione, l'esito di quella ricerca fu negativo.
Rispetto a questo punto l’audito ha aggiunto:
“Il problema è sorto perché durante gli scavi l'assessore provinciale all'ambiente dell'epoca, Gerardo Stefanelli, ha dichiarato che non andavano cercati lì i fusti perché probabilmente erano in altri invasi. Lo stesso ha dichiarato Carmine Schiavone in diverse interviste, dicendo di aver visto dove avevano scavato e che non era lì che dovevano cercare i fusti. Questo è solo uno dei problemi, considerato che è dalle prime analisi del 2005 che si evidenzia l’inquinamento delle falde acquifere. L’ARPA ha verificato queste analisi così come i periti del tribunale di Latina, a cui è seguito a un processo tuttora in corso con il rinvio a giudizio di tre esponenti dell'epoca di Ecoambiente, sempre Bruno Landi, Rondoni e Nicola Colucci, che a vario titolo avevano partecipato alla gestione della discarica. In particolare, l'ultimo dei periti, il professor Tomaso Munari di Genova, vicepresidente dell'ordine nazionale dei chimici, ha certificato quest'inquinamento, ovviamente con analisi di laboratorio eseguite sul posto, e ha indicato un livello di inquinamento più alto rispetto a quello certificato per esempio da ARPA Lazio o ISPRA. In particolare, il professor Munari ha indicato anche che il famoso progetto che doveva essere fatto di protezione delle falde da parte di Ecoambiente in realtà non è stato fatto come doveva”.
Dunque, secondo Giorgio Libralato, le ricerche andrebbero ampliate anche ad altre zone della discarica (gli invasi sono circa una decina); lo stesso consulente delle famiglie di Borgo Montello ha poi richiamato la campagna di monitoraggio della falda acquifera effettuata da ARPA Lazio e la perizia svolta da Tomaso Munari, nominato dal GUP del tribunale di Latina. Questi due punti verranno ulteriormente approfonditi in seguito.
Libralato ha poi fatto notare che l'ultima analisi dell'ARPA Lazio, risalente al marzo 2013, è stata resa nota con molta difficoltà solo a novembre 2014. Ha poi aggiunto che le stesse emissioni odorigene sono state più volte segnalate da lui stesso, e dai cittadini, con telefonate, lettere, mail certificate e in tanti altri modi. L'ARPA Lazio ha realizzato un monitoraggio ad hoc sulla discarica – ha sostenuto Libralato – nell'agosto del 2015, “quando dall'estate 2015 non avviene praticamente nessun conferimento, tranne qualche camion che sporadicamente continua ad arrivare in discarica”.
Rispetto alle procedure autorizzative in corso, l’audito ha sostenuto come per Ecoambiente vi siano alcune importanti criticità, la prima relativa alla proprietà e alla disponibilità: “Si sa che se c’è un sequestro della Guardia di finanza o della magistratura, non si può dichiarare che è nella disponibilità della società”. Il secondo problema, ha aggiunto, riguarda la polizza fideiussoria per la società Ecoambiente. Il terzo problema, infine, “è che – lo prevedeva la conclusione della procedura AIA del 25 giugno 2014 della regione Lazio – doveva esserci anche la variante urbanistica del comune di Latina, essendo stati rilevati problemi urbanistici nel 2012. Si tratta di un'area con indirizzo rurale, per cui la circostanza era incompatibile con la normativa urbanistica; è stata fatta una variante, si è perimetrata l'area, impegnandosi il 28 dicembre 2012 all'unanimità a risarcire i cittadini e a delocalizzarli, e anche a delimitare, ad esempio ponendo dei vincoli di inedificabilità per cento metri su confini su cui dovevano essere piantumate delle essenze, ovviamente per mitigare, l'impatto”.
L’audito si è soffermato sulle procedure in corso: “Siccome entrambe le società hanno esaurito i loro volumi, chiedono un sopralzo, quindi l'aumento del conferimento dei volumi, al di sopra della stessa area sulla quale già avevano conferito, S8 per Indeco, un nuovo e distinto invaso per Ecoambiente, quello sequestrato dalla Guardia di finanza. Si sono aperte nuovamente le procedure AIA e di valutazione d'impatto ambientale”.
Per quanto riguarda l'impatto della discarica sulle matrici ambientali e, di conseguenza, sulla qualità della vita degli abitanti della zona, Libralato ha ripercorso lo stato delle procedure di bonifica: “In seguito a questo inquinamento, riconosciuto anche da Ecoambiente, hanno fatto un progetto per quella che loro definiscono bonifica, ma c’è una differenza tra bonifica e contenimento dell'inquinamento. Questa cosiddetta bonifica di Ecoambiente, secondo tutti i protocolli, procedure e accordi di programma, doveva iniziare a marzo 2014, ma inizierà invece un paio di mesi dopo, perché i cittadini, hanno iniziato a chiedere conto di quest'avvenuta bonifica, che ovviamente non era iniziata. Secondo la provincia di Latina e secondo il comune di Latina, questa bonifica non era in corso”.
Per quanto riguarda più in generale la gestione dei rifiuti nel comune di Latina, gli incroci societari tra gestori della raccolta e gestori della discarica e il delicato tema delle polizze fideiussorie, Libralato ha dichiarato: “Un altro problema è Latina Ambiente, che è partecipata per il 51 per cento dal comune di Latina e partecipa per il 51 per cento alla società Ecoambiente, per la quale, (alla data dell’audizione) è in corso il fallimento. Latina Ambiente si occupa, per conto del comune di Latina, del servizio di raccolta dei rifiuti solidi. (Bruno Landi al momento dell’arresto era contemporaneamente amministratore delegato di Latina ambiente e di Ecoambiente). Per quanto attiene le fideiussioni, si sa che girano polizze fideiussorie dalla Gable false, e la Gable è quella società che ha fatto la polizza fideiussoria per Ecoambiente, ma anche per un'altra società che opera più o meno nello stesso settore nel comune di Latina, la Agri Power, che gestisce una centrale a biogas. Questa polizza fideiussoria della Gable è stata rifiutata dal comune di Latina, e quindi l'Agri Power è senza alcuna polizza fideiussoria perché la precedente era stata emessa da una società che secondo l’associazione non aveva i titoli, ma che comunque era fallita subito dopo. Sono quattro anni che non ha questa polizza fideiussoria. La polizza fideiussoria dalla Gable, per il comune di Latina non era valida, non aveva una firma autentica, non vi erano i poteri di chi firma di chiarire che poteva firmare, e l’allegato è stato mandato due mesi dopo rispetto all'emissione della polizza. Poi la Gable, ha sede a Vaduz, in Lichtenstein, e per il comune di Latina non era una garanzia”.
Ci sono pareri dell’ASL secondo cui i cittadini lì non possono risiedere – hanno poi spiegato i rappresentati dei comitati e dei cittadini residenti nella zona - essendo gli insediamenti autorizzati ad una distanza inferiore da quella prescritta dalla legge regionale del Lazio. Per quanto riguarda le analisi dell’ARPA, non si è avuta copia perché l'ARPA Lazio le trasmette all'ISPRA, che poi doveva analizzarle e spiegare perché c'erano questi inquinanti e qual era il quadro. Sono state rilevate varie sostanze con valori molto alti, per esempio alcuni dell'arsenico sono con i valori a circa 300, trenta volte quelli ammessi per legge. Ci sono ferro, manganese e anche altri inquinanti. Alla domanda se ci fosse rischio per la popolazione, per le persone che vivono lì, per l’agricoltura, sulla possibilità di utilizzare i pozzi, se quest’acqua possa essere usata a scopo igienico ed alimentare né ISPRA, né ARPA Lazio hanno mai risposto.
Sono stati segnalati casi di decessi o malattie gravi che sembrano legati all’inquinamento ma non sono stati eseguiti esami epidemiologici o tossicologici, esame quest’ultimo che - da quanto afferma Ivan Eotvos rappresentante del comitato - l’ARPA Lazio non ha fatto nemmeno sulla centrale nucleare.
Libralato chiarisce su questo punto dicendo che quest'indagine epidemiologica non è stata chiesta solo dai cittadini ma anche dall’ASL, ARPA e anche dalla regione Lazio, al fine di rilasciare qualsiasi autorizzazione, valendo il principio di precauzione.
Circa le polizze fideiussorie, in generale, secondo gli auditi ci sono stati una serie di scandali perché ci sono stati interventi urbanistici, di risanamento che non potevano essere fatti, proprio perché le polizze non garantivano nulla, tanto che vi è una fabbrica all'ingresso di Latina che da dieci anni non può essere bonificata proprio perché la società che ha emesso la polizza non adempie ai suoi obblighi. Questo è un problema che si presenta per tutti gli impianti, biogas, biomasse, turbogas, rifiuti.
Riguardo alle proprietà dei terreni “intorno agli anni Ottanta, da parte del clan dei Casalesi, tramite un parente di Carmine Schiavone, Michele Coppola, c’è stato l'acquisto di questi terreni, inizialmente sembrava per coltivarci, ma poi Carmine Schiavone spiega l'evoluzione di come l'organizzazione dei casalesi scoprì che il settore dei rifiuti era molto più importante e redditizio di quello della droga. Alcune delle proprietà ex Michele Coppola vengono vendute a qualcuna delle società, in particolare anche all'Indeco, una delle due società”.
“Sempre per rimanere nell'ambito della proprietà – prosegue la relazione dei comitati - la società Capitolina aveva stipulato un contratto d'affitto per il nuovo e distinto invaso, quello di Ecoambiente, nel 1998, che durava nove anni rinnovato per altri nove, che quindi con scadenza il 4 agosto 2016”. Secondo il comitato, siccome il ricorso della curatela fallimentare è del 1994, quindi antecedente al contratto d'affitto, siccome la curatela fallimentare ha vinto tutti i ricorsi contro queste società gruppo De Pierro, siccome queste sentenze sono diventate definitive perché non c’è stato alcun ricorso, siccome la titolarità della curatela fallimentare Ecomont è antecedente al contratto d'affitto, quel contratto non vale nulla.
Quanto alle motivazioni per cui il comitato ha contestato le AIA, i residenti del luogo chiedevano come facessero a rilasciare l'AIA alla società Ecoambiente: “Intanto, non aveva la disponibilità dell'area ma in ogni caso, anche ammesso che ritenessero valido il contratto del 1998, questo scadeva il 4 agosto 2016, per cui qualsiasi AIA poteva essere rilasciata fino a quando se ne aveva la disponibilità. Anche la società Ecoambiente ha cercato di costruire un impianto TMB. Siccome entrava nell'area di vincolo della famosa delibera n. 163 del 28 dicembre 2012, non poteva più essere costruito, e quindi ci sono stati i pareri contrari del comune di Latina, chiedendo di spostare il vincolo”.
Per quanto riguarda la provenienza dei rifiuti, sono stati fotografati i camion: “Provengono da fuori provincia, anche dalla provincia di Roma”.
“Per quanto per quanto riguarda la ricerca dei fusti tossici – ha aggiunto Libralato - sono stati finanziati, come dicevo, per un'analisi condotta dall'ENEA nel 1995, che aveva verificato solo l'area S0, e c'erano tre masse metalliche che facevano pensare alla presenza di materiale metallico, e quindi di fusti tossici. L'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, con altre strumentazioni succedutesi poi nel tempo, molto più precise e sofisticate, ha certificato più o meno nella stessa conformazione che aveva fatto l'ENEA, quindi con altra strumentazione, la presenza di queste masse metalliche. Questi scavi, ad esempio, dovevano essere a profondità di 6-7 metri o con dimensioni di 30x40 in pianta, ma quando gli scavi sono arrivati a 3 metri e hanno trovato del materiale metallico, hanno sospeso le ricerche. Come dicevo, il 20 settembre 2012, c’è stata questa conferenza pubblica con il dottor Marcucci dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che spiegava che non avrebbero approfondito perché erano in attesa della caratterizzazione dei rifiuti, se fosse stata conforme e se, una volta rinterrate le buche, trattava di rifiuti tossici, la ricerca si sarebbe sospesa. I 700.000 euro erano solo per la vasca S0. In quell'occasione ho fatto la domanda al dottor Marcucci. Nel giugno dello stesso anno c'è stata l'audizione di Achille Cester, ingegnere ex dirigente della discarica di Borgo Montello, il quale diceva che prima che arrivasse lui, quindi fino al 1996, lì avveniva di tutto e i rifiuti venivano tritati, quindi secondo lui non si sarebbe trovato nulla. Il dottor Marcucci afferma che, se avesse dovuto nasconderli li avrebbero messi nell'S1 e nell'S2 e ci avrebbe messo altri rifiuti sopra, come effettivamente è successo. Il costo di questa operazione per lo Stato italiano sarebbe stato di 10.000 euro per tutta la discarica, ma questa ricerca non è stata fatta”.
“Per le procedure di richiesta informazioni – ha aggiunto Libralato - ogni ente ha la propria. Al comune di Latina si comunica normalmente tramite PEC. Entro i trenta giorni canonici, rispondono e mettono a disposizione la documentazione. Così la provincia di Latina, ma tramite modulistica. ARPA Lazio qualche volta mette a disposizione la documentazione, qualche volta ci mette più tempo. Dalla regione non hanno mai avuto risposta. La regione ha segretato i documenti relativi alle VIA, compresi quelli di Indeco e Ecoambiente. Riguardo alla popolazione lì localizzata, riguardava essenzialmente il podere la famiglia Piovesan, quindi circa 16 ettari. Per sette famiglie, sono circa venti persone, abitano proprio dall'altra parte della discarica. L'impatto si estende anche ai ristoratori, agli agricoltori. Un noto ristorante «Villa Patrizia», è a 800 metri. E la scuola materna è a 800 metri. A 810 metri c’è la scuola elementare. Ci sono migliaia di persone. Borgo Montello è a un chilometro e poco. La cantina sociale è a qualche centinaio di metri. Le persone che sono qui [presenti in audizione] sono a dieci metri”.
Nel corso dell’attività d’inchiesta la Commissione ha svolto un sopralluogo sul sito di Borgo Montello – area gestita da Ecoambiente – nell’ottobre del 2014. Sono stati poi auditi i due gestori, relativamente a temi d’interesse per l’inchiesta. Alcune questioni trattate nel corso dell’audizione attengono strettamente all’approfondimento qui affrontato, ovvero la presenza della criminalità organizzata nell’area della discarica e il passato sversamento di rifiuti industriali, con le relative problematiche ambientali.
Il 9 giugno 2016 sono stati auditi Luca Giudetti, avvocato difensore di Ind.Eco S.r.l., l'avvocato Salvatore Pino, difensore della Green Holding S.p.A., e Paolo Titta, responsabile dell'area legale di Green Holding. L’audizione ha riguardato soprattutto una recente vicenda giudiziaria, che ha portato al sequestro della discarica da parte del Gip di Latina per il superamento delle quote di abbancamento. Oltre a questo tema, ai rappresentanti della società è stato chiesto di esporre quanto a loro conoscenza relativamente all’acquisto di terreni appartenenti – o comunque riconducibili – a soggetti considerati contigui al clan dei Casalesi. L’avvocato di Green Holding – gruppo che controlla oggi Ind.eco. Srl – ha dichiarato: “In particolare, credo che si tratti semplicemente di una circostanza (l’acquisto dei terreni della famiglia Schiavone per l’ampliamento della discarica, ndr) che era già oggettivamente esistente. Se c'è una questione da indagare, è quella di verificare come mai i terreni limitrofi alla zona destinata a discarica fossero già di proprietà degli Schiavone, credo del cugino dello Schiavone. La società si è limitata a dover prendere atto di questa circostanza, che se anche suona sinistra, non può certo suonare sinistra per la società: può suonare sinistra per il momento in cui questi terreni sono stati acquistati da questi signori, ma non per il momento in cui la società li va ad acquistare. Si tratta dei terreni limitrofi, quindi gli unici che potessero consentire un ampliamento dell'area, o comunque un ampliamento della zona di lavorazione”. Sul punto gli auditi non hanno aggiunto ulteriori elementi.
Il 12 dicembre 2016 sono stati auditi Stefano Gori, presidente di Ecoambiente, e Pierpaolo Lombardi, amministratore delegato di Ecoambiente.
Stefano Gori ha inizialmente illustrato la storia del sito di Borgo Montello:
“La discarica di Borgo Montello nasce orientativamente – non si ha certezza matematica – nel 1971, quando alcuni privati cominciano a sversare nell'area, quella che oggi è la discarica di Borgo Montello, dei rifiuti. Da quel momento nasce il sito, che viene identificato oggi ed è purtroppo conosciuto da tutti come S0 […] Questo sito a ridosso del fiume Astura veniva usato bellamente per ricevere rifiuti dall'alto. Era un dirupo: entravano i camion in retromarcia e sversavano rifiuti verso il fiume, questo all'inizio degli anni Settanta, senza nessun tipo di protezione, né superficiale né di altro tipo.
Questo andò avanti fino a 1986, anno di chiusura del sito S0. Questa S0 è stata gestita da privati, ma negli ultimi anni, come vi ha anche detto nell'audizione del 13 ottobre scorso il rappresentante dell'ARPA, direttamente dal comune di Latina. Nel 1986, questo sito chiude. Perché sottolineo queste date? Ecoambiente diventa operativa all'interno del sito di Borgo Montello nel 2000 e viene costituita nel 1998 a seguito di una sorta di disastro ambientale che si verifica nel 1997, quando il gestore dell'allora sito di Borgo Montello fallisce (fallimento Ecomont, ben conosciuto) e di fatto abbandona l'area. Di questo ci si accorge forse un po’ in ritardo e dopo qualche settimana, anche dopo qualche mese, si aprono i cancelli con le cesoie, si rompono proprio le catene – lì era chiuso – e si trova la situazione che vedete nelle carte che vi abbiamo distribuito, nell'ultimo foglio. L'ultimo foglio che vedete sono le foto, le immagini del sito di Borgo Montello in quella data, nel 1997: invasi S1, S2, S3. Le vasche sono completamente piene di percolato, che non veniva emunto da mesi, perché tra l'altro l'ENEL aveva staccato la corrente, quindi le pompe non funzionavano più. Il percolato tracimava sui terreni circostanti e all'interno del fiume Astura. Nel 1997, trovata questa situazione, interviene immediatamente la regione Lazio con 1,5 miliardi di vecchie lire per emungere immediatamente il percolato che stava tracimando. Si fanno altri interventi nel frattempo, ma si capisce immediatamente che c'è una situazione veramente di disastro e si calcola che l'intervento supera i 10 miliardi delle vecchie lire. Non essendoci più riferimenti perché la Ecomont era fallita, la cosa andava in capo al comune di Latina, l'ente territoriale di riferimento. In quel momento, il comune era sull'orlo del dissesto finanziario per altre vicende. Su iniziativa del comune nasce Ecoambiente. Tramite la propria controllata, che faceva il servizio di raccolta dei rifiuti, facendo una joint venture con un privato che si occupava di gestione di discariche, costituisce la Ecoambiente. La mission di Ecoambiente – adesso veniamo a noi – è questa: bonificate queste S1, S2, S3 […] continuare a gestire l'area; negli spazi che si trovano a seguito della bonifica, continuare a gestire ulteriori volumetrie, ma facendosi carico dei 10 miliardi di vecchie lire per rimettere in sicurezza l'rea. I 10 miliardi sono diventati poi quasi 12 a carico di Ecoambiente. È stato fatto un intervento di messa in sicurezza particolarmente importante. Questa è la mission di Ecoambiente, che porta avanti dal 1998 a oggi. Ci tengo a dire che Ecoambiente oltretutto ha smaltito in quel sito 12.000, forse qualcosa di più, metri cubi di percolato. C'era, infatti, percolato da mesi e mesi che si accumulava. Da quel momento, Ecoambiente è diventata soggetto interessato dell'area, ma non responsabile, perché tutto quello che era avvenuto prima, cioè lo spargimento di percolato, la S0 senza impermeabilizzazione, erano tutti accadimenti avvenuti addirittura prima della nascita di Ecoambiente.
Comunicazioni di vario tipo individuano Ecoambiente come una delle responsabili dell'inquinamento di Borgo Montello, ma questo proprio non è possibile nei fatti, le date non coincidono. Capisco che qualcuno, non conoscendo bene la situazione, è uno dei motivi per cui siamo qua, non riesce a far coincidere bene le date”.
Relativamente agli interventi di bonifica attualmente in corso è intervenuto Pierpaolo Lombardi, amministratore delegato di Ecoambiente: “L'intervento che è stato eseguito nel 2000 sui vecchi bacini S1, S2 e S3 deve essere essenzialmente una messa in sicurezza definitiva, cioè un confinamento della fonte di contaminazione, allora identificata in S1, S2 e S3. Su questi sono stati realizzati nuovi bacini di discarica, impermeabilizzati a norma di legge. Su questo è continuata l'attività di Ecoambiente di smaltimento dei rifiuti per circa un milione di metri cubi, dal 2001 fino all'ottobre 2009, su tutta l'area del lotto che adesso definiamo lotto A per distinguerlo dall'altro lotto, B”.
Rispetto all’intervento eseguito nel 2000 va ricordato che è attualmente pendente davanti al tribunale di Latina un procedimento penale nei confronti dei passati amministratori di Ecoambiente per avvelenamento delle acque: infatti il 15 dicembre 2014 il giudice dell’udienza preliminare ha emesso il decreto che dispone il giudizio[2] per il delitto di cui all’articolo 440 del codice penale a carico di Bruno Landi, Vincenzo Rondoni e Nicola Colucci (proc. pen. n. 849/2005 r.g.n.r.); il nucleo dell’accusa consiste nell’”omesso controllo circa la sicurezza degli invasi denominati S1, S2, S3 e S0”, la “mancata esecuzione di opere di impermeabilizzazione di detti impianti”, benché le carenze strutturali fossero note da tempo (in forza di studi ENEA del 1995-96, di ordinanza del sindaco di Latina del 18 agosto 1998, di plurime comunicazioni dell’ARPA Lazio); con la conseguente produzione di “reiterati fenomeni di fuoriuscita del percolato dai siti indicati, percolato contenente tra l’altro sostanze pericolose quali piombo, rame e zinco”, con la conseguenza di adulterare le acque di falda poste in prossimità del sito “rendendole pericolose per la salute pubblica”.
L’ipotesi dell’accusa – supportata da una perizia disposta dal giudice dell’udienza preliminare che verrà analizzata in seguito – è che, nonostante gli interventi di messa in sicurezza dell’area S1, S2 e S3, sia avvenuta una contaminazione della falda, ascrivibile all’area gestita da Ecoambiente.
Su questo specifico punto prosegue Pierpaolo Lombardi: “Ci tengo a dire che è una messa in sicurezza definitiva. In 25 anni, dal 1971 fino al 1997, in pratica di abbandono, di conferimento incontrollato dei rifiuti, tutto il percolato e tutto il biogas non idoneamente recuperato e trattato, hanno contaminato le matrici ambientali, tra cui il terreno, le acque di falda profonde e le acque superficiali. Lì vicino, infatti, c'è il fiume Astura.
È ovvio che abbiamo bloccato la fonte di contaminazione, ma tutto quello che nel frattempo si era allontanato da quell'area era lì. Su questo attualmente stiamo intervenendo. A valle di questa verifica effettuata dall'ARPA nel 2005, in cui è stata verificata questa residua contaminazione esterna all'area dei bacini di discarica, è stato avviato un monitoraggio da parte di ARPA, durato un ulteriore decennio, per appunto verificare l'evoluzione della contaminazione all'interno dell'area […]
Abbiamo realizzato la messa in sicurezza definitiva, dopodiché, nel 2005, è stata rilevata una contaminazione residua esterna a questi invasi, e pertanto è partito un secondo procedimento di bonifica, che è stato accolto da Ecoambiente, come diceva il presidente Gori, come soggetto interessato. Come soggetto interessato, abbiamo proposto un secondo intervento di bonifica, successivo alla messa in sicurezza definitiva iniziale, che prevede l'immissione di reagenti in falda direttamente all'interno della falda, utilizzando i piezometri esistenti nell'area di Borgo Montello.
Tra quelli realizzati da ARPA, direttamente da noi e da Indeco, ci sono 44 piezometri in tutta l'area di Borgo Montello. Il progetto, presentato nel 2006 – è stata fatta l'analisi di rischio, le caratterizzazione classiche, le procedure propedeutiche all'elaborazione di un progetto di bonifica – è stato elaborato da Ecoambiente ed è stato approvato dal comune, dalla provincia, dalla regione, dall'ARPA e dall'ASL di Latina, ed è stato avviato nel 2009, quando si sono avviate essenzialmente le attività di verifica di laboratorio e di verifica di campo, appunto per verificare il processo sito-specifico.
Il periodo di tempo della verifica, di tre anni, ha portato una piccola variazione di questo progetto, variante non sostanziale, essenzialmente sull'utilizzo di un determinato reagente […] Dopo quest'approvazione a gennaio 2014, a maggio 2014, l'Ecoambiente ha avviato queste attività di immissione, inizialmente su un numero di otto hotspot, ossia otto punti critici individuati, su cui si è agito direttamente; successivamente, su qualsiasi piezometro della rete piezometrica presente all'interno dell'area che risultasse con una concentrazione delle soglie di contaminazione superiore a quella di legge.
Di questi iniziali otto hotspot ne sono rimasti tre, ossia la situazione è migliorata notevolmente, non solo in quelle aree, ma anche in tutte le altre aree. Non si evidenziano, infatti, cosiddetti effetti rebounding, ossia non c'è all'interno di quel piezometro un ritorno della contaminazione che superi nuovamente la concentrazione di soglia di contaminazione”.
Relativamente al citato procedimento penale in corso davanti al tribunale di Latina l’amministratore delegato Pierpaolo Lombardi ha esposto il punto di vista dell’azienda: “Hanno avuto un'udienza a ottobre di quest'anno, ed è stato rinviato il tutto al 17 aprile. Stanno andando avanti. Vedremo. Quanto alla perizia Munari, la conosco bene. Alla perizia Munari abbiamo risposto con una nostra controperizia. Ve ne faccio avere copia. Secondo noi, c'è una serie di elementi non considerati correttamente”.
Infine Lombardi ha citato la richiesta di autorizzazione per l’ampliamento della discarica presentata alla regione Lazio: “Siamo in attesa di un'autorizzazione in fase abbastanza avanzata. È una sopraelevazione, che vedete sulla cartina, il lotto B, di ulteriori 400.000 metri cubi, tra l'altro previsti e inseriti nella determina n. 199 della giunta regionale sul fabbisogno della regione Lazio. Viene inserita tra le possibilità, ma non è ancora autorizzata, perché ha ancora bisogno di alcuni passaggi dal punto di vista strutturale”.
Le due società non hanno mai fatto riferimento, nel corso delle loro audizioni, alle problematiche relative alla presenza di rifiuti industriali pericolosi negli invasi da loro gestiti.
La Commissione ha audito, l’11 luglio 2016, la dirigente dell'area ciclo integrato rifiuti della regione Lazio, Flaminia Tosini, che sulla discarica di Borgo Montello ha reso le dichiarazioni di seguito sintetizzate:
“Il tema di Borgo Montello, per quanto concerne il mio ufficio, riguarda fondamentalmente due impianti di discarica limitrofi l'uno all'altro, ossia la discarica di Indeco e la discarica di Ecoambiente.
Le due discariche sono al momento praticamente senza possibilità di ricezione rifiuti per esaurimento delle volumetrie autorizzate.
La discarica di Indeco è una discarica addirittura sequestrata dalla magistratura, al momento, perché nel corso di verifiche è risultato che vi siano stati conferiti rifiuti per una volumetria superiore a quella consentita, con un superamento delle quote finali di abbancato dell'ordine di 4-5 metri rispetto alla media. Al momento, quindi, la discarica è sequestrata e non abbiamo altre notizie in merito. Il conferimento di rifiuti era già terminato dall'anno scorso rispetto ai volumi che avevo monitorato, anche personalmente da quando ci sono io, ossia da un anno e mezzo.
Per quanto riguarda, invece, l'altra discarica anch'essa ha terminato le volumetrie consentite e al momento non sta ricevendo rifiuti.
Questa situazione ha messo in difficoltà l'ATO della provincia di Latina come destinazione finale degli eventuali scarti che derivano dal trattamento dei rifiuti urbani.
Le due società avevano presentato, già dall'anno scorso, una richiesta di valutazione di impatto ambientale per l'ampliamento delle discariche in sopraelevazione e in ampliamento.
I procedimenti sono al momento fermi presso l'ufficio VIA perché la regione Lazio mancava anche di una programmazione adeguata; c'era un piano di rifiuti che indicava delle volumetrie previste di gestione, ma che era rimasto fermo e non aveva avuto più aggiornamenti legati a questo aspetto.
[Su Borgo Montello e le procedure per la chiusura delle discariche] per quanto riguarda la discarica della Indeco, quella sequestrata, è stato realizzato il capping provvisorio ancora prima del sequestro. Quindi […] in questo momento la discarica è sequestrata, ma il capping provvisorio, così come previsto dal n. 36, era stato già realizzato in precedenza. L'altra società ha portato più a lungo le volumetrie disponibili. Al momento sono ancora disponibili poche migliaia di tonnellate. È questa più un'ipotesi, in attesa di verificare se la VIA uscirà o non uscirà. Questa è una valutazione che dobbiamo fare, ma dipende fondamentalmente, oltre che dal fabbisogno, come ho detto prima, anche dalla valutazione sul procedimento di bonifica: sono aspetti collegati.
Per quanto riguarda la bonifica [di Borgo Montello] in questo momento nel sito c'è una procedura di bonifica in corso. Il sito perimetrato, come zona soggetta a bonifica, è quello che viene chiamato S0 e ricade all'interno della discarica attualmente gestita da Ecoambiente. All'epoca non c'era la Ecoambiente che gestiva: il sito è l'S0.
Per quello che mi risulta dalle carte che ho letto – perché questo è precedente al mio arrivo – sono stati fatti dei monitoraggi e delle verifiche su S0 che non hanno rilevato alcun tipo di problema; anche alcune masse metalliche, che erano state trovate e riferite, non hanno evidenziato questi problemi. Attualmente c'è uno studio fatto da ISPRA ed ARPA contemporaneamente su questo sito per monitorare l'andamento della contaminazione. Sono già sei anni che esiste questo studio. L'ultimo aggiornamento risale ad ottobre 2014 e, praticamente, indica dati in diminuzione rispetto all'inquinamento. Fondamentalmente si tratta di inquinanti organici di cloro propano, che veniva misurato in questi pozzi. Al momento, non solo non c'è stato un ampliamento della zona ma sono stati identificati esattamente i livelli di flusso: laddove il fiume crea effettivamente una barriera idraulica rispetto alla contaminazione, i valori di contaminazione si sono mantenuti costanti o ridotti. Quindi, direi che la situazione è sotto controllo. Tuttora c'è questo studio in piedi e di materiale radioattivo non c'è traccia da nessuna parte. Ci sono solamente inquinanti organici. C'è una messa in sicurezza operativa […]
Sulla questione dell’interramento di rifiuti industriali a Borgo Montello non ne so nulla”.
7.2 Presenze della criminalità ambientale
Prima di esaminare il tema relativo alla presenza di rifiuti pericolosi sversati illegalmente negli anni passati – che, come visto, è considerato da sempre un tema socialmente sensibile per la popolazione dell’area – è bene disegnare un quadro relativo alla presenza della criminalità organizzata nell’area.
Si tratta sostanzialmente di elementi riconducibili al clan dei Casalesi, organizzazione, come è noto, particolarmente attiva nel campo del business ambientale, soprattutto tra la fine degli anni ‘80 (la seconda metà del 1988) e gli anni ‘90.
Come già ricordato in sede di audizione della società Ind.Eco il clan disponeva (attraverso alcuni soggetti che verranno compiutamente analizzati) di proprietà importanti proprio a ridosso della discarica. Elemento, questo, che riveste una certa importanza per comprendere appieno il contesto di Borgo Montello.
Le prime notizie sulla presenza di esponenti e di investimenti riconducibili al clan dei Casalesi provengono da alcuni atti di indagine scaturiti dal processo “Spartacus”. Nell'ambito di questa inchiesta il 13 marzo del 1996 la polizia giudiziaria di Latina interrogò l'allora collaboratore di giustizia Carmine Schiavone “in relazione all'indagine in corso su diversi fenomeni criminosi riguardanti la provincia di Latina”[3]. Il verbale venne poi utilizzato in alcuni procedimenti penali della DDA di Roma (processo “Anni '90” e processo “Damasco”).
Lo Schiavone specificava di riferire notizie “circa le attività criminali condotte in provincia di Latina dal gruppo di appartenenza” ovvero il clan dei Casalesi; tali notizie erano “frutto di conoscenze dirette e di incontri con i soggetti di cui parlo”.
Secondo il collaboratore giustizia – le cui informazioni sono poi state confermate in sede processuale - “il clan dei Casalesi da moltissimi anni ha avviato, nella provincia di Latina, un'opera di infiltrazione e di investimento degli illeciti introiti comunque ricavati”. A capo dell'organizzazione in terra pontina vi era Antonio Salzillo, alias “Capocchione”, nipote di Ernesto ed Antonio Bardellino. Fino al 1988 la famiglia Bardellino era alleata con la famiglia Schiavone, formando un unico gruppo cresciuto in maniera esponenziale negli anni '80 dopo lo scontro con i cutoliani. Salzillo, capo zona di Latina, “ha subito trovato come attività di copertura la cointeressenza occulta nella società dei fratelli Diana, che avevano la concessionaria di veicoli industriali Scania, con sede in Latina” a borgo San Michele. I due fratelli Costantino e Armando Diana[4] sin dalla data del loro trasferimento a Latina erano, secondo Schiavone, “espressione diretta del gruppo dei casalesi in terra pontina”.
L'impresa dei fratelli Diana – spiega Schiavone – aveva partecipato fin dagli anni '80 ad importanti lavori pubblici, come la realizzazione della terza corsia dell'autostrada[5]. Salzillo controllava direttamente la società riscuotendo una percentuale del 10 per cento sulle commesse, versata nelle casse del clan.
L'area controllata da Antonio Salzillo (almeno fino al 1988, anno dell'omicidio di Antonio Bardellino e del prevalere ai vertici dell'organizzazione della famiglia Schiavone, diretta da Francesco “Sandokan” Schiavone) era compresa tra Sabaudia e Roma. Includeva, quindi, la città di Latina e l'intera area nord della provincia. Spiega Schiavone: “Salzillo ricordo che gestiva un gruppo di circa trenta persone che venivano regolarmente stipendiate da me come cassiere del clan. Ogni mese io attribuivo circa cento milioni delle casse del clan al Salzillo perché potesse pagare i suoi uomini. Considerando che lo stipendio dei “soldati” o di coloro che comunque venivano utilizzati per le attività del gruppo era di tre milioni di lire al mese, posso dirvi che i ragazzi del Salzillo erano circa trenta”.
L'area a sud di Sabaudia, compresa tra Terracina e Formia/Gaeta, era controllata da Gennaro De Angelis, che gestiva un florido commercio di automobili. Uomo di fiducia del clan a Formia era il proprietario della discoteca SevenUp (poi distrutta da un incendio, probabilmente doloso) era Aldo Ferrucci. Altra figura sicuramente strategica per il clan a Formia era Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, ex sindaco di San Cipriano d'Aversa.
Schiavone aveva già riferito negli interrogatori resi davanti all'autorità giudiziaria di Napoli sugli investimenti realizzati dal clan in provincia di Latina. Nell'interrogatorio del marzo 1996 fornisce ulteriori dettagli, concentrando l'attenzione sull'area di Borgo Montello (comune di Latina).
Altre informazioni sono desumibili dallo stenografico dell'audizione di Carmine Schiavone in Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti nella XIII legislatura, del 7 ottobre 1997:
“Per quanto riguarda i rifiuti noi già arrivavamo fino alla zona di Latina; Borgo San Michele e le zone vicine erano già di influenza bardelliniana, perché avevano società che vendevano nella zona di Latina insieme ai Diana”. Lo Schiavone aggiunge poi un dettaglio molto importante: “Dopo la guerra del 1988 contro i Bardellino, arrivammo noi [ovvero la famiglia Schiavone]. Io e mio cugino avevamo comprato un'azienda, che mi sono fatto sequestrare perché era 'sporca', proprio nella zona di Latina”[6].
Rispetto a questo investimento lo Schiavone aveva riferito nel 1996: “Come ho già avuto modo di riferire nella mia collaborazione a Napoli, proprio a Latina il mio gruppo ha realizzato un investimento di notevole entità in un'azienda agricola a Borgo Montello, ora non so se sottoposta a sequestro, costata alle casse del clan circa tre miliardi, comprensivi dei lavori fatti nei vigneti e nelle altre colture”[7].
Ancora: “L'azienda agricola acquistata qui a Borgo Montello, di cui ho già parlato, era intestata a mio cugino Antonio Schiavone fu Giovanni, persona incensurata ed alla quale mi rivolsi io per chiedere di intestarsi il bene che comunque consideravo mio e di mio cugino Sandokan” [8].
Dunque dopo il 1988 – anno dell'omicidio di Antonio Bardellino e dell'ascesa del gruppo Schiavone ai vertici del clan – lo stesso Carmine Schiavone, in qualità di cassiere del gruppo, decide di investire la considerevole cifra di tre miliardi di lire nell'area di Borgo Montello, dove, fin dal 1972, funzionava una discarica per rifiuti solidi urbani.
Rispetto a questo investimento esiste un riscontro documentale diretto relativo all'acquisto della proprietà e alla confisca di una parte delle terre acquistate dalla famiglia Schiavone. Il 6 ottobre 1989 il notaio Raffaella Mandato di Latina registra presso la conservatoria dei registri immobiliari di Latina la nota di trascrizione dell'atto di vendita a favore di Antonio Schiavone[9], di un fondo rustico sito in località Borgo Montello, via del Pero, di diciassette ettari[10]. Una seconda proprietà intestata a Nicola Schiavone, sita nel comune di Cisterna di Latina, località Piano Rosso, via della Curva Snc (poco distante da Borgo Montello) è stata definitivamente confiscata il 7 febbraio 2002.
La collocazione geografica dei diciassette ettari acquistati nel 1989 da Antonio Schiavone – su mandato dell'allora cassiere del clan, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone – è particolare.
La proprietà è infatti sita a fianco dell'area occupata, fin dal 1972, dalla discarica di Borgo Montello.
La scelta della zona sembrerebbe non essere casuale. Dichiarava nel 1996 Schiavone: “Mi diceva Salzillo, ai tempi in cui faceva ancora parte del nostro gruppo, che lui operava con la discarica di Borgo Montello. Da tale struttura lui prendeva una percentuale sui rifiuti smaltiti lecitamente ed in tale struttura lui faceva occultare bidoni di rifiuti tossico o nocivi per ognuno dei quali mi diceva di prendere 500 mila lire”[11]. L'indicazione del prezzo stabilito per il presunto smaltimento illecito di rifiuti pericolosi era in linea con “il mercato” gestito dai casalesi anche nella zona del casertano, come lo stesso Schiavone ha ricostruito in Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti: “Pagavano 500 mila lire a fusto, perché per distruggerli dovevano avere una attrezzatura speciale, per cui ci volevano 2 milioni e mezzo. Allora lui [si riferisce a Chianese e alla DiFraBi] incassava per la ditta i 2 milioni e mezzo (o i due milioni) ed il clan incassava 500 mila lire a fusto”[12].
Dunque lo schema utilizzato fino al 1988 era quello classico e tristemente noto dell'area dell'agro aversano, con un accordo tra imprese, intermediari e clan dei casalesi. Un sistema che coinvolgeva anche la provincia di Latina, come lo stesso Schiavone ha spiegato.
L'inizio degli affari dei casalesi nel campo dello smaltimento illegale di rifiuti pericolosi ha una data precisa.
Così ricostruisce i fatti Schiavone davanti alla Commissione:
“Questo avveniva dal 1988 a salire. Già prima, però, la gestivano i Bardellino […] Presidente: […] Mi è sembrato di capire che l'attività di smaltimento illegale dei rifiuti fosse posta in essere, per conto del clan dei Bardellino, in epoca antecedente al 1988 in tutta la provincia di Latina. E' così?
Schiavone: Sì. Quando noi abbiamo fatto gli scavi... da noi gli scavi per la superstrada sono iniziati nel 1987, nel periodo giugno-luglio. Man mano che finivano gli scavi, questi ultimi venivano sistematicamente riempiti”[13].
L'investimento del clan nell'area nord della provincia di Latina, dunque, è stato considerevole, sia nell'era della gestione Bardellino, sia successivamente con il clan Schiavone. Oltre alla cifra di tre miliardi di lire – indicata dall'ex collaboratore di giustizia Schiavone come investimento nei terreni e nelle opere nell'area di Borgo Montello – il cartello dei Casalesi avrebbe mantenuto una struttura militare notevole, con un costo di circa 100 milioni di lire al mese, pari a 1,2 miliardi di lire all'anno. Questo sarebbe avvenuto almeno per quattro anni (dal 1988, anno della morte di Antonio Bardellino, al 1992, anno dell'uscita di Schiavone dal clan), con una cifra ipotetica di quasi cinque miliardi di “costo di gestione”.
Secondo gli esiti di alcune indagini della direzione distrettuale antimafia (“Anni '90”) il clan dei Casalesi avrebbe tentato di entrare nella piazza del comune di Latina anche nella gestione del traffico di stupefacenti e delle estorsioni, scontrandosi con il clan sinti dei Di Silvio e Ciarelli, divenuti, poi, predominanti. La situazione degli ultimi anni vede una mappa dove il cartello dell'agro aversano mantiene una forte influenza sul sud pontino (sostanzialmente fino a Terracina), dopo aver lasciato la piazza del capoluogo ai sinti[14] (cfr. audizione del Questore di Latina Giuseppe De Matteis in commissione antimafia, XVII legislatura, 18 maggio 2016).
Nel 2008 gli investimenti della famiglia Schiavone nell'area di Borgo Montello vengono dismessi, con la vendita dell'area di diciassette ettari nella via adiacente la discarica a favore della società Indeco. Negli anni precedenti l'altro immobile adibito a fattoria nel comune di Cisterna di Latina (zona Piano Rosso) era stato, come già detto, confiscato. Dunque il periodo di riferimento oggetto dell'approfondimento è di due decenni, dal 1989 al 2008.
Il fattore incaricato dalla famiglia Schiavone per curare gli immobili acquistati nel comune di Latina – Borgo Montello – è Michele Coppola. Quando nel 1996 Carmine Schiavone depone davanti ai carabinieri di Latina, Coppola è già conosciuto dalle autorità giudiziarie. Risulta dalle banche dati un primo arresto eseguito il 5 dicembre 1995, per associazione mafiosa (articolo 416-bis del codice penale) e porto abusivo d'armi; verrà scarcerato il 4 marzo 1997.
Michele Coppola è stato poi colpito da un fermo per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso il 26 novembre del 2009, nell'ambito del procedimento penale 56021/09 r.g.n.r. della DDA di Napoli; il procedimento si è concluso con una condanna passata in giudicato nel 2015.
Dalle informazioni contenute negli archivi della polizia giudiziaria Coppola ha detenuto fin dagli anni '80 una importante quantità di armi, anche automatiche. Circostanza che conferma quanto riferito da testimoni locali, che hanno parlato di numerose armi detenute e mostrate dal Coppola[15].
Nella sua deposizione del 1996 Carmine Schiavone dichiara:
“L’azienda agricola acquisita qui a Borgo Montello, di cui ho già parlato, era intestata a mio cugino Antonio Schiavone fu Giovanni, persona incensurata e alla quale mi rivolsi io per chiedere di intestarsi il bene che comunque consideravo mio e di mio cugino Sandokan. So che dopo il mio pentimento il gruppo ha minacciato Antonio Schiavone che fu costretto a cedere la proprietà alla società dei Coppola, denominata Enogea. Tali Coppola, cognati di Walter Schiavone, fratello di Sandokan, erano in realtà i fattori. In effetti il fattore era Michele Coppola, da me e da Sandokan sistemato qui a Latina in quanto si era sposato e non aveva una casa. Lo piazzammo lì e gli passavamo anche tre milioni al mese dalla cassa del clan poiché l’azienda non rendeva ancora. Antonio Coppola, fratello di Michele, era rimasto a Casale, dove aveva un’impresa e, fino a quando non ho deciso di collaborare, non si occupava dell’azienda di Latina”.
L’episodio criminale più noto – per il clamore suscitato – avvenuto nella zona di Borgo Montello è l'omicidio dell'anziano parroco don Cesare Boschin, avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1995. Sul caso ha indagato la procura della Repubblica di Latina, con l'ausilio dei carabinieri (stazione di Borgo Pogdora e NORM della Compagnia di Latina); una specifica delega venne affidata alla Questura di Latina, squadra mobile, nel 1996.
Don Cesare Boschin venne ritrovato cadavere verso le ore 9 del 30 marzo 1995 da Franca Rosato, sua assistente. Era sdraiato sul suo letto con le mani legate da nastro adesivo, un giro di nastro adesivo lento attorno al collo (probabilmente sceso dalla bocca) e un asciugamano annodato attorno ad un gamba. In sede di ricognizione del cadavere venne ritrovata la dentiera tra la gola e l'esofago, facendo ipotizzare la morte per asfissia.
L'allora procuratore della Repubblica di Latina delegò per le indagini il pubblico ministero Barbara Callari. Il 21 ottobre 1995, dopo alcuni mesi di indagini il pubblico ministero chiese l'archiviazione; il fascicolo risulta archiviato dal Gip il 22 dicembre 1995.
Due mesi dopo, il 20 febbraio 1996, viene segnalata al pubblico ministero l’opportunità di chiedere la riapertura indagini con informativa a firma del comandante del NORM Carabinieri di Latina. Un’ulteriore informativa della Squadra mobile di Latina, del 22 febbraio 1996 è inviata alla procura con analoga richiesta di apertura delle indagini.
Il 1° marzo 1996 il pubblico ministero chiede al Gip la riapertura della indagini. Il 2 maggio 1996 vengono iscritti nel registro degli indagati un sacerdote di nazionalità colombiana e un cittadino polacco. L'8 luglio 1996 il procuratore Francesco Lazzaro assegna il fascicolo al pubblio ministero Pietro Allotta, che il 2 novembre 1999 chiede l'archiviazione del procedimento, accolta il 9 gennaio 2001 dal giudice per le indagini preliminari. Nessun ulteriore elemento a carico dei due indagati era stato acquisito.
Nella prima fase delle indagini (30 marzo 1995 – 21 ottobre 1995) i Carabinieri seguirono esclusivamente la pista del delitto derivato da un tentativo di rapina o da contrasti economici (era stata individuata l'ipotesi di prestiti effettuati dal parroco). Vennero ascoltati a sommarie informazioni diversi abitanti della zona, alcuni soggetti tossicodipendenti o conosciuti per reati minori. Non venne iscritto nessuno nel registro degli indagati. Particolarmente attivo in questa fase era il maresciallo della stazione carabinieri di Borgo Pogdora, Antonio Menchella.
Nella seconda fase d'indagini (dal febbraio 1996) l'attenzione investigativa si concentrò su un cittadino polacco senza fissa dimora, che aveva abbandonato la zona di Latina il 30 marzo 1995, nelle prime ore della mattina e su un sacerdote colombiano, legato a don Boschin da stretti rapporti, pare anche di natura economica (avrebbe ricevuto un prestito dall'anziano parroco), ritenuto inizialmente legato ad una famiglia di narcotrafficanti di Medellin (ipotesi poi caduta a seguito di specifica ricerca informativa, che diede risultato negativo). Anche queste due ipotesi si rivelarono inconsistenti e non supportate da indizi.
Per quanto riguarda il movente è da notare che nulla di valore venne sottratto al parroco: al polso aveva un orologio, nel portafogli circa 600 mila lire e altri oggetti (anche preziosi) nella canonica. L'ipotesi, dunque, di un omicidio come conseguenza di una rapina sembra non avere nessun fondamento negli elementi oggettivi desumibili dagli atti delle indagini; dai quali non emergono particolari approfondimenti rispetto ad altre ipotesi investigative.
Rispetto al possibile legame dell’omicidio Boschin con la discarica di Borgo Montello nel fascicolo sono reperibili pochi elementi. Il principale riguarda la deposizione di un agricoltore residente nella zona, ex seminarista, vicino a don Cesare Boschin, Claudio Gatto, che dichiarò agli investigatori: “Ricordo infatti che una volta, circa sei-sette anni fa, don Cesare, nel narrarmi di persone dirigenti della discarica che si erano resi disponibili alla riparazione del tetto della chiesa, probabilmente per accattivarsi la sua simpatia in considerazione che la discarica non era e non è ben vista dagli abitanti del luogo e da don Cesare in particolare, questi rispose che ‘con i soldi miei la chiesa posso rifarla dalla prima pietra’”. Lo stesso Gatto il 29 aprile 1995 dichiara al pubblico ministero:
“ADR: Confermo quanto dichiarato ai CC; voglio precisare che la figura di don Cesare - che negli ultimi due anni effettivamente si era ritirato quasi completamente a vita privata – conservava comunque una grande importanza nel borgo; ciò in quanto da una parte costituiva la memoria vivente della popolazione del borgo e dall'altra negli anni passati aveva di fatto partecipato alla vita del luogo; intendo riferirmi in particolare alle vicende che hanno riguardato la discarica negli anni passati ed attualmente la realizzazione dell'inceneritore.
ADR: In proposito posso aggiungere che negli anni passati don Cesare aveva manifestato chiaramente la sua opposizione alla realizzazione della discarica in ciò sostenendo quel comitato di cittadini che io con altri del borgo avevamo fondato; in particolare mi riferisco al comitato per la tutela ambientale del quale io faccio parte così come Solazzi Loreto, Menegatti Rolando Favoriti Vittorio - attuale presidente della circoscrizione – Gomiero Valerio, Paolo Bortoletto e svariati altri”[16].
Queste dichiarazioni non vennero, però, approfondite nel corso delle indagini. E' anche vero che altri abitanti del luogo affermarono la sostanziale estraneità di don Cesare Boschin alle attività del comitati antidiscarica. In tempi più recenti Gatto ha ulteriormente rafforzato le sue dichiarazioni in diversi articoli di stampa.
Gli investigatori esclusero completamente anche la pista della criminalità organizzata.
Michele Coppola – residente all'epoca dei fatti a Borgo Montello, a ridosso della discarica - non è stato mai interessato dalle indagini, pur essendo già all'epoca un soggetto molto conosciuto nella zona ed essendo nota alla polizia giudiziaria la detenzione di diverse armi da fuoco (fatto registrato, come già detto, nelle banche dati delle forze di polizia fin dagli anni '80). Anche il successivo arresto di Coppola nell'ambito dell'inchiesta sul clan dei casalesi “Spartacus” (avvenuto il 5 dicembre 1995) non spinse gli inquirenti ad approfondire un eventuale coinvolgimento del clan nell'omicidio. Nulla è accaduto neanche dopo le dichiarazioni di Carmine Schiavone del marzo 1996, davanti a quelle stesse forze di polizia delegate alle indagini.
L’inchiesta appare per alcuni aspetti lacunosa. Nel fascicolo non sono presenti attività tecniche o analisi di tabulati telefonici (ad esempio una analisi del traffico telefonico di don Cesare Boschin avrebbe potuto fornire indicazioni importanti) e le indicazioni, anche se parziali, fornite da alcuni testimoni su una eventuale pista investigativa riconducibile ai traffici illeciti di rifiuti non venne seguita fino in fondo.
A distanza di oltre due decenni dai fatti appare oggi difficile riuscire a ricostruire gli eventi. La figura di don Cesare Boschin, in ogni caso, è nel tempo divenuta una icona della lotta alla criminalità mafiosa. Dunque sarebbe in ogni caso auspicabile riconsiderare quelle indagini, chiuse dall’autorità giudiziaria, per tentare di ricostruire almeno il contesto, ascoltando anche i tanti collaboratori di giustizia che hanno già illustrato fatti relativi al sud del Lazio.
7.3 I rifiuti di origine industriale nella discarica di Borgo Montello
Per diversi anni si sono susseguite ipotesi - investigative e nell’opinione pubblica - rispetto all’utilizzo dell’area della discarica di Borgo Montello per l’interramento di rifiuti pericolosi, sia sotto forma di fusti, sia attraverso la dispersione di fanghi industriali, mescolati con i rifiuti solidi urbani. Lo stesso collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, già nel 1996, dichiarò che il clan dei Casalesi avrebbe utilizzato quel sito - tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 - per lo sversamento illecito di rifiuti pericolosi.
Tali ipotesi hanno assunto particolare forza - soprattutto tra i comitati e la popolazione - dopo il 1990, quando si dimostrò l’interesse delle industrie farmaceutiche e chimiche con sede produttiva nei dintorni del sito di Borgo Montello per l'utilizzazione dell’area ai fini dello smaltimento dei residui. La Recordati, la Sigma Tau e la Bristol costituirono un apposito consorzio che - dalle intenzioni dei promotori - avrebbe dovuto realizzare un impianto di trattamento degli scarti delle lavorazioni[17]. Le tre industrie avevano - e in parte hanno - siti produttivi non molto distanti dalla discarica, come si può vedere nella mappa, ben collegati dalla strada statale Pontina.
7.3.1 I primi studi, l’attività degli enti pubblici, la perizia nel processo per avvelenamento di acque
All'inizio degli anni '90 il comune di Latina affidò all'Enea uno studio finalizzato alla "Individuazione dei siti idonei ad ospitare gli impianti di smaltimento dei rifiuti". Lo stesso comune di Latina nel 1995 aveva chiesto un secondo studio al gruppo di lavoro Enea, Unichim, Centro comune di ricerca (CCR) di Ispra, per la caratterizzazione e bonifica del sito di Borgo Montello, già in uso fin dai primi anni '70. Si tratta del primo monitoraggio di un certo rilievo effettuato sull'area. L'intervento era finalizzato alla bonifica dei siti S1, S2 e S3.
Gli studi rientravano in un piano generale di analisi dello stato della discarica di Borgo Montello. Con deliberazione della giunta municipale n. 24889 del 24 dicembre 1994, il comune di Latina aveva aderito alla iniziativa dell'Enea, dell'Unichim e dei Centro comune di ricerca, per uno studio comparativo su alcuni siti contaminati italiani.
Lo studio - che si è concluso nel 1998 - si è scontrato con alcune difficoltà oggettive per la ricostruzione storica degli abbancamenti dei rifiuti all'interno dei tre siti. Si legge nel report del giugno 1998: "L'ultima società (Ecomont) che ha gestito in ordine di tempo le discariche S1 S2 e S3 ha dichiarato fallimento e quindi non è stato possibile rintracciare la documentazione necessaria per ricostruire con esattezza la memoria storica relativa alla gestione delle discarica". Lo studio parte, poi, dall'assunto che "è ragionevole presumere che la natura dei rifiuti stoccati sia quella tipica degli RSU e di quelli ad essi assimilati".
Nello stesso documento si legge: "Non risulta che negli anni di coltivazione delle discariche ora dismesse siano stati fatti esposti o denunce in grado di evidenziare lo smaltimento di sostanze pericolose all'interno dell'area, in settori non autorizzati a ricevere tale tipologia di rifiuti".
In realtà, come abbiamo visto, nel 1996 vi erano state le dichiarazioni di Carmine Schiavone. Non solo. Nella prima metà degli anni ‘90 era stato indagato e poi condannato Adriano Musso[18] per lo sversamento non autorizzato di rifiuti anche pericolosi, all'interno della discarica di Borgo Montello. Anche se i fatti si riferivano - come vedremo – al sito B2, sarebbe stato perlomeno opportuno prendere in considerazione l'ipotesi di possibili sversamenti di rifiuti pericolosi in altre aree della discarica.
In ogni caso lo studio si pone come obiettivo "l'accertamento della presenza di rifiuti pericolosi di origine industriale, attraverso indagini geofisiche e analisi di matrici ambientali".
Le analisi effettuate - come si legge nello studio - si basano, però, sull'assunto: "pur non essendo nota la composizione del materiale depositato nella discarica, si presume comunque che possa essere prevalentemente costituito da RSU".
Durante lo studio l'attenzione si concentrò sul sito S0, attivo tra il 1971 e il 1986, sotto la responsabilità del comune di Latina (anche se la gestione operativa era demandata ai proprietari dell'area Proietto e Chini). Attraverso un rilievo geomagnetico vennero individuate tre anomalie poste a poca distanza dal fiume Astura, corrispondenti a masse metalliche. Solo negli 2000 verranno effettuati degli scavi per studiare l'origine delle anomalie.
Un secondo studio sullo stato dei siti S1, S2 ed S3 è del 1998. Si tratta del "Progetto per la bonifica degli invasi S1, S2 e S3 in località Borgo Montello", committente la società Ecoambiente, partecipata dal comune di Latina e dal gruppo riconducibile a Manlio Cerroni. Lo studio, firmato dal professor Gian Mario Baruchello, era finalizzato alla proposta di bonifica dell'area per la successiva utilizzazione degli invasi come impianto di discarica per rifiuti solidi urbani. A pagina 45 del documento (inserito nella documentazione consegnata alla commissione dal consulente tecnico delle famiglie di Borgo Montello, parte civile nel processo in corso a Latina contro il management di Ecoambiente per avvelenamento delle acque) si legge: "Prendendo atto di quanto affermato nello studio ENEA in merito alla tipologia dei rifiuti abbancati, in relazione alla data di entrata in funzione degli invasi, successiva all'emanazione del DPR 915/82, si può ipotizzare con una certa sicurezza che ci si trovi in presenza di rifiuti urbani o a questi assimilati, nonché di rifiuti smaltibili in discarica di 1.ma categoria come i fanghi prodotti da impianti di depurazione di liquami civili".
Gli studi effettuati, dunque, sulle aree gestite fino alla metà degli anni '90 (prima dal comune di Latina, poi dalla Pro.Chi e quindi dalla fallita Ecomont) non hanno approfondito l'eventuale esistenza di rifiuti pericolosi di origine industriale nelle aree S1, S2 e S3. Per quanto riguarda gli invasi già all'epoca gestiti dalla società Ind.Eco. (S4) e l'area utilizzata all'inizio degli anni '90 per lo stoccaggio di "rifiuti speciali" (B2, gestita dalla società Ecotecna) non risultano agli atti studi di caratterizzazione. La stessa società Indeco - audita dalla commissione - non ha depositato documentazione in tal senso.
L'attività di monitoraggio della falda acquifera svolta da ARPA Lazio e da ISPRA negli anni 2000 non sembra, anche in questo caso, aver approfondito l'eventuale presenza di rifiuti speciali pericolosi, concentrando l'attenzione sulla contaminazione derivante dalla gestione dei soli rifiuti solidi urbani. Nella relazione conclusiva dell'ottobre 2014, acquisita dalla commissione[19], pur dichiarando nelle premesse che l'attività avrebbe preso in considerazione "le fonti della contaminazione", nella parte di ricostruzione storica non compie una puntuale analisi degli atti autorizzativi (e, di conseguenza, delle diverse tipologie di rifiuto conferiti) nel corso della lunga e complessa storia della discarica. Vi è solo un veloce cenno rispetto alla gestione passata di "rifiuti speciali" per il sito "2B", posto all'interno dell'area gestita attualmente dalla società Ind.Eco.
Va evidenziato che - per quanto acquisito dalla Commissione - l'agenzia regionale per l'ambiente ARPA Lazio non ha mai documentato una contaminazione significativa derivante da rifiuti di origine industriale. Il responsabile rifiuti e bonifiche dell' ARPA sezione di Latina, Dino Chiarucci, sentito a sommarie informazioni dalla Squadra mobile di Latina l'11 novembre 2013[20], aveva dichiarato:
"Il meccanismo dell'inquinamento è derivante da rifiuti solidi perché parto dall'assunto che questa discarica è stata adibita a rifiuti solidi urbani.
Domanda: Piombo, Cadmio, Cromo e Nichel sono fattori diretti d'inquinamento?
Sì.
Domanda: Da cosa possono derivare?
Dai rifiuti depositati ma non sono in grado di riferire la tipologia di rifiuto da cui possa derivare
Domanda: L' ARPA prima di iniziare il monitoraggio ha acquisito il regime delle autorizzazioni per l'esercizio della discarica da parte delle società che vi operano?
No. Non c'è stata mai un'indagine sul tipo di rifiuti che vi hanno portato"
Sentito dal pubblico ministero titolare delle indagini Giuseppe Miliano il 14 novembre 2013[21], Chiarucci ha aggiunto alcuni elementi in relazione al sito B2 (area delle discarica destinata in passato a ricevere rifiuti speciali industriali, vedi oltre)
Domanda: Cosa era il sito B2?
Era la ex Ecotecna; all'epoca pensarono di fare un sito apposito per i rifiuti speciali tenuti distinti dai solidi urbani, ricordo, per sentito dire, che fecero questo sito con accorgimenti specifici per contenere tali rifiuti speciali. Tale sito venne utilizzato soltanto in parte e poi fu dismesso. Successivamente la società Indeco chiese di poterla utilizzare con rifiuti solidi urbani previa separazione dei rifiuti speciali; separazione avvenuta dapprima effettuando un controllo sulla tipologia di rifiuti speciali attraverso un'indagine con delle trivellazioni per escludere la presenza di rifiuti tossici pericolosi. Tale operazione durò circa una mesata alla fine degli anni '90".
In sede di audizione innanzi alla Commissione, nella seduta del 13 ottobre 2016, lo stesso Chiarucci ha fornito pochi elementi aggiuntivi sul tema:
“dall'altra parte è nata la Indeco, ha rilevato anche la ex B2, che era un altro invaso costruito nel frattempo secondo i criteri della direttiva sui rifiuti, dove erano stati abbancati inizialmente anche rifiuti speciali derivanti da attività produttiva”.
Secondo il tecnico ARPA, responsabile della sezione di Latina, l’eventuale inquinamento da sostanze industriali sarebbe confinato nella zona chiamata S0, bacino attivo nei primi anni ‘80, e in parte negli invasi S1, S2, S3:
“La situazione di Borgo Montello è effettivamente complessa. Come accennato dal direttore, la problematica nasce proprio con la discarica, nel senso che il primo bacino di abbancamento, il famoso S0, che è fonte di parecchie vicende interne alla discarica, nasce negli anni ’70 proprio sulle sponde dell'Astura, sull'area golenale che era stata presa come sversatoio perché c'era una parete naturale, quindi è stato sversato questo rifiuto per anni.
S0 è stato coltivato fino al 1984, l'ha seguito il comune nell'ultima parte, fino agli anni ’90 si potevano tranquillamente portare rifiuti di tipo industriale e rifiuti urbani mescolati fra loro soprattutto nelle discariche S1, S2, S3, i famosi bacini che poi sono un tutt'uno”.
Anche il settore rifiuti della regione Lazio sembra non disporre di conoscenze dirette rispetto alla presenza di rifiuti industriali, anche pericolosi, nell'area della discarica. La dirigente Flaminia Tosini (responsabile del settore rifiuti e, al momento dell'audizione, con l'incarico ad interim di responsabile bonifiche) nel corso dell'audizione dell'11 luglio 2016 ha dichiarato di non avere conoscenza dell'interramento di rifiuti industriali.
Sia l’ARPA che la regione Lazio, dunque, dichiarano di non possedere elementi certi di ricostruzione storica rispetto all'utilizzo del sito di Borgo Montello per lo stoccaggio di rifiuti industriali, anche pericolosi, al di là delle indagini sul sito S0. Tale assenza di informazioni appare grave: se è giustificabile sul versante dei presunti sversamenti illeciti (affrontati in questa relazione nel dettaglio), meno comprensibile è la mancata analisi della documentazione autorizzativa della stessa regione Lazio. Tra il 1990 e il 1993 fu infatti la stessa regione ad autorizzare - con un provvedimento decisamente atipico, come vedremo - lo stoccaggio di rifiuti speciali anche pericolosi all'interno di un invaso del sito di Borgo Montello. Quell'atto, tra l'altro, diede origine ad un lungo contenzioso amministrativo e a un processo penale connotato, come si è detto, da una condanna in primo grado dell'allora responsabile della gestione Adriano Musso.
Il lavoro di monitoraggio della falda acquifera svolto dall’ARPA Lazio (che è alla base del progetto di bonifica oggi in attesa di VIA da parte della regione Lazio) è iniziato nel 2005.
Nell'ottobre 2014 l'ISPRA ha completato la relazione conclusiva per la definizione del modello idrogeologico dell'area adibita a discarica in località Borgo Montello. Il rapporto[22] è una valutazione complessiva dei risultati del secondo triennio (2009-2013) di monitoraggio idrochimico delle falde dell'area.
Le conclusioni hanno, in sintesi, evidenziato:
a) per la sostanza 1,2 dicloropropano è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC in 28 campioni, pari al 18,7 per cento del totale, all'interno dell'area della discarica;
b) per la sostanza 1,4 diclorobenzene è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC in 27 campioni, pari al 18 per cento del totale, all'interno dell'area della discarica;
Per quanto riguarda questi due indicatori la maggior presenza è stata rilevata attorno all'opera di isolamento idraulico (polder), realizzato all'inizio degli anni 2000 nell'area gestita dalla società Ecoambiente (siti S1 S2 e S3).c) per la sostanza ferro è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC in 77 campioni, pari al 33 per cento del totale, con una presenza prevalente all'interno dell'area della discarica; le massime concentrazioni sono state rilevate in prossimità del citato polder;
d) per la sostanza manganese è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC nel 60 per cento dei campioni;
e) per la sostanza arsenico è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC nel 30 per cento dei campioni;
f) per la sostanza piombo è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC nel 14 per cento dei campioni (presenza giudicata sporadica dall' ISPRA);
g) per la sostanza solfati è stata rilevata una concentrazione superiore alle CSC nel 3,9 per cento dei campioni della rete interna e nel 3 per cento della rete esterna all'area della discarica. Sono stati infine rilevati superamenti occasionali di altre sostanze: idrocarburi totali (1), cloroformio (3), cloruro di vinile (2); in concentrazioni inferiori alle CSC: benzene, toluene, p-xilene, 1,1 dicloroetano, 1,2 dicloroetilene, tricloroetilene e tetracloroetilene.
L' ISPRA così conclude lo studio: “In considerazione del fatto che sono stati riscontrati superamenti delle CSC ai punti di conformità, si ritiene che ai sensi della normativa vigente (Parte Quarta, Titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ss.mm.ii.) corra l'obbligo alle ditte di intervenire con misure di messa in sicurezza e/o bonifica delle acque sotterranee”. Viene inoltre ritenuto indispensabile il proseguimento del monitoraggio da parte di ARPA Lazio, con prelievi almeno semestrali.
Nella documentazione presentata da ARPA Lazio alla Commissione non c’è tuttavia traccia di ulteriori monitoraggi specifici delle falde.
Nell'ambito del già citato procedimento penale pendente davanti al tribunale di Latina per avvelenamento delle acque, relativo alla gestione di parte della discarica di Borgo Montello, in fase di udienza preliminare il perito Tomaso Munari ha ricostruito lo stato ambientale dell'area, realizzando nuovi prelievi.
Nella relazione finale depositata al giudice dell’udienza preliminare[23], sono evidenziate alcune criticità dello studio realizzato da ARPA Lazio e ISPRA, che porterebbero a considerare come sottostimati i livelli di inquinamento – già di per se rilevanti – riportati. Si legge nello studio di Munari: “la ricostruzione della geologia del sottosuolo, certamente assai complessa sia per cause naturali che per le alterazioni indotte dalle attività umane - sia in tempi precedenti alla realizzazione delle discariche sia conseguenti all'attuale uso del sito - non fornisce elementi sicuri di valutazione circa la congruità delle ‘opere di bonifica’ e altrettanto inconclusive e/o insufficientemente informative, risultano le indagini chimiche ed idrologiche condotte negli anni. Si rammenta che dette indagini sono state realizzate da molteplici soggetti, tra cui ARPA Lazio che ha, tra l'altro, elaborato un modello per descrivere la circolazione delle acque di falda nel sottosuolo della discarica ma, a causa della complessa geologia e dei limiti conoscitivi sulla reale natura del sito e delle opere realizzate, il modello non può essere considerato pienamente soddisfacente”.
Lo studio del perito individua la criticità nella modalità utilizzata per la realizzazione dei pozzi piezometri di controllo:
“Esiste infatti un ostacolo rilevante al fine di permettere, allo scrivente, di considerare le campagne di monitoraggio analitico, svolte indifferentemente dai diversi soggetti sulle acque del sito, idonee a rappresentare l'effettivo grado di contaminazione dello stesso. Detto ostacolo è costituito dal fatto che l'assoluta maggioranza dei piezometri destinati al controllo delle acque, ma anche buona parte di quelli destinati al controllo della tenuta della parete impermeabile, sono stati spinti finanche alla profondità di circa 40 m rispetto al piano di campagna (che lo scrivente ricorda essere, con l'esclusione dei rilievi costituiti dalle discariche, tra i 12 e 30 m s.l.m.), ma che la finestratura (ovvero il tratto forato e permeabile alle acque sotterranee) ha generalmente interessato solo la parte più profonda del piezometro, spesso i 20 m più profondi dei piezometri/pozzi spia. Questa inusuale scelta realizzativa, oltre ad essere difforme alle norme di buona tecnica appare in contrasto con le modalità costruttive riportate nel "[Piano di] Monitoraggio idrogeologico finalizzato al collaudo ambientale delle opere di messa in sicurezza realizzate e alle valutazione dell'impatto dell'opera sul sito in esame" redatto da ARPA Lazio il 22/1/2004 nelle more delle prescrizioni per la concessione di ulteriori volumetrie. Detto piano prevedeva sia per i piezometri esistenti che per i piezometri nuovi (punti 3 e punto 4 rispettivamente) che gli stessi dovessero presentare una finestratura lungo tutta la zona satura (ove è presente costantemente acqua sotterranea) e nella zona insatura interessata dalle fluttuazioni della falda. Il mancato rispetto della buona prassi, e dell'esplicita prescrizione, non appare essere stata rilevata da ISPRA e dalla stessa ARPA Lazio neppure nelle relazioni annuali di monitoraggio nelle quali, pur tabulando dati di finestratura dei pozzi chiaramente inidonei al monitoraggio, non hanno ritenuto - inspiegabilmente - la questione di alcun interesse. Questo fatto è ancor più sorprendente posto che ben 6 tecnici qualificati (chimici, ingegneri e geologi) di ISPRA e ARPA Lazio hanno sottoscritto le suddette relazioni. La criticità della circostanza risiede nel fatto che la contaminazione del sito dipende da sorgenti localizzate in prossimità della superficie, mentre i piezometri così realizzati possono fornire informazioni al più rappresentative della qualità della porzione più profonda (e quindi meno interessata dalla contaminazione) delle acque sotterranee”[24].
Nel contesto di queste valutazioni vanno peraltro distinte le posizioni di ARPA Lazio, soggetto istituzionalmente incaricato dei controlli e monitoraggi, e di ISPRA, soggetto intervenuto come referente tecnico-scientifico a esaminare dati e risultati.
In una nota acquisita dalla Commissione[25], ISPRA chiarisce il ruolo svolto, nei seguenti termini:
“Le attività sono state svolte da ISPRA nell'ambito di una convenzione triennale stipulata nel novembre 2011 con ARPA Lazio, volta alla collaborazione tecnico-scientifica per la definizione del modello idrogeclogico e concettuale dell'area adibita a discariche in località Borgo Montello, nel comune di Latina, e del tratto del fiume Astura ad essa prospiciente. Le attività previste nella convenzione hanno riguardato l'analisi dei monitoraggi sulle acque di falda condotte da ARPA Lazio e l'aggiornamento del modello idrogeologico.
Per quanto riguarda i monitoraggi sulle acque di falda sono stati predisposti tre rapporti: il primo consistito nella elaborazione preliminare dei dati raccolti nel periodo marzo 2009-settembre 2011; il secondo ha riguardato il monitoraggio integrato con i dati relativi al periodo dicembre 2011 - settembre 2012; il terzo relativo al monitoraggio svolto nel periodo dicembre 2012 - aprile 2013.
Per quanto riguarda invece il modello concettuale definitivo, esso è stato aggiornato nel rapporto conclusivo che illustra le descrizioni delle caratteristiche stratigrafiche e idrogeologiche del sito, con particolare riferimento alle litologie presenti e alla loro permeabilità nonché all'identificazione delle falde, delle loro caratteristiche, delle eventuali relazioni reciproche e quelle con il fiume Astura, l'individuazione delle sostanze contaminanti presenti nelle diverse componenti ambientali influenzate dal sito: terreni, acque superficiali e sotterranee, tossicità e caratteristiche chimico-fìsiche delle sostanze presenti […] obiettivo dell'attività svolta dall'lSPRA era la definizione del modello idrogeologico dell'area oggetto della convenzione. A tal fine ISPRA ha utilizzato oltre ai dati forniti dalle ditte Ind.Eco. ed Ecoambiente, quelli prodotti da ARPA Lazio nell'ambito delle attività di monitoraggio delle acque di falda nella rete piezometrica insistente nelle aree oggetto di studio. Tali attività si inserivano in un progetto di monitoraggio più articolato descritto nel documento "Monitoraggio idrogeologico finalizzato al collaudo ambientale delle opere di messa in sicurezza realizzate e alla valutazione dell'impatto dell'opera sul sito in esame" predisposto da ARPA Lazio Sezione provinciale di Latina, approvato da comune, provincia, regione e dalle società che gestiscono i siti di discarica (2005).
ISPRA non ha quindi partecipato alla definizione e all'approvazione del progetto di monitoraggio né alle fasi di campionamento ed analisi ma si è limitata a fornire una valutazione dei risultati di un circoscritto periodo di monitoraggio, il secondo triennio, effettuando confronti con gli andamenti nel periodo precedente, laddove possibile.
ISPRA non ha e non ha avuto alcun ruolo di validazione e controllo dell'attività di monitoraggio che resta, come previsto dalla norma, in capo agli Enti di Controllo”
La perizia stigmatizza in effetti la fragilità dei controlli pubblici realizzati nell'area interessata dal polder realizzato all'inizio degli anni 2000, unica opera di intervento ambientale rilevante – almeno dal punto di vista economico – nei quarant’anni di funzionamento ininterrotto della discarica di Borgo Montello:
“Anche in relazione alla singolarità della quantità/qualità del percolato, non appare che gli enti di controllo abbiano posto la necessaria attenzione al monitoraggio del livello della falda all'interno ed all'esterno del diaframma in relazione alle fluttuazioni della stessa o, molto più semplicemente, alla verifica dell'esistenza di un emungimento delle acque sotterranei dai pozzi spia, nominalmente di monitoraggio, realizzati all'interno della ‘barriera impermeabile’, circostanza invece pacificamente emersa durante le attività di campo svolte dallo scrivente, e che avrebbe dovuto essere riscontrata anche dai controllori, osservando lo stabile posizionamento di una pompa fissa, in ogni pozzo spia interno, destinata all'emungimento delle acque sotterranee”[26]
La perizia auspica, in questo senso, “l'effettiva realizzazione delle opere funzionali”, “le verifiche previste dagli atti autorizzativi” e lo “svolgimento di attività di monitoraggio efficaci, e non solo formali”.
7.3.2 L’indagine della Squadra mobile di Latina (2013-2014)
La Commissione ha acquisito l'intero fascicolo del procedimento penale 14948/13/19 modello 44 contro ignoti della procura della Repubblica di Latina, archiviato il 20 aprile 2014[27]. Gli atti di indagine svolti - seppur su fatti che il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto non penalmente rilevanti, disponendo l'archiviazione del procedimento - sono particolarmente significativi, in quanto permettono la ricostruzione puntuale della storia del sito di Borgo Montello, evidenziando importanti criticità.
Con una prima informativa del 15 ottobre 2013 - che ipotizzava il reato previsto e punito dall’articolo 439 del codice penale - la Squadra mobile della Polizia di Stato di Latina richiedeva all’autorità giudiziaria una specifica delega (con l’attivazione di intercettazioni telefoniche e ambientali) per approfondire quanto denunciato dal presidente dei Verdi del Lazio Nando Bonessio e dall’ambientalista Giorgio Libralato all’agenzia di stampa AGR: “Da 7 anni, ovvero dal 2005, le falde acquifere di Borgo Montello risultano fortemente inquinate da metalli pesanti e presenza di anomale masse magnetiche, ma nonostante ciò, nessuna precauzione è stata attuata dalle istituzioni competenti”. Tali dichiarazioni si basavano su quanto dichiarato dall’allora commissario dell’ARPA Lazio Corrado Carruba durante un’audizione della commissione “Criminalità” del Consiglio regionale del Lazio.
L’informativa della polizia giudiziaria riferisce su una prima attività di riscontro: “Questa Squadra Mobile ha avviato specifiche attività info-investigative da cui è scaturito che in una specifica porzione dell’area, ove insiste la discarica di Borgo Montello, che questo ufficio è in grado di raggiungere seguendo indicazioni precise, gestita attualmente dalle società Ecoambiente srl, per quanto attiene agli invasi denominati S0, S1,S2 e S3, ed Indeco srl, per l’area contrassegnata dalle sigle S4, S5, S6 e B2, sono stati interrati, tra il 1987 ed il 1990, rifiuti altamente pericolosi, tali da inquinare le falde acquifere”, allegando una mappa con l’indicazione precisa del punto di interramento.
L’informativa individua uno dei presunti responsabili dell’attività illecita: “L’interramento dei fusti contenti rifiuti pericolosi sarebbe avvenuto utilizzando la ditta di […], specializzata nel movimento terra. Il […] sarebbe stato ingaggiato, ricevendo per la sua opera ed il suo “silenzio” una cifra oscillante tra 60 ed 80 milioni del vecchio conio, da tale Proietto Andrea”. Va aggiunto che i nomi citati non risultano iscritti nel registro degli indagati nell’ambito del procedimento 14948/13/19 e che – a conclusione delle indagini – il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’archiviazione, accogliendo al richiesta della procura della Repubblica di Latina.
Andrea Proietto[28] è stato uno dei due soci della società Pro.Chi.[29], responsabile della gestione della discarica di Borgo Montello dall’inizio degli anni ’80 fino al 1988/1989.
Una seconda informativa è stata inviata dalla Squadra mobile di Latina all’autorità giudiziaria l’8 gennaio del 2014, con ulteriori elementi particolarmente rilevanti.
L'inchiesta ha ripercorso le precedenti indagini partite all'inizio degli anni '90 – che hanno dato luogo alla citata condanna in primo grado e declaratoria di prescrizione in appello - per sversamento di rifiuti pericolosi. La Squadra mobile ha poi approfondito alcune informative dei primi anni '90, ricostruendo il complesso intreccio societario dei gestori dell'epoca (alcuni dei quali sono, dopo diversi passaggi di azioni, ancora oggi operativi sul sito di Borgo Montello).
Il risultato dello sforzo investigativo della squadra mobile di Latina ha portato alla individuazione puntuale di almeno due invasi dove – tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 – sono stati sversati rifiuti pericolosi[30].
I due punti individuati corrispondono con l'invaso denominato “B2”, inserito nella parte della discarica attualmente gestito dalla società Indeco srl, e la zona compresa tra i siti S3 e S1, oggi gestita dalla società Ecoambiente srl. Nel primo caso (B2) vi è una certezza per tabulas rispetto allo sversamento di rifiuti speciali pericolosi, comprovata nel corso di un processo penale (il giudicato sulla declaratoria di prescrizione conferma l’accertamento che aveva portato alla condanna in primo grado dell’unico imputato); nel secondo caso (S1-S3) vi sono almeno due testimonianze dirette concordanti e una testimonianza de relato particolarmente attendibile.
L'indagine condotta dalla squadra mobile di Latina ha ricostruito puntualmente una fase cruciale per la discarica di Borgo Montello, utilizzata all'inizio degli anni '90 anche per lo stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi e - come vedremo - pericolosi. Le originarie informazioni raccolte dagli investigatori provenivano dal fascicolo d’indagine aperto nel 1992 dalla procura di Latina [31].
Dai documenti allegati all'informativa citata è possibile ricostruire la storia del sito denominato "B2" - gestito dalla società Ecotecna – e della serie di autorizzazioni, concesse tra il 1990 e il 1991, in regime di emergenza (attraverso ordinanze del presidente della Giunta regionale), che hanno consentito lo smaltimento in discarica di rifiuti speciali, anche pericolosi[32].
E' bene sottolineare fin da subito che gli atti autorizzativi[33] si riferivano ad un "temporaneo" stoccaggio, come vedremo in dettaglio, la cui esigenza derivava da una presunta emergenza. Orbene, quei rifiuti sversati nel bacino B2 sono rimasti lì; terminata la fase di utilizzo del sito come discarica di seconda categoria B, la stessa società Ecotecna ha chiesto ed ottenuto un'autorizzazione per la realizzazione di un sito per rifiuti solidi urbani a copertura dell'invaso[34]. Oggi l'area è dunque stratificata, con alla base l'antico sito di conferimento di rifiuti speciali, anche pericolosi.
Prima di entrare nel merito delle vicende occorre avere un quadro d'insieme dei passaggi societari, che si incrociano con le autorizzazioni.
Di seguito uno schema cronologico riassuntivo:
21 febbraio 1990 | Guastella Srl | Sito “B2” autorizzato da regione Lazio per rifiuti speciali (ord. 76 del 21 febbraio 1990) |
26 marzo 1990 | Guastella Srl | Sito “B2” autorizzato da regione Lazio per rifiuti anche pericolosi (ord. 215 del 26 marzo 1990) |
maggio 1990 | Guastella → Ecomont | Incorporazione per fusione con SOREGIN |
26 settembre 1990 | ECOMONT → Affitta B2 a → ECOTECNA | ECOTECNA ← ECOITALIA (maggioranza) e LED (minoranza); ECOITALIA ← SERVIZI INDUSTRIALI srl (AD all'epoca Osvaldo Nirino, poi Paolo Borbon, riconducibile all'epoca al gruppo TEXECO) |
1991 | Ecotecna | La proprietà della Servizi Idustriali (controllore della Ecotecna) passa per il 50% al gruppo Acqua e il 50% alla BFI |
31 dicembre 1992 | Ecotecna, Sito B2 | Scade il termine dell'ordinanza sospensiva del consiglio di Stato sulla sentenza del TAR di chiusura del sito B2 |
23 febbraio 1993 | Ecotecna | Vista la situazione (chiusura della B2 per i rifiuti pericolosi), l'Ad Adriano Musso propone di riconvertire l'invaso in discarica per RSU |
Dicembre 1994 | Ecotecna | Il gruppo Bfi compra le quote della Servizi Industriali possedute dal gruppo Acqua |
Il primo atto autorizzativo del sito “B2” di Borgo Montello è l'ordinanza numero 76 del febbraio 1990, firmata dall'allora presidente della regione Lazio Bruno Landi (che, negli anni successivi, entrerà come amministratore nel gruppo Cerroni, occupandosi, tra l'altro, proprio del sito di Borgo Montello). Gli elementi chiave del provvedimento sono:
a) stato di emergenza della regione Lazio per lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti di origine industriale; la documentazione a base della dichiarazione di emergenza (che in successiva sentenza del TAR Lazio dell'11 dicembre 1990 verrà definita “se per ipotesi esistente, non è stata, nonostante le molte parole, adeguatamente illustrata”) era costituita dalla risoluzione del Consiglio regionale numero 101 del 6 luglio 1989 e dalla successiva deliberazione della Giunta regionale numero 7394 del 5 agosto 1989[35];
b) la delibera ordinava alla società Guastella Impianti srl, gestore all'epoca dell'intera area di Borgo Montello, di attivare l'impianto di discarica per rifiuti speciali – escludendo inizialmente i pericolosi - “in via temporanea”; il progetto prevedeva il funzionamento per sei anni dell'impianto, per una capacità complessiva di 460 mila tonnellate; l'ordinanza indicava il periodo “temporaneo” in due anni, con una evidente contraddizione tra progetto e autorizzazione;
c) nella citata consulenza del pubblico ministero sono analizzati gli atti della consulta regionale richiamati dall'ordinanza; scrivono i consulenti: “In definitiva, a sommesso avviso degli scriventi, la consulta non ha approvato la realizzazione della discarica II B, anzi, non ha ritenuto naturalmente idoneo il suolo proposto per il suddetto impianto definitivo. La consulta ha espresso solo il parere di massima in relazione alla possibilità di realizzare in quel sito e con quel progetto una ‘messa in sicurezza’ di rifiuti industriali, provvisoriamente, per la eventuale bonifica locale, sempre nel rispetto delle esplicite prescrizioni formulate”. In realtà la prima ordinanza ordina la realizzazione di un sito definitivo, non più destinato a ricevere i residui delle bonifiche locali, ma rifiuti industriali provenienti da tutto il territorio della regione Lazio.
Di certo il volume di affari che il nuovo sito poteva produrre era ingente. In una nota della Guastella Impianti alla regione Lazio del 30 aprile 1990 era indicato il prezzo previsto per il conferimento, pari a 100-130 lire al chilogrammo. Considerando la quantità autorizzata, il valore commerciale dell'impianto era di almeno 46 miliardi di lire (stima con prezzo a 100 lire al chilo), nei sei anni di funzionamento. Cifra destinata a crescere ulteriormente negli anni (la stima fatta dal gestore in un ricorso presentato al TAR del Lazio dai legali della società Ecotecna il 18 maggio 1999 parla di “mancato guadagno” derivato dalla successiva chiusura dell'invaso superiore ai 66 miliardi di lire[36]).
La consulenza ha stabilito, rispetto a questo primo atto autorizzativo, la mancanza di un "idoneità naturale" del sito per "garantire una sufficiente protezione nei riguardi della migrazione di sostanze inquinanti verso il sottosuolo e verso le acque di falda". Sul punto l'analisi dei consulenti è chiara: “per quanto riguarda lo specifico progetto di discarica II B della Guastella impianti a Borgo Montello nel verbale della consulta (pagina 13) si afferma che il progetto stesso insiste su ‘suoli con caratteristiche naturali non idonee alla ubicazione di impianti di discarica di rifiuti industriali’”. Per cercare di ovviare a questa osservazione vennero realizzate dal gestore dell'epoca “opere di impermeabilizzazione artificiale, delle sponde e del fondo, attraverso un sistema combinato di barriere minerali (argille bentoniche) e barriera sintetica costituita da geomembrana in resina (polietilene ad alta densità, PEAD, spessore 2,5 mm)”. Soluzione, però, ritenuta adeguata solo per lo stoccaggio temporaneo e non per uno smaltimento definitivo.
La seconda ordinanza, firmata sempre dal presidente della regione Lazio Bruno Landi, datata 26 marzo 1990 (meno di un mese rispetto al primo atto autorizzativo), numero 215, integra e modifica l'ordinanza 76 del 21 febbraio 1990, autorizzando lo stoccaggio di rifiuti compresi all'interno della categoria B (paragrafo 4.2.3.2 della deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1994), inclusi i rifiuti pericolosi[37].
Successivamente il comune di Latina, la cooperativa Satricum e cinque cittadini propongono – con atti distinti - ricorso al TAR contro le ordinanze citate. Dopo una prima decisione dei giudici amministrativi (che accolgono il ricorso, prima sospendendo l'ordinanza 215 e poi anche la prima autorizzazione, l'ordinanza numero 76), il Consiglio di Stato, con la decisione 441/1991, sospende per un anno (fino al 9 aprile 1992) l'efficacia della decisione del TAR “in considerazione dell'interesse pubblico all'immediata attivazione dell'impianto in questione nelle more delle misure ordinarie”[38]. Il 14 aprile 1992 vi è un’ulteriore sospensione dell'efficacia della sentenza del TAR da parte del Consiglio di Stato (ordinanza n. 422/92), fino al 31 dicembre 1992.
Nel frattempo la terza ordinanza regionale, numero 575 del 4 novembre 1991, firmata dal presidente della regione Lazio, Rodolfo Gigli, richiamata la prima ordinanza del 21 febbraio 1990 e preso atto della decisione del Consiglio di Stato, ordinava alla società Ecotecna – che nel frattempo aveva affittato il ramo d'azienda dalla Guastella srl – di attivare l'impianto, stabilendo la tariffa a 120 lire al chilogrammo. Nel testo della nuova ordinanza si escludevano i rifiuti “tossico-nocivi”, ma, nel contempo, non veniva revocata l'ordinanza 215 che, a sua volta, aveva “emendato” il primo atto autorizzativo. Anche questa ordinanza verrà a sua volta annullata dal TAR del Lazio il 10 aprile 1992. Dopo la sospensione dell'efficacia delle decisioni TAR da parte del Consiglio di Stato (vedi sopra), l'8 maggio 1992 il presidente della regione Lazio firma una nota ordinando alla Ecotecna di riattivare l'impianto[39].
La sospensione della prima sentenza del TAR – che annullava le due ordinanze del 1990, chiudendo di fatto l'impianto – verrà reiterata per una seconda volta.
La già complessa situazione diviene paradossale nel 1993, quando il presidente della regione Lazio firma una nuova ordinanza, la numero 1/1993.
Annota la Squadra mobile di Latina su questo passaggio: “La citata delibera ha autorizzato la società Ecotecna [...] a continuare a ricevere rifiuti speciali, di cui al paragrafo 4.2.3.2. comma 1 della deliberazione 27 luglio 1984 del comitato interministeriale richiamata nell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 915/1982, con esclusione di quelli tossico nocivi, provenienti da impianti di stoccaggio della sola regione Lazio. Sebbene nella ordinanza n.1 del 1993 è stata prevista l’esclusione dei rifiuti tossico nocivi da conferire nella discarica di Borgo Montello, la categoria dei rifiuti speciali richiamata ai sensi della predetta deliberazione, contempla anche rifiuti tossico nocivi purché non eccedenti concertazioni di sostanze ritenute pericolose per la salute pubblica specificatamente indicate nel decreto del Presidente della Repubblica 915/1982”.
Tra il 1991 e il 1993 si crea dunque un intreccio complesso tra ordinanze della regione Lazio, decisioni contrastanti dei giudici amministrativi e cambi societari dei proprietari della discarica (la Guastella, che aveva concesso in affitto il ramo d'azienda alla Ecotecna, società riferibile all'epoca al gruppo Acqua dei fratelli Pisante e alla statunitense Bfi).
L'attenzione investigativa della Squadra mobile ha cercato di mettere a fuoco questo delicato passaggio: “In seguito all’adozione di detti provvedimenti da parte dei Presidenti della Giunta Regionale del Lazio (P.G.R.L.) pro tempore, il comune di Latina ha impugnato le citate ordinanze al tribunale Amministrativo Regionale, ottenendone l’annullamento. Ma la società gestore, e proprietaria dei terreni, della discarica, ovvero la Guastella Impianti, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato chiedendo la sospensiva della sentenza. Il supremo consesso di Giustizia Amministrativa ha concesso una proroga all’esercizio dell’impianto per rifiuti speciali, successivamente prorogato di un altro anno fino al 31.12.1992”.
Dopo questi passaggi, particolarmente significativi, l’allora gestore del sito B2 di Borgo Montello intraprende alcune modifiche societarie:
“Medio tempore, la Guastella è stata incorporata dalla Ecomont srl. La Ecomont altro non è che la società Realizzazioni Industriali (So.Re.G.In). Infatti con verbale d’assemblea del 18.07.1990 i soci della So.Re.G.In, Maruca Biagio Giuseppe, Maruca Gabriella, Trincia Sergio e Ruggeri Patrizia, rappresentante del socio easing e Diversi (L.E.D.), hanno deliberato la incorporazione della Guastella e contestuale cambio di denominazione della So.Re.G.In in Ecomont srl. Il cambio di denominazione, così come l'incorporazione mediante fusione della Guastella nella So.Re.G.In, poi Ecomont, sono stati [...] frutto di un preciso piano delittuoso, i cui ideatori sono allo stato degli atti sconosciuti perché hanno utilizzato prestanome per realizzare detta progettualità illecita, teso a fare in modo che, formalmente ed apparentemente, vi fossero dei passaggi di proprietà tra persone giuridiche, solo esteriormente, diverse. Sul punto è plausibile ritenere, da quanto emerso nel corso delle attività investigative, per lo più documentali, compendiate nella presente comunicazione di reato, che tuttavia sono suscettibili di ulteriori integrazioni mediante attività di ricerca della prova anche di tipo tecnico, finalizzate ad individuare i promotori del sodalizio criminale in esame, che l'incorporazione tra Guastella ed Ecomont, così come il fallimento di quest'ultima, sono stati espedienti tesi a prolungare, in punto di fatto, la sospensiva rilasciata dal Consiglio di Stato per l'esercizio dell'attività di discarica alla Guastella. Infatti, la citata decisione è stata emessa perché avesse validità un anno. Ma una volta subentrato il nuovo, solo apparentemente soggetto giuridico (Ecomont), quest'ultimo ha chiesto il differimento dei termini, che sono stati autorizzati, per un ulteriore anno. Atteso che, come emergerà nel corso dell'esposizione dei fatti, Guastella ed Ecomontsono riconducibili ai medesimi soggetti, è verosimile quanto ipotizzato”.
Dunque, la complessa vicenda amministrativa ha di fatto creato una sorta di finestra extra ordinem che ha consentito lo smaltimento – non più temporaneo, ma definitivo – di rifiuti industriali, anche pericolosi, nell'invaso “B2”, per almeno due anni (ovvero per quel periodo temporale creato dalle due sospensioni della esecuzione delle sentenze TAR da parte del Consiglio di Stato). Situazione che, secondo la Squadra mobile di Latina, era stata creata ad arte attraverso cambi societari, decisi sostanzialmente per poter ottenere le sospensioni della decisione del TAR (che imponeva la chiusura degli impianti) da parte del Consiglio di Stato.
Si tratta ora di capire che tipo di rifiuti siano stati smaltiti nel sito in questione in quel periodo storico, utilizzando l’”opportunità” nata con le ordinanze della regione Lazio del 1990.
La procura presso la pretura di Latina già dal maggio 1992 aveva aperto un fascicolo d’indagine, ricevendo una prima comunicazione di notizia di reato dalla polizia provinciale (la ricostruzione degli atti presenti nel fascicolo viene svolta dai consulenti nonché nella citata sentenza nei confronti di Adriano Musso e la sentenza del 1997). Già in quell'anno un consulente del pubblico ministero aveva compiuto degli accertamenti, come è possibile leggere dalle motivazioni della sentenza:
“Nei sopralluoghi compiuti nel 1992 (dal marzo al settembre), il consulente aveva verificato che, nella predetta discarica, vi erano anche fanghi di depurazione provenienti dalla produzione di composti farmaceutici e chimici, residui di verniciatura ed altri materiali ricompresi nella categoria dei rifiuti tossico-nocivi […] Secondo il consulente, le caratteristiche di permeabilità, capacità di ritenzione e assorbimento del terreno in questione non erano tali da preservare le acque superficiali e di falda, condizione per lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi”.
Questo passaggio è particolarmente importante perché attesta l’avvenuto smaltimento di rifiuti pericolosi all’interno dell’area B2 della discarica di Montello, come abbiamo visto.
Su questo sito – giova ricordarlo – negli anni seguenti è stata realizzata una seconda discarica per rifiuti solidi urbani, mentre l’area adiacente l’invaso è oggi oggetto di richiesta di ampliamento presentata dalla società Indeco al settore rifiuti della regione Lazio[40]. L’intervento di bonifica dell’area – come già ricordato – non sembra però prevedere una procedura specifica che tenga conto della presenza di rifiuti industriali pericolosi.
Come si è ricordato, il procedimento si è concluso in primo grado con una sentenza di condanna e in appello con una declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione[41].
La ricostruzione puntuale dei rifiuti conferiti nell'invaso B2 è contenuta nella consulenza[42] che si basa sulla consultazione della relazione tecnica compilata dal responsabile settore ambiente del presidio multizonale di prevenzione di Latina, documento contenuto nel fascicolo processuale della Pretura di Latina del 1992.
Scrivono i consulenti: “Gli accertamenti riguardano 19 schede concernenti altrettante tipologie di rifiuti smaltiti; orbene solo per 8 schede la relazione conclude con un giudizio di ‘corretta accettazione’ del rifiuto in discarica: per le altre schede si evidenziano analisi incongruenti e/o insufficienti, difficoltà varia di classificazione dei rifiuti, perplessità sulla correttezza di ammissione in discarica, impossibilità di classificazione e/o declassificazione da ‘tossico nocivo’ a speciale fino ad ‘assimilabile ai rifiuti urbani’ ”.
I consulenti avevano effettuato un sopralluogo nel marzo 1992 (quindi nella fase iniziale di coltivazione della discarica). I risultati hanno portato ad individuare una serie di rifiuti - alcuni con caratteristiche ascrivibili ai pericolosi (ex tossico nocivi) - smaltiti tra il marzo e il settembre 1992 (epoca degli accessi all'impianto da parte dei periti).
L'elenco che segue, dunque, è parziale e si riferisce solo periodo di sette mesi indicato:
- Fango di depurazione reflui nella produzione di sapone e detergenti sintetici. Produttore Colgate Palmolive di Anzio.
- Fango inorganico da impianto di depurazione dei reflui nella produzione e prima trasformazione dei metalli non ferrosi. Produttore Tubettificio europeo Spa di Anzio.
- Scorie metalliche sottoposte a lavaggio. Produttore Consortium di Ferentino.
- Materiale eternit proveniente dalla demolizione di tettoie raccolte presso lo stabilimento IRBI di Pomezia.
- Fango originato da impianto di depurazione per rifiuti organici servizi igienici, residui di fermentazione terreni produzione antibiotici. Provenienza IRFI di Ferentino.
- Fango da depurazione in processo di materie prime per la produzione di saponi e detergenti, indicato come “tripolifosfato di sodio su pallets”. Società Gezia navigazione spa, Anzio Padiglione.
- Fango di depurazione biologica prodotto in Cantina Produttori Frascati a Vermicino (Roma).
- “Polvere” ottenuta in impianto di depurazione delle acque reflue di processo di zincatura, fango secco trattato con fitopressa. Stabilimento Pisanti srl di Pomezia.
- Fango da depurazione, definito di natura organica, originato dalla depurazione delle acque reflue, processo con detergenti e saponi liquidi. Impianto Novembal di Sezze.
- Morchie di cabina di verniciatura. Società Devoto Claudio di Cisterna di Latina.
- Fango da depurazione di acque provenienti dal depuratore Consorzio per il nucleo di industrializzazione di Rieti – Cittadella.
- Scarti di pulizia, materiale disomogeneo di carta, plastica, vetro, polistirolo. Sigma Tau, Pomezia.
- Fanghi biologici stabilizzati, palabili. Impianto di depurazione a fanghi attivi per le acque dei servizi, cucine e “altro”. Biosint, Sermoneta.
- Terriccio e sansa proveniente dalla pulizia dei luoghi di stoccaggio della Pasqualini spa, Cisterna di Latina.
- Fango industriale da cartiera. Cartiera di Subiaco.
- Fango filtro-pressato ottenuto nella depurazione dei reflui dalla produzione bibite. Terme di Recoaro, Castrocielo (Frosinone).
- Polietilene, carta, plastica sporca, pittura a fase acrilica indurita derivanti da ex imballi. Rover colori e vernici, Aprilia.
- Fango di natura prevalentemente organica da depurazione acque reflue da lavorazione dell'orzo. Orzo Saplo, Pomezia.
- Eternit obsoleto, disomogeneo, da demolizione tettoie. Ditta di produzione farmaceutici di Roma (nome non comprensibile sulla copia della perizia).
- Fango originato da produzione alimentare. Ica foods, Pomezia.
- Fango proveniente dalla depurazione di acque reflue miste. Klopman, Frosinone.
L'elenco, come detto, è parziale, anche se indicativo dei rifiuti smaltiti nel sito B2. I periti hanno però ricostruito la scansione temporale della tipologia di rifiuti potenzialmente conferibili nell'impianto, partendo dalle diverse ordinanze della regione Lazio, con le modifiche subentrate a seguito delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato. Nel periodo indicato vi è stata, dunque, una “finestra temporale” di circa due anni per l'accettazione dei rifiuti pericolosi.
21.02.1990 | 26.03.1990 | Rifiuti speciali non tossico nocivi |
26.03.1990 | 18.05.1990 | Rifiuti speciali, anche tossico nocivi |
18.05.1990 | 11.12.1990 | Rifiuti speciali non tossico nocivi |
11.12.1990 | 09.04.1991 | Nessun rifiuto |
09.04.1991 | 09.04.1992 | Rifiuti speciali, anche tossico nocivi |
14.04.1992 | 31.12.1992 | Rifiuti speciali, anche tossico nocivi |
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Mappa contenuta all’interno della prima informativa della Squadra Mobile di Latina del 15 ottobre 2013: l’area corrisponde a una zona compresa tra gli invasi S3 e S1
In particolare, secondo la perizia e la sentenza di primo grado della Pretura di Latina, i rifiuti speciali “tossico nocivi” sicuramente conferiti in questo periodo sono:
- fanghi di depurazione di impianti di produzione di composti farmaceutici
- morchie di verniciatura
- fanghi di depurazione di impianti di produzione ed utilizzazione di composti chimici
Per quanto riguarda il periodo successivo al 31 dicembre 1992 non si hanno notizie in merito alla tipologia di rifiuti conferiti nell'invaso B2.
La prima informativa della Squadra mobile di Latina presentava una mappa con l'indicazione di un punto preciso a ridosso dei siti S1-S3, indicato da una fonte confidenziale come il luogo di interramento di fusti con rifiuti probabilmente pericolosi.
Il 12 settembre 2013 la Squadra mobile di Latina redige una informativa relativa alla “acquisizione di notizia confidenziale”:
“Nell'ambito della normale attività info-investigativa i verbalizzanti apprendevano riservatamente che negli anni pregressi e più esattamente a far data dall'anno 1987 al 1993 presso la discarica comunale di Borgo Montello (LT) denominata "Latina Ambiente' erano stati interrati numerosi fusti in metallo di cui però non sapeva indicarne il colore, contenenti materiali altamente inquinanti e nocivi per la salute pubblica, provenienti da aziende chimiche del nord d'Italia e trasportati con dei furgoni e camioncini i quali, per evitare possibili controlli da parte delle forze dell'ordine effettuavano percorsi diversi rispetto alle arterie ordinarie.
La fonte asseriva che negli ultimi periodi seppur erano stati eseguiti dei carotaggi volti ad accertare le contaminazioni dei terreni in seno alla discarica da parte degli organi preposti cosi come ampiamente pubblicato dalle cronache giornalistiche locali e nazionali, precisava che i rilevamenti erano stati effettuati su invasi diversi rispetto a quelli ove si trovavano interrati i bidoni”.
La fonte confidenziale faceva evidente riferimento alla campagna di scavi realizzata dal comune di Latina, dalla regione Lazio e dalla società Ecoambiente nell’area denominata S0. Secondo la fonte in realtà i “fusti” si trovavano in un altro invaso.
Si prosegue: “Nel corso del colloquio investigativo l'informatore dichiarava che uno dei due operai che si era adoperato all'interramento dei fusti in parola utilizzando delle pale meccaniche ed effettuato nelle ore notturne e lontani da sguardi indiscreti risultava essere tale […], frazione di Borgo Montello (LT) ubicata nelle immediate vicinanze della discarica. Per la sua prestazione e soprattutto per il "silenzio" avrebbe ottenuto lauti guadagni da parte di tale Proietto Andrea, titolare della società per la raccolta di rifiuti. l compensi stipulati verbalmente tra le parti, stimati attorno ai 60 - 80.000 milioni delle vecchie lire erano stati solo in parte erogati da parte dal Proietto Andrea. Con il passare del tempo, la circostanza relativa all'incompleto compenso stimato attorno ai 20,000 euro, faceva scaturire rabbia e rancore da parte del citato […], che finanche alla presenza di più persone lamentava l'insolvenza del Proietto Andrea. Nelle sedute intrattenute con le fonti, […], precisava che i percolati vigenti nei fusti oramai logorati dal tempo e che già all'epoca apparivano in ebollizione, stavano indubbiamente inquinando le falde acquifere sottostanti del circondario dei borghi limitrofi alla discarica [B.go Montello; B.go Le Ferriere; B.go Bainsizza e B.go Santa Maria] e che se non si fosse intervenuti con una immediata bonifica del sottosuolo si sarebbero verificati numerosi decessi, per carcinomi di ogni genere”.
Per confermare le indicazioni fornite dalla fonte confidenziale gli investigatori hanno consultato altre fonti, che – dopo “aver superato le paure” - hanno confermato quanto riferito.
La squadra mobile ha quindi operato un sopralluogo “riservato” all’interno della discarica insieme alle diverse fonti, per individuare con certezza il punto dello sversamento di rifiuti pericolosi (i “fusti”), individuando un’area a cavallo tra gli invasi S3 e S1. Nell’informativa sono riportate le coordinate GPS del punto di osservazione, con la foto dell’area indicata dai testimoni.
L'altra area di interesse corrisponde alla parte di discarica oggi gestita dalla società Ecoambiente. Come già ricordato, in questa zona di Borgo Montello furono creati 3 invasi tra gli anni '80 e '90, destinati ad accogliere I rifiuti solidi urbani della città di Latina. Secondo le testimonianze raccolte dalla commissione nel corso delle indagini direttamente svolte, in questa porzione della discarica sono stati sversati anche rifiuti di origine industriale, contenuti in fusti interrati senza le cautele previste dalla normativa dell'epoca[43].
Valorizzando queste prime informazioni fornite dalla fonte confidenziale, la Squadra mobile ha iniziato una ampia e complessa attività d’indagine sull’intero sito di Borgo Montello. Sono state riprese e analizzate le inchieste degli anni ‘90 – che spesso non hanno avuto un seguito – in grado di fornire importanti elementi, soprattutto se incrociate con le nuove testimonianze.
Le vicende societarie dei gestori dell'epoca sono complesse, con incroci molto spesso opachi. L'indagine citata della squadra mobile Latina ha inoltre ricostruito – riprendendo informative del 1994 – anche una possibile “copertura politica” di alto livello nei confronti dei gestori dell'epoca, che verrà richiamata più oltre.
Le testimonianze raccolte – sia contenute nelle indagini pregresse di Latina, sia raccolte direttamente dalla Commissione – indicano un periodo temporale preciso riguardo agli interramenti di rifiuti pericolosi, compreso sostanzialmente tra il 1988 e il 1994.
Si tratta di un momento storico chiave per la discarica, interessata da complessi passaggi di proprietà sia delle società che dei terreni.
La parte più antica della discarica di Borgo Montello (corrispondente agli invasi S0, S1, S2 e S3) era stata inizialmente gestita dalla società Pro.Chi, riferibile alle famiglie Proietto e Chini. Successivamente, tra il 1988 e il 1989, la Pro.Chi ha venduto il terreno e l'attività alla società Guastella srl, riconducibile all’imprenditore Biagio Maruca.
Questo passaggio di proprietà è solo l’inizio di un primo snodo importante nella storia della discarica di Borgo Montello, che è bene ricostruire, prima di ritornare al tema dell’interramento dei fusti all’interno della discarica.
Con assemblea dei soci del 1990, la Guastella delibera la fusione con una seconda società la Soregin srl, cambiando denominazione sociale in Ecomont srl. I soci della neocreata Ecomont risultano essere:
1. Maruca Biagio Giuseppe, nato a Bompietro il 3.06.1936 domiciliato a Roma in via Farini 16, sede legale della L.E.D., impiegato;
2. Trincia Sergio, nato a Ficulle (TR) il 20.11.1938 domiciliato a Roma in via Scipione Gaetano n. 13 professione operaio
3. Maruca Gabriella
La famiglia Maruca – già a capo della Guastella – è il punto di riferimento societario in questa delicata fase. La neo costituita Ecomont vedrà come amministratore delegato Riccardo Maruca, altro membro della famiglia.
Secondo le indagini di Latina, tra i soci della Ecomont vi è poi la L.E.D., avente per oggetto sociale la consulenza alle aziende. Questa ditta è risultata fallita con procedura concorsuale aperta il 19 luglio 1997 e conclusasi il 18 dicembre 2003.
Gabriella Maruca a sua volta aveva all’epoca dei legami con la società Indeco, ditta legata alla gestione degli invasi S4, S5 e S6, oltre al sito ex B2, ovvero l'area che ha accolto i rifiuti pericolosi all'inizio degli anni '90. Secondo le indagini della Squadra mobile di Latina, Gabriella Maruca avrebbe infatti lavorato per la Indeco dal 1991 al 1994.
Risulterebbero, poi, contatti diretti anche con la famiglia Proietto, ovvero i primi gestori della discarica di Borgo Montello. La stessa Maruca, infatti, risulta aver lavorato per la Romana Ambiente, ex Global service avente per oggetto sociale la gestione di discariche autorizzate. “La citata ditta – annotano gli investigatori della Polizia di Stato - ha annoverato tra i soci fondatori, nonché amministratore, Proietto Stefano, prossimo congiunto di Andrea, ex proprietario della Pro.Chi, a cui è succeduto proprio Maruca Riccardo, in sostituzione di tale Primiani Federico”. Risulta, poi, che “attualmente tra i proprietari delle quote sociali della menzionata società, la Romana Ambiente Global Service, vi è Pacini Simona, convivente di Maruca Riccardo”.
Il nuovo gestore Ecomont è stato oggetto di una procedura concorsuale aperta il 6 novembre 1996, conclusasi solo il 7 agosto 2013 con la dichiarazione di fallimento.
Prima dell'apertura della procedura la Ecomont ha venduto i terreni, relativi alla discarica di Borgo Montello, precedentemente ereditati dalla Guastella, che a sua volta li aveva acquistati dalla Pro.Chi, alla società Immobiliare Giulia srl (divenuta poi Giulia Service srl). Un passaggio sottolineato nel corso dell'inchiesta di Latina, e ritenuto dalla Squadra mobile particolarmente delicato.
Un altro lotto di terreni della discarica è stato ceduto dalla Ecomont nel 1996, a ridosso dell'avvio della procedura concorsuale alla società Monika srl. In precedenza, la Guastella/Ecomont ha ceduto in via definitiva le attività riferite al conferimento di rifiuti urbani alla Indeco e di rifiuti speciali e tossico nocivi, in locazione del ramo d’azienda, alla Ecotecna Trattamento Rifiuti srl, a sua volta incorporata dalla stessa Indeco nel 2005.
Dunque il secondo snodo è il periodo compreso tra il 1994 e il 1996, quando i terreni e le attività escono dal patrimonio sociale della Ecomont – erede della Guastella – per essere acquisite da gruppi immobiliari (che, come vedremo, fanno capo ad un imprenditore colpito negli anni scorsi da un provvedimento di confisca dei beni per riciclaggio, Giovanni De Pierro) e società del settore ambientale (il gruppo Indeco, poi acquistato dalla holding della famiglia Grossi).
Rispetto al passaggio dei terreni la Squadra mobile di Latina segnala un episodio ritenuto indicativo. La Ecomont prima del fallimento cede alla società Cogea srl una parte del terreno (zona dove oggi insiste un operatore del settore dei rifiuti industriali). Il socio di maggioranza della Cogea è Aesti Italia srl Gruppo Sistemi & Servizi In Sigla Aesti Italia srl (capitale sociale 10.000 euro ed oggetto sociale bonifica e recupero ambientale); il presidente del consiglio di amministrazione è Alvaro Seccafieno “dipendente, da una consultazione in banca dati INPS della Pro.Chi, della Romana Ambiente, della Ecomont e della Indeco”. Annotano gli investigatori: “Pertanto, a distanza di circa 23 anni dall’atto di vendita tra la Pro.Chi e la Guastella, il patrimonio della Guastella/Ecomont (…) è ritornato nella disponibilità di un soggetto contiguo alla Pro.Chi e alla Indeco, Seccafieno Alvaro, gravato, secondo quanto emerso dalla consultazione nella banca dati in uso alle Forze di Polizia (SDI), da un provvedimento di sequestro preventivo da parte dell’Autorità giudiziaria di Latina per esercizio di attività di gestione rifiuti non autorizzata”.
Vi è di più. I terreni utilizzati dal 1998 in poi dalla società Ecoambiente srl (partecipata, tra gli altri, dalla Latina Ambiente, che vede come socio di maggioranza il comune di Latina) per la gestione di diversi invasi per rifiuti solidi urbani, sono stati oggetto di un contratto di locazione con la Capitolina srl, “senza verificare la piena titolarità della proprietà dei terreni”.
La tortuosa storia delle proprietà dei terreni si è parzialmente conclusa nel 2016, quando il tribunale di Roma ha decretato la confisca definitiva delle proprietà del gruppo “De Pierro”. Si tratta di una vera e propria holding riconducibile a Giovanni De Pierro, nato a Napoli il 30 maggio 1950; nel provvedimento di confisca del tribunale di Roma, sezione specializzata per le misure di prevenzione, del 25 luglio 2016, l'imprenditore viene indicato come a capo di “un vero e proprio sistema criminale, consistente nella creazione di decine di società, tutte intestate a prestanome, che venivano utilizzate per brevissimi periodi come sub-appaltatrici (rectius come esecutrici del contratto di appalto) di servizi di pulizia e/o di facchinaggio, e attraverso le quali il De Pierro riusciva a separare i costi delle attività, in particolare quelli di natura tributaria e contributiva, dai proventi”.
Aggiungono i magistrati: “i proventi, infatti, venivano immediatamente trasferiti, senza alcuna giustificazione o con causali apparenti, quali ‘finanziamento’ o ‘giroconto’, ad altre società riferibili al De Pierro, mentre i debiti fiscali e contributivi, occultati mediante dichiarazioni mendaci, restavano in capo alla società, che veniva subito dismessa, con cambio di amministratori, cambio di denominazione (spesso con l'inversione dell'acronimo) e trasferimento all'estero. Le indagini hanno documentato come tale sistema fosse già in atto nel 1996, periodo cui si riferiscono i prelevamenti dal conto della società Florex, dal cui fallimento hanno avuto avvio le indagini. Non sono stati svolti accertamenti con riferimento ai periodi precedenti, in ragione del regime di prescrizione dei reati (in particolare dopo la modifica, intervenuta nel 2005, dell'articolo 158 del codice penale che ha escluso la unitarietà del termine di prescrizione nel reato continuato), anche se dagli elementi acquisiti in quel procedimento (in particolare avendo riferimento all'epoca di costituzione delle società cd. "madri") è possibile desumere che l'attività illecita abbia avuto inizio in epoca ben più risalente”.
Tra le società della holding De Pierro sottoposte a confisca vi sono le già citate Capitolina srl[44] e Immobiliare Giulia srl (poi Giulia Service srl)[45], con i relativi terreni. E' stata inoltre sottoposta a confisca la cooperativa Ideal Building Maintenance che possiede il 60,38 per cento della fallita Ecomont.
Le indagini della Squadra mobile di Latina hanno sviluppato ulteriormente la storia societaria della Immobiliare Giulia srl (divenuta poi Giulia Service srl), una delle ditte riconducibili a De Pierro, acquirente di parte dei terreni della discarica dalla Ecomont.
Si legge nell'informativa citata: “Relativamente alla Immobiliare Giulia è scaturito, da una disamina degli atti presenti presso la Camera di commercio di Roma, che tra i proprietari delle quote del capitale sociale vi fossero, fino al 1996, Maruca Giuseppe, dipendente della L.E.D. nonché conduttore dell’ufficio sito in via Ignazio Silone 252 a Roma, sede legale anche della Romana Ambiente Global Service […] locato a Maruca Alessandra, e Maruca Biagio Giuseppe, che annovera anche la carica di socio amministratore della Ecomont”. Dal 2002 Giuseppe Maruca torna in possesso delle quote della Immobiliare Giulia. In sostanza vi sarebbe stato passaggio di quote societarie tra De Pierro e Maruca.
In sintesi:
- nel 1990 la società Guastella impianti – riconducibile alla famiglia Maruca – crea per incorporazione la Ecomont srl, che diviene il gestore e proprietario degli invasi S1, S2, S3 (ovvero le zone indicate dai testimoni come luogo di interramento dei fusti con rifiuti industriali); esistono contatti di vario genere tra Pro.Chi. e la famiglia Maruca, evidenziati nelle indagini di Latina;
- tra il 1994 e il 1996 i terreni vengono ceduti a società riconducibili alla holding di Giovanni De Pierro, soggetto poi sottoposto a misure di prevenzione (confisca) per riciclaggio;
- anche la maggioranza delle quote della stessa Ecomont è finita nella disponibilità del gruppo De Pierro e sottoposta a confisca;
- la Ecomont cede alla Indeco i terreni e l'attività per la zona degli altri invasi;
- poco dopo la cessione dei terreni e della attività la Ecomont fallisce.
Secondo la Squadra mobile di Latina questi passaggi sarebbero serviti per sottrarre alla procedura concorsuale la proprietà dei terreni utilizzati come discarica, consentendo di proseguire l'attività di gestione di rifiuti solidi urbani “per assicurare a terzi, allo stato degli atti non ancora individuati, il profitto dell’attività illecita consumata nell’ambito del presente procedimento penale, corrispondente all’omessa bonifica del sito inquinato di Borgo Montello per fare in modo che potessero essere conferiti ulteriori rifiuti” (citata informativa della Squadra Mobile di Latina, pagina 29).
Oggi l'eredità della complessa situazione vede la confisca di buona parte dei terreni dove insiste la discarica di Borgo Montello, corrispondente agli invasi S1, S2, S3 – e successivi ampliamenti, compresa parte del “nuovo e distinto invaso”, la cui attività è proseguita fino all'ottobre 2016 – gestiti dalla società Ecoambiente. L'area è tra l'altro soggetta a bonifica ed è interessata dal procedimento penale in corso davanti al tribunale di Latina per avvelenamento delle acque. Una situazione che crea notevoli preoccupazioni per quanto riguarda l'impatto ambientale e le garanzie per la bonifica stessa.
7.4 L’attività d’indagine svolta dalla Commissione
La Commissione ha svolto uno specifico approfondimento d’indagine sullo sversamento e interramento di rifiuti pericolosi nell’area di Borgo Montello. L’eventuale presenza di scorie di origine industriale può comportare - come è evidente - la necessità di interventi di bonifica ben differenti rispetto a quelli fino ad oggi ipotizzati, che prendono in considerazione la sola contaminazione da rifiuti solidi urbani[46].
E’ bene poi ricordare come l’unico intervento di messa in sicurezza realizzato nell’area fino ad oggi (realizzazione di un polder da parte della società Ecoambiente S.r.l., su progetto del professor Gianmario Baruchello del 1998) si basa su una analisi dei dati che escludeva la presenza di rifiuti pericolosi di origine industriale. Tale intervento è, tra l’altro, oggi contestato nell’ambito del procedimento penale in corso davanti al tribunale di Latina per avvelenamento delle acque, del quale si è detto in precedenza.
Per quanto riguarda l’area “B2”, come abbiamo visto, i documenti acquisiti hanno consentito di almeno definire con un certo grado di certezza il tipo di rifiuto conferito negli anni ‘90, delimitando l’area, il periodo storico e gli attori.
Lo stesso non si può dire per le altre zone interessate da sversamenti illeciti. L’area indicata dalle finti confidenziali della Squadra mobile di Latina non è stata mai interessata da procedimenti penali relativi allo sversamento di rifiuti pericolosi, come invece è avvenuto per il sito “B2”.
La Commissione ha, dunque, esercitato i poteri di natura giudiziaria conferitile dalla Costituzione e dalla legge istitutiva, assumendo a sommarie informazioni, a mezzo di personale di polizia giudiziaria, alcuni testimoni residenti nell’area di Borgo Montello e alcuni ex dipendenti delle società di gestione dell’area già indicata dalle fonti confidenziali della squadra mobile di Latina come interessata allo sversamento di rifiuti pericolosi. La loro testimonianza - particolarmente importante - permette di ricostruire la presunta attività illecita di interramento di fusti contenenti scarti industriali all’interno della citata zona, nel periodo degli anni ’80 e ’90. Tali testimonianze sono concordanti con quanto ricostruito nel corso dell’attività di indagine delegata alla Squadra mobile di Latina, consentendo di delineare uno scenario altamente probabile.
E’ evidente che per supportare ulteriormente la ricostruzione degli sversamenti avvenuti durante le passate gestioni degli invasi sarebbe necessaria un’attività tecnica di scavo, carotaggio e analisi nei punti indicati dai testimoni: peraltro il successivo abbancamento di rifiuti urbani nei punti dove, secondo le testimonianze dirette, sono stati interrati i fusti rende estremamente difficile e costosa questa attività.
I verbali completi di assunzione di sommarie informazioni testimoniali permangono in regime di segretezza, mentre le parti richiamate sono state declassificate, con opportuni omissis; in particolare per la tutela delle identità dei testimoni, che nel seguito verranno indicati con le lettere A, B, C e D.
Il teste A [47]
Si tratta di un abitante della zona che, nel corso degli anni, ha raccolto le testimonianze di alcuni ex dipendenti e fornitori dei gestori della discarica di Borgo Montello (anni ’80 e anni ’90). E’ stato ascoltato a sommarie informazioni il 7 giugno 2016.
Il teste ha riferito:
che Carmine Schiavone, nel corso di una trasmissione dell’emittente “Lazio Tv”, ha riferito sulla presenza nell’area di Borgo Montello di Michele Coppola, alias “O Zannuto”; di essere stato più volte minacciato verbalmente dalla moglie di Michele Coppola; che alcuni abitanti della zona gli avevano riferito di aver visto il baule dell’automobile del Coppola “pieno di armi”; che alla fine degli anni ’90 Coppola “fece sversare numerosi autocarri con fanghi in una scarpata attigua all’azienda sequestrata allo stesso Coppola, sulla curva della strada prima dei poderi di Salvalaggio”; di essere a conoscenza, rispetto a questi fatti, di un esposto anonimo al Corpo forestale di Cisterna di Latina; di aver ascoltato, circa quattro anni prima, il teste D, riferire di interramenti di “fusti tossici”, “puntando il dito sulla predetta mappa (nel punto) dove io ho indicato una X”; di aver ricevuto conferma di tale indicazione dal teste C; di avere ricevuto alcune confidenze dal teste B.
In particolare:
i fusti indicati nella zona compresa tra gli invasi S1 e S3, in realtà, erano stati “sversati negli anni ’90 da autocarri di cui lui vedeva e firmava le bolle di ingresso nella discarica e mi riferiva che in realtà erano contenitori di plastica di forma cubica”;
B “faceva dei viaggi fino a Treviso dove cambiavano le bolle e tornavano con lo stesso materiale per poi sversarlo a Borgo Montello o in altri posti”;
B aveva rapporti “particolari” con Michele Coppola tanto da essere stato invitato a Casal di Principe;
B ha riferito di cene a casa di Michele Coppola con persone che lui (Coppola) chiamava i “4 zii più importanti di Casal di Principe”, includendo tale Carmine, identificato nel collaboratore di giustizia Carmine Schiavone;
in alcune occasioni avrebbero partecipato a tale cena un maresciallo dei carabinieri di Latina e un esponente politico locale.
Al verbale di sommarie informazioni è allegata la mappa con l’indicazione del punto interessato dall’interramento dei fusti:
Comparando la mappa fornita dal teste A con la mappa allegata all’informativa della Squadra mobile di Latina si nota la coincidenza dei due punti, che distano uno dall’altro pochi metri, ambedue a cavallo tra l’invaso S3 e l’invaso S1.
Da accertamenti effettuati sulle banche dati in uso alla polizia giudiziaria il teste non risulta avere precedenti giudiziari. Non risulta, inoltre, avere mai ricevuto querele per i reati di diffamazione o calunnia.
Il teste B [48]
Il teste “B”, indicato dal teste “A” come particolarmente informato sui fatti oggetto dell’indagine, è stato sentito a sommarie informazioni l’8 giugno 2016, dopo una complessa attività di individuazione del domicilio.
Il teste ha riferito:
“Premetto che […] ho lavorato come agricoltore presso il fondo di Chini Umberto, sito in Borgo Montello con azienda agricola in via Monfalcone 25 […]. In quegli anni in una zona avvallata del podere, verso il canale Astura, venivano sversati rifiuti urbani, provenienti perlopiù da Anzio, Nettuno, Latina e Velletri. Quando il Chini e il Proietto hanno capito che il terreno dava più denaro con i rifiuti che con la vigna, negli anni ‘80 Proietto ha liquidato Chini acquistando il podere trasformando la zona in una discarica molto più grande dove conferivano molti più rifiuti […]. Alla fine degli anni ‘80 tale Maruca Biagio acquista l’intera area liquidando Proietto con 12 miliardi delle vecchie lire. Io rimango a lavorare come sempre e vengo definito da Proietto uomo di fiducia”;
“Proietto all’epoca era molto amico con il senatore Calvi Maurizio. Questi veniva spesso a trovarlo e la gente diceva che grazie a questa amicizia la discarica otteneva le autorizzazioni e in cambio tutti votavano Calvi. L’autista di Calvi era uno dei dipendenti della discarica, tale Fraulin Sergio. L’autovettura di Calvi era intestata a Proietto e di fatto Fraulin era pagato da Proietto” [49];
“Sempre alla fine degli anni ‘80 ho avuto modo di conoscere Michele Coppola, personaggio molto potente che girava spesso con armi e macchine di grossa cilindrata […] Io ogni tanto andavo con lui e ricordo un particolare curioso che quando doveva entrare in casa sua tirava fuori la pistola e controllava se dentro casa vi fosse qualcuno. Io ero presente per testimoniare eventualmente l’uso di legittima difesa nel caso in cui avesse sparato a qualcuno, cosa mai avvenuta fortunatamente, Una volta mi ha portato a casa sua a Casal di Principe. Ricordo che è arrivato al paese, ricordo bellissime case e mi ha presentato i suoi parenti che chiamava tutti “zii”. Ho anche conosciuto Carmine Schiavone, che poi ho riconosciuto sui giornali quando hanno dato la notizia della sua morte. Ricordo che Schiavone vedendomi ha chiesto a Coppola chi ero io e Coppola l’ha tranquillizzato dicendo che ero un amico. Abbiamo pranzato in famiglia e poi siamo tornati con la sua Mercedes”;
“Ricordo che il maresciallo Menchella andava a controllare a casa sua [di Michele Coppola] le armi che deteneva”.
“I viaggi che facevamo a Treviso erano per andare a conferire i fanghi, andavamo fino a Treviso perché pagavamo meno”;
“I viaggi a Piombino, invece, erano legati al fatto che andavamo a ritirare i rifiuti urbani sull’isola d’Elba. Passavamo da Frosinone, ci cambiavano la bolla e poi portavamo i rifiuti a Viterbo”.
Rispetto ad altri punti riferiti de relato dal teste A, il teste B non ha confermato:
“non so di cene elettorali organizzate da Coppola Michele”;
“della vicenda di don Cesare Boschin non so nulla”;
“della costruzione della casa del maresciallo Menchella e dei favori fatti con viaggi di materiali diretti alla sua proprietà non so dire nulla”;
“non so di fusti interrati nella discarica”;
Anche per il teste B non risultano precedenti penali o querele per i reati di diffamazione o calunnia. Va evidenziato che B si è rifiutato di firmare il verbale di sommarie informazioni, mostrando alla fine dell’interrogatorio un evidente stato di agitazione e paura.
Il teste C [50]
Il teste “C” è stato ascoltato a sommarie informazioni il 12 luglio 2016. Era stato indicato dal teste “A” come persona informata rispetto a interramenti di fusti con rifiuti speciali, anche pericolosi, nell’area della discarica di Borgo Montello.
Ha riferito:
di conoscere Andrea Proietto (già gestore della discarica) “da sempre”; iniziò a lavorare per questo imprenditore all’età di 23, 24 anni, occupandosi come carrozziere dei mezzi della società Global. Riferisce di essere stato assunto “in epoca elettorale” e che gli venne chiesto il voto a favore del partito di riferimento del Proietto (non indica il nome della lista);
conosceva molto bene i custodi della discarica, tra i quali il teste “B”, che aveva anche la responsabilità di movimentare la terra all’interno dell’invaso;
quando Proietto ha venduto la gestione a Maruca, il teste “C” ha proseguito il suo rapporto di lavoro con la società “Global service”, insieme ad altri dipendenti. Nel 1995 torna a lavorare per la famiglia Proietto, in località “Tre cancelli” a Nettuno;
di avere conosciuto Michele Coppola;
di avere accompagnato una volta Michele Coppola al “commissariato di Cisterna di Latina, perché preoccupato [il Coppola] dell’inquinamento della discarica”. “In quella sede - ha riferito C - Coppola mi chiese di riferire al funzionario di Polizia se avevo visto o se sapevo che all’interno della discarica i mezzi conferivano oltre che i rifiuti urbani anche i fusti. Io dissi la verità confermando di aver visto con i miei occhi la presenza dei fusti che venivano buttati in mezzo all’invaso della discarica”; ricorda che queste dichiarazioni “non vennero prese a verbale dal funzionario o almeno non ricordo di aver firmato alcun verbale”;
Il teste ha quindi confermato quanto dichiarato all’epoca - fa risalire la sua testimonianza ai primi anni ’90 - aggiungendo:
“In quel periodo tutti quello che abitavano o lavoravano in zona sapevano che i mezzi entravano in discarica e scaricavano dei fusti (bidoni da 200 litri in lamiera e altri fusti in plastica) in mezzo ai rifiuti e che questi fusti venivano mescolati e interrati con i mezzi della discarica. Questa operazione all’interno della discarica la faceva soprattutto [omissis] in quanto aveva accesso alle ruspe e faceva lavori di spargimento di rifiuti per riempire gli invasi S3 e S1. In pratica i fusti venivano buttati in mezzo ai rifiuti normali e con le ruspe venivano compattati in mezzo agli altri rifiuti. Le voci dell’epoca dicevano che venivano dal nord Italia, Grosseto, Perugia, Rieti ed erano fusti normalmente utilizzati per raccogliere rifiuti industriali e non di certo rifiuti domestici”. Il teste ha specificato di occuparsi ancora oggi di raccolta rifiuti e di avere “il patentino per rifiuti speciali” e di essere quindi in grado di “capire la differenza tra tipi di rifiuti”.
Ha specificato che fino a quando la discarica è stata gestita da Andrea Proietto [il 1989] il flusso di rifiuti industriali gettati negli invasi (con le modalità descritte e quindi non rispettando nessuna norma o buona pratica per lo stoccaggio di rifiuti speciali e pericolosi) raggiungeva la quantità di 300-400 fusti al mese.
Il teste C ha dichiarato di “temere di perdere il posto di lavoro” qualora la sua identità fosse rivelata.
Nel corso dell’esame il teste ha indicato su una mappa tratta da Google maps il punto dello sversamento.
Immagine dell'area della discarica di Borgo Montello, con il luogo indicato dal teste C
Il teste D [51]
Il teste D era già stato indicato nell’informativa della squadra mobile di Latina dell’ottobre 2013 come coinvolto nello sversamento illecito di rifiuti pericolosi negli invasi della discarica. Secondo le fonti confidenziali degli investigatori, D avrebbe incassato ottanta milioni di lire negli passati per il suo supporto. Secondo quanto ricostruito nella citata informativa, il teste avrebbe effettivamente lavorato nel movimento terra all’interno della discarica di Borgo Montello per diversi anni.
D era stato chiamato in causa dal teste A, come persona informata rispetto al punto di interramento dei fusti. Interrogato il 12 luglio 2016 su questo specifico punto, D ha sostenuto di non sapere assolutamente nulla sul punto e di aver riferito alcune cose al teste A in tono scherzoso e solo come mera ipotesi: "ricordo un episodio dove in effetti ci siamo ritrovati io [omissis] e altre persone, e in modo scherzoso io dissi che se c’erano dei fusti nella discarica questi dovevano stare nell’invaso realizzato successivamente a S0. Ma questa mia affermazione non era basata su alcuna mia conoscenza diretta o indiretta di conferimenti di fusti all’interno della discarica. Per me quelle erano solo voci come quella che la morte del prete era dovuta alla discarica".
I riscontri sulle testimonianze
Il teste A era già stato ascoltato a sommarie informazioni negli anni scorsi della Squadra mobile di Latina. I verbali - acquisiti dalla Commissione - riportano sostanzialmente gli stessi fatti (salvo i riferimenti al teste B, che si basano però su informazioni acquisite da A solo successivamente agli interrogatori resi alla polizia giudiziaria di Latina). Da questo punto di vista è altamente probabile che A abbia riferito fedelmente quanto ascoltato dagli altri testimoni.
Per quanto riguarda le testimonianze di B, C e D - che riferiscono su fatti dei quali sono stati testimoni diretti - l’attività di riscontro si è basata sull’analisi dei dati contenuti nella Banche dati in uso alla polizia giudiziaria, sulla storia lavorativa dei testimoni, sull’incrocio con quanto già accertato dalla magistratura di Latina in procedimenti penali, i cui atti sono stati acquisiti dalla commissione.
Quanto riportato dai testi su Michele Coppola trova diretto riscontro in atti giudiziari e nelle banche dati. Coppola è stato condannato in via definitiva per estorsione aggravata dal metodo mafioso (articolo 7 legge n. 203/1991), con sentenza emessa il 10 maggio 2012 dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere (la sentenza della Corte di cassazione, Sez. II, n. 4121/2015, ha respinto il ricorso degli imputati). Dalle banche dati in uso alle forze di polizia risulta il possesso di numerose armi da fuoco.
Un altro testimone, sentito a sommarie informazioni dalla squadra mobile di Latina il 30 ottobre 2013, riferiva di esplicite minacce provenienti dal Coppola dirette ad evitare denunce sulla discarica:
"Ricordo un'altra circostanza che ho vissuto in prima persona in quel periodo. Un pomeriggio si fermò fuori dalla mia abitazione e azienda agricola sita in [omissis] un bilico. L'autista venne da me per chiedere l'indirizzo della società Indeco, dove appunto era diretto. Aggiunse che si era perso in quanto non conosceva le strade nonché che era partito da Bologna. Trascorsi alcuni minuti dalla sosta, l'aria divenne irrespirabile a causa del fetore emanato dal carico del camion che si allontanò quasi subito. Preciso che 10 minuti dopo si presentarono da me i vicini e confinanti infuriati additandomi quale responsabile del male odore diffusosi nella zona. Credevano che fosse causato dalla mia azienda agricola tant'è che fui costretto a far fare un sopralluogo per scongiurare possibili conseguenze. Incuriosito presi la mia autovettura e raggiunsi la discarica; il camion o bilico era già presente all'interno e rimase là per almeno tre giorni. Non ho potuto constatare cosa trasportasse il bilico né ho appreso successivamente la natura delle cose trasportate. [...] In questa occasione non mi rivolsi ai Carabinieri di Borgo Pogdora per segnalare il fatto, a causa di una precedente denuncia presentata dal comitato a Carabinieri appena citati ricevetti una visita di Michele Coppola [...]. In quel caso mi fece capire che per il futuro sarebbe stato meglio evitare denunce in merito alla discarica".
Sulla presenza dei fusti altri testimoni - ascoltati a sommarie informazioni dalla Squadra mobile di Latina - hanno confermato il racconto del teste C, con particolare riferimento a quanto da lui già denunciato alla Polizia di Stato negli anni passati.
Il teste A aveva riferito di aver ascoltato, circa quattro anni fa, il teste D riferire di interramenti di “fusti tossici”, “puntando il dito sulla predetta mappa (nel punto) dove io ho indicato una X”; come già riferito, sentito a sommarie informazioni, il teste D ha smentito queste affermazioni. In realtà le circostanze riportate dal primo teste sono pienamente confermate da un terzo testimone, sentito a sommarie informazioni dalla squadra mobile di Latina il 31 ottobre 2013. Questo terzo teste (la cui testimonianza è contenuta negli atti giudiziari della procura di Latina acquisiti dalla Commissione) ha aggiunto ulteriori considerazioni sul ruolo di D: "Ho dedotto che i fusti in argomento fossero stati interrati da D, in quanto nei primi anni '90 lavorava in subappalto presso la discarica di Borgo Montello".
Il teste B ha confermato solo parzialmente quanto riferito – de relato – dal teste A. Va però evidenziato lo stato di evidente timore del teste, che vive attualmente in un contesto degradato e senza nessuna sicurezza personale. In ogni caso B ha confermato alcuni punti essenziali, quali gli stretti rapporti con Michele Coppola (che, dunque, si interessava di quanto avveniva nella discarica, stringendo relazioni con l’uomo di fiducia del gestore Proietto), tanto da portare il teste B a Casal di Principe, facendogli conoscere i vertici del clan dei Casalesi (ad esempio Carmine Schiavone, all’epoca non ancora collaboratore di giustizia e considerato il “cassiere” del gruppo criminale).
7.5 Le indagini storiche sui referenti politici
Le indagini del 2013 hanno sviluppato informative della DIGOS risalenti al 1994, che approfondivano il ruolo dell'ex senatore Maurizio Calvi, già componente e vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari (X legislatura: componente dal 13 luglio 1988 al 28 luglio 1988, vicepresidente dal 28 luglio 1988 al 22 aprile 1992; XI legislatura: componente dal 23 settembre 1992 al 20 maggio 1993, vicepresidente dal 20 maggio 1993 al 24 marzo 1994, componente dal 24 marzo 1994 al 14 aprile 1994).
L'indagine della DIGOS di Latina inizia dopo la presentazione di una interrogazione parlamentare dell'onorevole Giulio Maceratini il 17 febbraio 1993 (XI legislatura)[52].
Il 3 febbraio 1994 la DIGOS di Latina invia una informativa d'indagine alla procura della Repubblica della capitale pontina, all'attenzione del sostituto procuratore della Repubblica Barbara Callari.
In sintesi gli investigatori accertarono che:
nell'interrogazione era citata la società Pro.Chi., già gestore della discarica di Borgo Montello; la Digos specifica che la ditta aveva operato nell'invaso fino al 18 aprile 1990;
l'amministratore unico della società era Andrea Proietto, titolare di varie attività imprenditoriali;
tra queste vi era la Fideco srl, avente come domicilio fiscale via Augusto D'Andrea 3, Nettuno (Roma);
l'utenza cellulare della citata società corrispondeva al numero 0337.778465, intestata alla stessa Fideco; questo numero “è stato in uso per un lungo periodo che va dal periodo preelettorale (elezioni politiche '92) al periodo postelettorale, presumibilmente dal febbraio '92 al maggio-giugno '92, al segretario particolare del senatore Calvi, tale Giorgi Piercarlo”; “In tale periodo da quell'utenza sono partite telefonate a varie agenzie pubblicitarie che hanno prodotto servizi di campagna elettorale per il Senatore citato”;
le bollette telefoniche dell'utenza cellulare vennero pagate dalla Fideco di Proietto;
l'utenza fissa 0773.660110 “risulta intestata a tale società FAB srl, avente come sede la stessa della Fideco e come oggetto attività analoga a quella della citata Pro.Chi. E che vede come amministratore unico il figlio del Proietto Andrea e cioè Proietto Stefano, nato a Tunisi il 23 luglio 1961”; “è opportuno precisare che un'altra utenza telefonica (0773.660258) comunemente usata come indirizzo telefonico della segreteria politica del senatore Calvi è un realtà intestata alla FAB srl già citata”; “l'ubicazione di tale impianto Sip è sito all'interno della segreteria politica del senatore Calvi e cioè in via Cairoli 13 o 16 (vecchia e nuova numerazione). Tuttora tale utenza viene utilizzata per lo svolgimento di affari riguardanti l'operato politico del senatore citato;
l'indirizzo utilizzato come segreteria politica dell'allora vicepresidente della commissione antimafia era stato acquistato da Andrea Proietto;
l'utenza Enel dell'immobile citato – di proprietà di Andrea Proietto e utilizzato come sede della segreteria politica del senatore Calvi – era pagata dalla società Roma Cine TV srl, con sede in via Panama 11, Roma. Da fonti aperte la società era all'epoca socio di riferimento dell'emittente televisiva GBR, i cui uffici era situati allo stesso indirizzo di Via Panama 11;
anche l'utenza telefonica 0773.691644 era intestata alla società Roma Cine TV e attestata in un ufficio all'interno 4, primo piano dell'immobile di Latina;
Piercarlo Giorgi, segretario del senatore Calvi, aveva utilizzato come “appendice della segreteria politica del senatore in argomento anche quell'immobile, attualmente sede dell'emittente televisiva Gbr”; secondo la DIGOS l'utenza telefonica 0773.691644 era utilizzata per l'attività politica del senatore Calvi;
Sergio Fraulin, già dipendente della Pro.Chi.[53], e dipendente della citata FAB srl al momento della redazione dell'informativa della Digos, era stato in passato autista a tempo pieno del senatore Maurizio Calvi;
il già citato Piercarlo Giorgi, “notoriamente conosciuto a tutti i livelli come segretario del senatore Calvi”, risultava a sua volta dipendente della Ecologica Tirrena, avente sede ad Anzio; rappresentante legale della società era Stefano Proietto, figlio di Andrea Proietto;
l'autovettura Citroen CX Pallas, utilizzata secondo l'interrogazione dell'onorevole Giulio Maceratini dal senatore Maurizio Calvi e oggetto di un furto avvenuto a Latina il 11 aprile 1989, era intestata alla citata Ecologica Tirrena;
in un’intervista rilasciata il 19 febbraio 1993 in risposta all'interrogazione citata, il senatore Maurizio Calvi sosteneva rispetto all'automobile Citroen: “Quell'auto non l'ho mai avuta in possesso, mi è stata prestata in maniera contingente”. Annota la Digos che sull'automobile poi rubata vi era installato un telefono radiomobile (utenza 0333.719016) intestato al senatore e che quindi fosse poco credibile la versione del prestito contingente e momentaneo.
Tra gli atti acquisiti dalla commissione non vi è traccia di successive indagini o di deleghe specifiche da parte della autorità giudiziaria.
L'informativa della squadra mobile di Latina del gennaio 2013, dopo aver riassunto quanto era emerso nel corso delle indagini del 1994, evidenzia: “Da quanto descritto sono emersi univoci elementi informativi circa contiguità, non meglio specificate, se non per ciò che riguarda rapporti di lavoro di collaboratori del senatore Calvi (Giorgi e Fraulin) con società riconducibili alla famiglia Proietto. E’ plausibile ritenere che i predetti collaboratori fossero remunerati dalle società riconducibili ai Proietto. Altro particolare che rileva è il fatto che i Proietto nel periodo in cui hanno gestito la discarica avessero chiesto, ed ottenuto un ampliamento della stessa, da 5 a 42 ettari, da parte del presidente della regione Lazio. Il Presidente pro tempore è stato identificato in Santarelli Giulio, anch’egli esponente del partito socialista come il senatore Calvi”.
A quanto già osservato dagli investigatori di Latina va aggiunto un ulteriore elemento. Il citato Giulio Santarelli aveva preceduto nella guida della regione Lazio Bruno Landi, politico dello stesso partito. Fu lo stesso Landi ad autorizzare, come abbiamo visto, l'utilizzo dell'invaso ex 2B di Borgo Montello per accogliere i rifiuti pericolosi; durante il suo mandato la Pro.Chi. della famiglia Proietto ha poi visto ampliare il volume d'affari, fino alla cessione delle quote alla famiglia Maruca. Bruno Landi alla fine degli anni '90 entrerà nel management del gruppo Cerroni, fino ad arrivare alla nomina di amministratore delegato della Ecoambiente S.r.l., uno dei due attuali gestori.
7.6 La presenza attuale della criminalità organizzata
Le considerazioni che precedono, pur orientate in prospettiva storica, si legano alla situazione attuale della provincia di Latina, sia sotto i richiamati aspetti di tutela dell’ambiente, sua per quanto riguarda possibili persistenti interessi criminali. Da questo punto di vista vale il richiamo a quanto si è detto, a proposito della situazione di quel territorio, nel § 6.1, e può essere qui citato il contenuto informativo offerto alla Commissione dalla prefettura di Latina[54] a proposito del contesto locale:
“La provincia di Latina si caratterizza per la compresenza di vari tipi di organizzazioni criminali, da quelle mafiose tradizionali (camorra, 'ndrangheta e cosa nostra) a quelle autoctone.
Il territorio pontino, infatti, ha rappresentato da tempo un bacino geoeconomico
appetibile per le organizzazioni criminali grazie alla sua peculiare dislocazione geografica.
La vicinanza a realtà significative per dimensione e consistenza criminale, come quella casertana e napoletana nonché la presenza, sin dagli anni '60/70, di pregiudicati campani e calabresi, inviati nella provincia, in soggiorno obbligato o perché colpiti da altre misure di prevenzione personale, ha favorito l'incursione di propri affiliati, per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio e/o per il reimpiego dei proventi illeciti in attività imprenditoriali apparentemente lecite, sfruttando, tra l'altro, l’elevata vocazione agricola, la presenza del mercato ortofrutticolo di Fondi (M.O.F.) ed i settori dell'edilizia, della logistica, del turismo,
del commercio all'ingrosso e di quello al dettaglio.
In particolare tali sodalizi sono stati attratti soprattutto per la possibilità di reinvestire in modo più sicuro i loro ingenti proventi illeciti, considerata:
la posizione geografica centrale e la sua vicinanza con Roma e la Campania;
la presenza in zona di numerose e diversificate attività commerciali, che consentivano una più facile mimetizzazione delle risorse impiegate;
l'assenza di una organizzazione criminale dominante locale, a fronte di una realtà relativamente tranquilla, che favoriva la possibilità di affermazione delle varie organizzazioni nel territorio;
una più facile mimetizzazione rispetto ai territori d'origine;
la possibilità di investire sull'acquisto di grandi appezzamenti terrieri al fine di intraprendere redditizie attività economiche sia commerciali che immobiliari.
A partire dagli anni ‘80 si è quindi assistito ad un graduale ingresso dei diversi sodalizi mafiosi, nei settori agro-alimentare, commerciale, immobiliare, turistico-balneare, soprattutto attraverso la costituzione o l'acquisto di quote sociali per mezzo di prestanome di fiducia.
A differenza di quanto accaduto nelle regioni d'origine, dove tendono ad assumere un controllo del territorio di tipo militare, in questa provincia le organizzazioni criminali non sembrano aver posto in essere comportamenti manifestamente e continuativamente violenti, ma hanno cercato di realizzare una forma di inserimento, attraverso l'instaurazione di relazioni con politici, imprenditori, commercianti, professionisti e operatori del mondo finanziario.
Uno dei settori maggiormente interessati al fenomeno è stato quello dell'edilizia, che ha coinvolto anche le attività collaterali del trasporto, delle cave, dell'estrazione dei materiali inerti, dello smaltimento dei rifiuti, in cui hanno avuto un ruolo dominante le imprese controllate dal clan dei Casalesi che sono riusciti, in alcuni casi, a imporre il proprio controllo sull'intera filiera produttiva.
Tale fenomeno ha determinato una infiltrazione della criminalità anche nel settore degli appalti pubblici, mediante la corruzione di pubblici funzionari e/o l'imposizione di subappalti, contratti di nolo e fornitura o dei servizi di guardiania, se non di tangenti alle imprese aggiudicatarie.
Parallelamente si sono registrate nel tempo anche quelle manifestazioni criminali tipiche di tali sodalizi, come dimostrano le varie indagini susseguitesi negli anni, che hanno riguardato il traffico di sostanze stupefacenti, l'usura, le estorsioni, la ricettazione, il riciclaggio ed il trasferimento fraudolento di valori.
Allo stato attuale, comunque, pur evidenziandosi il tentativo di radicamento di attività illecite connesse agli interessi delle organizzazioni criminali di tipo mafioso extraregionali, si può ritenere che le stesse non abbiano interesse ad una forma di controllo militarizzato del territorio, ma siano più interessate a sviluppare una coesistenza e convivenza con le altre realtà presenti, realizzando una commistione tra illecito e lecito e confondendosi sempre più nella società civile e legale.
La complessità ad attestare questa strisciante infiltrazione, sia a livello investigativo che giudiziario, deriva dalla già accennata minore frequenza del ricorso a manifestazioni criminali violente, antitetiche rispetto ad attività di riciclaggio, cui è funzionale la mimetizzazione nel contesto socio economico.
Le proiezioni delle organizzazioni criminali nell'area in esame risultano, infatti, sino ad oggi essere prevalentemente di natura economico-finanziaria, legate alle attività di riciclaggio/reimpiego di proventi illeciti poste in essere da soggetti contigui ai consessi criminali.
I gruppi criminali hanno preferito investire in pubblici esercizi, in attività commerciali, nonché nel settore delle costruzioni edili, poiché la circolazione intensa di grandi quantità di contante che li contraddistingue, consente l'immissione, con pochi rischi, di ingenti somme di denaro "sporco" nel circuito
economico lecito.
L'uso di società o altri enti dotati di personalità giuridica (es. associazioni, cooperative, etc.) rende più difficile la tracciabilità dei beni e consente di diversificare meglio l'investimento e quindi di renderlo meno aggredibile dalle attività di indagine. La frammentazione del patrimonio in pacchetti azionari/quote di diverse società, intestati soprattutto a prestanome, riduce il rischio che questo possa venire sequestrato o confiscato nella sua interezza.
L'analisi delle evidenze investigative sul territorio pontino, alcune delle quali trasfuse in provvedimenti patrimoniali giudiziari, hanno evidenziato che gli investimenti si concentrano nelle costruzioni e commercio al dettaglio, in particolare di autovetture, nelle attività di bar/ristorante e commercio all'ingrosso e dettaglio, nell'attività di onoranze funebri.
I rapporti tra le diverse organizzazioni criminali si svolgono prevalentemente su un piano paritario di accettazione e di convivenza che non fa escludere la possibilità di una fattiva collaborazione.
Tale dato costituisce un tratto del tutto peculiare che contraddistingue la realtà del sud pontino rispetto ai territori di origine, caratterizzati invece dalla prevalenza di una organizzazione sulle altre e/o da frequenti scontri per la conquista di una posizione di egemonia sul piano locale.
[…]
Particolare attenzione, anche per l'allarme che ha suscitato nell'opinione pubblica, ha destato l'arresto in un casolare nella campagna di Cisterna di Latina del latitante Michele Cuccaro, reggente dell'omonimo clan di camorra, avvenuto nell'ottobre del 2015. Tale evento ha fatto seguito all'arresto in Campania, per legami con il clan dei casalesi, dell'Architetto Carmine Domenico Nocera, risultato nel maggio dello stesso anno tra i vincitori di un bando di concorso per il conferimento di un incarico tecnico presso il comune di Cisterna di Latina e al quale lo stesso aveva rinunciato nel mese di agosto senza adottare alcun atto connesso all'incarico in questione.
Per quanto non ancora configurabile come organizzazione di tipo mafioso, nell'area di Latina si registra la presenza di una struttura autoctona, costituita da appartenenti alle famiglie di etnia rom Garelli e Di Silvio, legate da rapporti di parentela con la […] famiglia sinti dei Casamonica di Roma e con l'omonimo clan Ciarelli, radicato nella città di Pescara, dediti prevalentemente all'usura, allo spaccio di stupefacenti, all'estorsione ed al settore immobiliare.”
Si tratta di una complessiva situazione nella quale è tipicamente ipotizzabile l’offerta da parte di realtà criminali di “servizi” ambientali illeciti, operativamente contigui ai settori dell’edilizia o del movimento terra, che quindi impone la massima attenzione di tutti i soggetti pubblici.
[1] Giorgio Libralato al termine dell’audizione ha depositato in Commissione un voluminoso dossier, con diversi allegati, acquisito agli atti come Doc. n. 1095/1-6
[2] Il provvedimento è stato acquisito dalla Commissione come Doc. n. 2437/2
[3] Regione Carabinieri del Lazio, Comando provinciale di Latina. Verbale d'interrogatorio di persona imputata in procedimento eventualmente connesso del 13 marzo 1996, pagina 1. L'interrogatorio di Schiavone avviene alcuni mesi dopo l'esecuzione della OCC “Spartacus”, del 5 dicembre 1995, e fu svolto dal t. col. Dei Carabinieri Vittorio Tommasone, dal commissario della Polizia di Stato Francesco Di Maio, dall'ispettore superiore Luigi Pescuma e dal maresciallo Alessandro Pagliaro.
[4] Uno dei due fratelli potrebbe identificarsi con Diana Costantino fu Salvatore Nicola e di Cirillo Teresa, nato a S. Cipriano d'Aversa il 12.6.1931, residente a Casapesenna, via Quasimodo n. 4, imprenditore edile, detto "'O repezzato”, deceduto in data 17/02/2005, tratto in arresto per associazione a delinquere di stampo mafioso, nell’ambito dell’operazione denominata “Spartacus 1” (cfr. ordinanza cautelare N. 36856/01 R.G.N.R Dda di Napoli nei confronti di Nicola Cosentino).
[5] Da una ricerca sull'archivio dell'agenzia ANSA risulta che i lavori di realizzazione della terza corsia dell'autostrada Roma-Napoli sono iniziati a metà degli anni '80, per concludersi in un periodo precedente il 1990, anno dei Campionati mondiali di calcio a Roma.
[6] Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997 (documento declassificato, deliberazione ufficio di Presidenza della Camera numero 50 del 31 ottobre 2013), pagina 18.
[7] Regione Carabinieri del Lazio, Comando provinciale di Latina (doc. cit.), pagina 2
[8] Regione Carabinieri del Lazio, Comando provinciale di Latina (doc. cit.), pagina 6
[9] Nato a San Cipriano d'Aversa (CE) il 17 marzo 1946
[10] Conservatoria dei registri immobiliari di Latina, nota di trascrizione Reg. Particolo 13475 del 19 ottobre 1989
[11] Regione Carabinieri del Lazio, Comando provinciale di Latina (doc. cit.), pagina 5
[12] Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997 (doc. cit.), pagina 15
[13] Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997 (doc. cit.), pagina 19
[14] Ne ha riferito il Questore di Latina, Giuseppe De Matteis, in audizione davanti alla Commissione antimafia, il 18 maggio 2016
[15] Vedi, infra, le testimonianze raccolte dalla Commissione
[16] Verbale di assunzione di informazioni del 29 aprile 1995, rese davanti al pubblico ministero Barbara Callari (pagina 212 del fascicolo).
[17] CISECO - S.p.A. - Consorzio Industriale Servizi Ecologici Sede in Borgo Montello, Latina, via Monfalcone n. 46/a Capitale sociale L. 840.000.000 interamente versato Iscritta al Tribunale di Latina al n. 13132 Codice fiscale e partita I.V.A. n. 01345580591 (dati 1994). Vedi anche agenzia Ansa del 24 novembre 1990: "I manifestanti hanno inoltre detto di temere che a Borgo Montello venga realizzato il progetto del consorzio costituito dalle societa' chimiche Bristol, recordati e Sigma Tau".
[18] Adriano Musso è stato presidente del consiglio di amministrazione della Ecotecna Trattamento Rifiuti dal 1990 al 1996. Nell’ambito del procedimento penale n. 7436/R/92, iscritto presso la procura della Repubblica di Latina, è stato condannato per una serie di reati, commessi nell’ambito della gestione dell’invaso B2 della discarica di Borgo Montello. Reati poi dichiarati prescritti dai giudici di secondo grado. La sentenza della pretura circondariale di Latina, 10 febbraio 1997, n. 146/97 registro delle sentenze è stata acquisita dalla Commisisone come Doc. n. 1343/2
[19] Doc. n. 10/1
[20] P.p. 15948/13 Procura della Repubblica di Latina
[21] P.p. 15948 Mod. 44 – Procura della Repubblica di Latina
[22] Doc. n. 10/1
[23] Acquisita dalla Commissione come Doc. n. 538/1
[24] Doc. n. 538/1, p. 20
[25] Doc. n. 2426/2, nel quale, oltre alle considerazioni riportate di seguito nel testo, se ne svolgo altre sdi tipo tecnico sulle caratteristiche e la funzionalità dei piezometri
[26] Doc. n. 538/1, p. 25
[27] Doc. n. 1343/2
[28] Nato in Tunisia il 6 giugno 1937.
[29] Altri soggetti che hanno fatto parte della compagine societaria sono stati: Chini Umberto, deceduto, in qualità di vice presidente, a cui è subentrato, a far data dal 12.11.1998, Proietto Stefano, Proietto Ivo, quale membro del consiglio di amministrazione e Chini Rosamaria; nelle vesti di socio. Chini Umberto e Proietto Andrea sono risultati anche essere i proprietari originari dei terreni su cui è sorta l’attuale discarica di Borgo Montello gestita attualmente dalla società Ecoambientesrl.
[30] Come si vedrà nel paragrafo successivo, la Commissione ha approfondito quegli spunti investigativi ascoltando a sommarie informazioni testimoni diretti ed indiretti dei fatti, che hanno confermato gli episodi ricostruiti nell'indagine del 2013.
[31] La complessa – e particolare - sequenza degli atti autorizzativi è stata ripercorsa nel dettaglio dalla perizia svolta dai consulenti del pubblico ministero, Mauro Sanna e Marcello Ielmini, nell'ambito del procedimento penale 7436/92 rgnr, in relazione alla gestione del sito B2 da parte della società Ecotecna. Il quesito posto ai periti era: "effettuati i necessari accertamenti dicano se siano stati posti in essere comportamenti in violazione della vigente legge in materia di scarichi e/o rifiuti".
[32] Negli atti allegati alla citata informativa della Squadra mobile di Latina vi è, tra l'altro, il verbale di sopralluogo dell'area che verrà adibita ad invaso “B2”, destinata, come vedremo ad accogliere rifiuti speciali, anche pericolosi. Lo “speciale organismo” della regione Lazio (costituito ai sensi dell’ordinanza PGR 315/88), scrive: “Il giorno 31/1/1990 si è riunito presso la discarica di Borgo Montello speciale organismo […] Si rileva che nel territorio del comune di Latina il piano regionale non prevede discariche di seconda categoria tipo B. Effettuato il sopralluogo è stato riscontrato che l'area è già stata interessata da movimenti di terra che hanno prodotto uno scavo di forma rettangolare profondo circa 15 metri di cui la ditta ha asserito di aver dato comunicazione al comune […] Dal punto di vista geologico il terreno non presenta caratteristiche naturali idonee alla ubicazione di impianti di discarica di rifiuti speciali”.
[33] Ordinanza 76, del 21 febbraio 1990, ordinanza 215 del 26 marzo 1990 (a firma Bruno Landi) e ordinanza 575 del 4 novembre 1991 (a firma Rodolfo Gigli).
[34] Decreto commissariale 25 del 31 marzo 2005.
[35] Doc. n. 1342/2, pp. 246ss.
[36] Doc. n. 1343/2, p. 575
[37] La citata deliberazione del comitato interministeriale prevede per la categoria II B: “Sono impianti di stoccaggio definitivo nei quali possono essere smaltiti rifiuti sia speciali che tossici e nocivi, tal quali o trattati, a condizione che non contengano sostanze appartenenti ai gruppi 9 + 20 e 24, 25, 27 e 28 dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, in concentrazioni superiori a valori corrispondenti ad l/l00 delle rispettive CL determinate ai sensi del par. 1.2., punto l), e che, sottoposti alle prove di cessione di cui al par. 6.2., diano un eluato conforme ai limiti di accettabilità previsti dalla tabella A della legge n. 319 del 1976, e successive modifiche, per i metalli compresi nell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 dell'1982”.
[38] Doc. n. 1343/2, Ordinanza 575 Regione Lazio, allegato 9.
[39] La ricostruzione puntuale degli atti – tra Regione, TAR e Consiglio di Stato – è contenuta nella consulenza citata (Doc. n. 1343/2, pp. 241ss.)
[40] Nel corso dell’audizione dell’11 luglio 2016, il dirigente della regione Lazio Flaminia Tosini ha riferito: “Le due società avevano presentato, già dall'anno scorso, una richiesta di valutazione di impatto ambientale per l'ampliamento delle discariche in sopraelevazione e in ampliamento. I procedimenti sono al momento fermi presso l'ufficio VIA perché la regione Lazio mancava anche di una programmazione adeguata; c'era un piano di rifiuti che indicava delle volumetrie previste di gestione, ma che era rimasto fermo e non aveva avuto più aggiornamenti legati a questo aspetto”.
[41] L’appello della difesa è stato depositato il 10 aprile 1997. Relativamente al capo a) dell'imputazione (articolo 23 DPR 915/1982, per avere nella qualità di legale rappresentante dell'ente gestore della discarica di rifiuti industriali di Borgo Montello effettuato smaltimento di rifiuti tossico-nocivi. In Latina il 14.11.1992) la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere “perché i suddetti reati sono estinti per intervenuta prescrizione”; con la stessa sentenza i giudici di secondo grado hanno revocato l'ordine di “remissione in pristino dello stato dei luoghi”; l’esito dell’impugnazione risulta annotato sulla sentenza di primo grado, pagina 306 Doc PP 15948/13/44, procura della Repubblica di Latina.
[42] Doc. n. 1343/2 p. 30ss. perizia della relazione consulenziale contenuta nel fascicolo.
[43] All'epoca dei fatti narrati dai testimoni era già in vigore il DPR 915 del 1982; gli invasi S1, S2 e S3 non erano classificati come discariche 2 B (per rifiuti speciali) o 2 C (per rifiuti pericolosi). L'unica autorizzazione che risulta agli atti per lo stoccaggio di rifiuti speciali riguarderà, come visto, l'area “B2”. In ogni caso – come già si è detto parlando di questo invaso – l'area di Borgo Montello era stata ritenuta sia dalla speciale commissione della regione Lazio, sia dai consulenti giudiziari non idonea geologicamente per accogliere rifiuti speciali e pericolosi.
[44] C.F. 03834261004
[45] C.F. 04332211004
[46] La Commissione ha acquisito (Doc. n. 12/1-4) documentazione proveniente dalla società Ecoambiente, che si fonda in efeftti su questo presupposto
[47] Doc. n. 1406/2
[48] Doc. n. 1406/4
[49] Sui rapporti tra il senatore Maurizio Calvi e Andrea Proietto si veda altresì il § 7.5
[50] Doc. n. 1406/5
[51] Doc. n. 1406/3
[52] Interrogazione a risposta scritta 4/10973 presentata da Giulio Maceratini (Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale) in data 1993 02 17: “Ai Ministri per gli affari regionali, dell'interno e dell'ambiente. - Per sapere - premesso: che si sono fatte sempre più insistenti le voci di diffuse illegalità in ordine alla discarica di Borgo Montello e appare sempre più torbido ed allarmante il retroscena sull'intera vicenda; che, giova premettere, tale discarica era gestita in precedenza da una certa società Prochi e tale società risultava in stretti rapporti con un parlamentare socialista della provincia di Latina tanto che alla detta società Prochi risultava intestata una vettura Citroen Pallas rubata all'anzidetto parlamentare così come alla stessa società Prochi risultava intestato il telefono cellulare utilizzato dal detto parlamentare e ugualmente della società Prochi era l'autista della vettura, tale Fraulin, di cui si serviva lo stesso parlamentare; che la detta discarica di Borgo Montello è poi finita nelle mani della società Acqua, facente capo ai fratelli Pisante e attualmente clamorosamente inquisita dalla magistratura milanese; che ulteriore motivo di sospetto deriva dalla ordinanza regionale n. 1 del 5 gennaio 1993 con la quale la giunta regionale del Lazio ha stabilito essere Borgo Montello impianto di stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi provenienti da tutta l'Italia; che addirittura si fanno sempre più insistenti le voci secondo le quali il presidente della regione Lazio Pasetto avrebbe parlato di "manomissioni" della delibera, posto che l'ultimo capoverso della delibera stessa, quello cioè che consente lo stoccaggio a Borgo Montello di rifiuti tossici provenienti da tutta l'Italia, sarebbe stato inserito a sua insaputa nella delibera in questione; che è dunque evidente che l'intera vicenda merita dei chiarimenti e approfondimenti adeguati per giungere alla necessaria trasparenza sui passaggi di mano avvenuti fra le società che hanno gestito e gestiscono la discarica e per conoscere altresì quale sia la reale volontà della regione Lazio ed il reale stato delle cose che, riguardando il delicato problema della conservazione dei rifiuti tossici, suscita grave allarme nella popolazione pontina -: quale sia il ruolo svolto dalla società Prochi nella discarica di Borgo Montello e chi sia il parlamentare socialista che ha avuto rapporti con la società Prochi e a quale titolo; chi siano gli attuali soci della società Acqua che gestisce attualmente la discarica di Borgo Montello, posto che il 40 per cento delle azioni sembra essere intestato ai fratelli Pisante e non si conoscono i titolari della residua parte del capitale sociale; come sia potuto accadere la manomissione, se di questo si è trattato, della delibera regionale 5 gennaio 1993 e cosa intenda fare il Governo perché la reale volontà della regione Lazio sia fatta prevalere e, in ogni caso, se non si ritenga di intervenire adeguatamente perché le procedure di stoccaggio dei rifiuti tossici vengano effettuate nel rispetto di criteri di uniformità e di equità rispetto all'intero territorio nazionale. (4-10973)” (http://storia.camera.it/documenti/indirizzo-e-controllo/19930217-interrogazione-risposta-scritta-4-10973#nav)
[53] Dai dati Inps – allegati alla citata informativa della squadra mobile di Latina – Fraulin risulta essere stato dipendente della Pro.Chi. Dal 1984 al 1988 e della Ecologica Tirrena dal 1989 al 1994; in quello stesso anno viene assunto per sei mesi dalla FAB s.r.l. Tutte queste società risultano riferibili, secondo le indagini di Latina, alla famiglia Proietto.
[54] Il riferimento è al Doc. n. 1753/2 del 20 febbraio 2017
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