L’istanza presentata al capo della procura di Latina. Il parroco di Borgo Montello, famoso per il sostegno alla lotta contro il traffico di rifiuti tossici, fu ucciso nel 1995. Gli elementi dell’enigma: un asciugamano, lo scotch e l’ora della morte
Era un precursore di battaglie oggi d’attualità: «I rifiuti inquinano non solo la terra ma le coscienze». A Borgo Montello e in tutto l’agro pontino, dove era arrivato negli anni Cinquanta, era amatissimo per il suo impegno a favore dei poveri, gli sfollati, i contadini e, negli ultimi tempi, contro il traffico di fusti tossici in odore di malavita. Quando la perpetua lo trovò morto nella sua camera da letto, pestato a sangue e col nastro adesivo attorno al collo, la voce si sparse in un lampo fino a Roma e poi in Veneto, sua terra natia. Era la mattina del 30 marzo 1995. Delitto senza colpevoli: la pista della rapina compiuta da balordi si arenò presto. Ma adesso, al termine di una lunga battaglia di comitati civici e associazioni come Libera, l’inchiesta sull’omicidio di don Cesare Boschin, il prete «anti-discarica» massacrato a 80 anni nella sua parrocchia, torna d’attualità.
L’istanza per la riapertura del caso è stata formalmente depositata nell’ufficio del capo della Procura di Latina, Andrea De Gasperis, dall’avvocato Stefano Maccioni per conto di Luciano Boschin, il nipote della vittima. Sarà il gip a pronunciarsi sulla ripresa delle indagini. Il riserbo sui nuovi elementi posti all’attenzione della magistratura è alto, ma qualcosa è trapelato. Nell’ultimo periodo, il pool costituito dall’avvocato di parte lesa, al quale collaborano la criminologa Immacolata Giuliani, il medico legale Luigi Cipolloni e Lorenzo Zanon, il sindaco di Trebaseleghe (Padova) di cui era originario don Cesare, ha riesaminato le circostanze del delitto avvenuto nella chiesa di Santa Annunziata e concentrato l’attenzione su tre elementi del giallo: le tracce sul nastro adesivo usato dal killer, le macchie di sangue su un asciugamano e il momento del decesso, che andrebbe spostato indietro di alcune
Una morte atroce
Il dossier consegnato a De Gasperis contiene anche spunti legati a un sopralluogo svolto qualche settimana fa a Borgo Montello. Il pool investigativo ha sentito nuovamente la perpetua, che fu la prima a scoprire il cadavere: don Cesare aveva il corpo ricoperto da lividi, la mascella fratturata, la bocca incerottata. Morì per soffocamento: il pugno sferrato dall’assassino gli aveva fatto ingoiare la dentiera. Dalla canonica furono portate via le due agende del sacerdote e non 800 mila lire contenute nel portafoglio, particolare che fa prevalere altri moventi rispetto a quello ipotizzato all’inizio, della rapina conclusa tragicamente. L’avvocato e la criminologa hanno anche incontrato alcune persone a conoscenza di retroscena sull’impegno in prima linea del parroco nella battaglia contro la discarica di Borgo Montello. Don Boschin, nelle settimane precedenti l’omicidio, aveva raccolto le confidenze di parrocchiani che riferirono di fusti interrati nottetempo e di alcuni genitori, insospettiti dal fatto che i figli avessero un’improvvisa disponibilità di danaro al ritorno da misteriosi viaggi a bordo di tir. «Speriamo di vederci domani», diceva il prete paladino della legalità e dell’ambiente a chi passava a salutarlo. Una profezia purtroppo avverata. Oggi, 21 anni dopo, in tanti nell’agro pontino sperano di dare a don Cesare verità e giustizia.(fperonaci@rcs.it) 17 maggio 2016 | 19:14
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