giovedì 3 ottobre 2013

Dietrofront cibo e rifiuti: non si butta più niente

Un nuovo imperativo etico. Perché non è più tollerabile, in un pianeta che ha fame, che la sola Europa getti via in un anno novanta milioni di tonnellate di cibo

di Daniela Condorelli Bologna ha fatto da apripista. Un professore, una manciata di studenti scandalizzati dai dietro le quinte di un supermercato emiliano. Yogurt non ancora scaduti, retine di arance intonse tranne una, scatolette di tonno o confezioni di cereali un po’ ammaccate. Da cibo erano diventati rifiuti. Nasce lo spin-off universitario Carpe cibum. cogli il cibo, prima che diventi spazzatura.

Si chiamerà poi Last Minute Market, mercato dell’ultimo minuto. Il concetto è lo stesso ma l’idea è nuova: il recupero non è più carità, ma diventa sostenibile. Ha cominciato Bologna, con un’idea diventata poi un marchio, Spreco Zero, e una battaglia, Un anno contro lo spreco. La causa è stata perorata a lungo da quel professore, Andrea Segrè, agroeconomista, che il 21 settembre a Pordenonelegge (pordenonelegge.it) presenta “Il libro verde dello spreco” sull’energia, che completa la trilogia iniziata con il “Libro nero dello spreco in Italia”sul cibo e proseguita con quello blu sull’acqua, tutti di Edizioni Ambiente.
E a forza di insistere l’Europa risponde, nel 2012, con una risoluzione: entro il 2020 bisogna dimezzare gli sprechi. Ora si aspetta che il Parlamento italiano dichiari “Anno contro lo spreco alimentare” il 2014, o magari il 2015 per l’appuntamento con l’Expo di Milano, dedicata al cibo e al tema “Nutrire il pianeta”. Il motivo sono quei 90 milioni di tonnellate di cibo sperperato ogni anno nella sola Europa. Un miliardo e 300 mila tonnellate in tutto il mondo, secondo la Fao. «Lo spreco alimentare è un paradosso scandaloso.

Dobbiamo aumentare la produzione agroalimentare del 70 per cento per nutrire quei nove miliardi di persone che abiteranno il mondo nel 2050, e intanto buttiamo via più di un terzo del cibo che produciamo», denuncia Segrè. A recuperarlo si darebbe da mangiare a metà del pianeta per un anno. Le cifre globali sono stratosferiche, ma è guardando nel frigo di casa nostra che si realizza di cosa stiamo parlando. In Italia ogni anno una persona butta via 149 chili di cibo. Se il cibo scartato rappresenta l’1,19 per cento del nostro Pil, lo 0,96 per cento è spreco domestico, che conta cinque volte quello degli altri tasselli della filiera agroalimentare (agricoltura, industria alimentare, ristorazione, distribuzione). In soldoni, si tratta di 15 miliardi l’anno.

Se ne parla di più, la sensibilità si diffonde, le iniziative fioriscono. C’è chi dà ai clienti cibo e vino non finiti da portare a casa, il doggy-bag che persino Michelle Obama chiede, e chi fa il tour dei negozi di alimentari e dei bar della città prima che abbassino la serranda, per raccogliere l’invenduto.

Per mettere a punto buone pratiche bisogna però dire quanto si butta via: i supermercati, ma soprattutto noi. Nasce così Waste Watchers, l’osservatorio nazionale contro gli sprechi attivato dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari e di Statistica dell’Università di Bologna. In collaborazione con la società di ricerche di mercato Swg, Waste Watchers è uno strumento di monitoraggio dello spreco. Ogni anno è pari a 1.693 euro lo sperpero alimentare di una famiglia italiana: sei famiglie su dieci gettano via del cibo almeno una volta la settimana. Per consumismo, superficialità, pigrizia, eccessivo benessere. Molti chiedono di essere informati sulle conseguenze dello spreco e i sistemi per ridurlo, oltre a incentivi per recuperare gli scarti. E nascono libri (“Non sprecare”)e siti, come nonsprecare.it di Antonio Galdo.

Ma la politica ha tempi lunghi, l’idea deve invece diventare concreta subito. Ci pensano i sindaci, partiti in una manciata e ora più di settecento. Firmano, uno dopo l’altro, la “Carta spreco zero”, il decalogo di buone pratiche contro gli sprechi alimentari, idrici, energetici sottoscritto finora da oltre mille Comuni italiani, fra i quali Milano, Napoli, Torino, Bologna, Venezia, Trieste. Inoltre, il 3 settembre è arrivata l’adesione di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, e dieci giorni dopo quella di Ignazio Marino. «Ci impegniamo a raccogliere parte del cibo dato per scaduto e a redistribuirlo coinvolgendo 330 grossisti e 900 fra mercati e supermercati», ha affermato il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri.

Lanciata un anno fa a Trieste Next, il Salone europeo dell’innovazione e della ricerca scientifica, nell’ambito della campagna europea “Un anno contro lo spreco” per iniziativa di Last Minute Market, la Carta impegna i sindaci a sostenere tutte le iniziative che recuperano i prodotti rimasti invenduti e scartati lungo la filiera agroalimentare per redistribuirli gratuitamente a categorie di cittadini al di sotto del reddito minimo, nonché a istituire corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia.

E ancora: regolare le vendite scontate, adattare le confezioni, aumentare la distribuzione di prodotti sfusi e semplificando le etichette. E questo solo per il cibo. Senza contare il risparmio idrico e quello energetico. Così, la Carta permette di attuare le indicazioni contenute nella Risoluzione del Parlamento europeo approvata lo scorso anno, allo scopo di abbattere del 50 per cento lo spreco alimentare entro il 2025 e istituire l’Anno europeo contro lo spreco.


Oltre al cibo, la lotta anti-spreco si estende, si cercano buone prassi e il portale Sprecozero.net, operativo tra qualche settimana, è aperto a ospitarle. Obiettivo? Copiare le più adatte a essere riprodotte nel proprio territorio. Per esempio capire come gestisce il risparmio idrico il comune di Tavernelle Val di Pesa (Firenze), vincitore nel 2012 dell’Emas Awards per la gestione dell’acqua; replicare l’iniziativa di Conversano (Bari), che regala ai cittadini riduttori di flusso per il risparmio idrico; localizzare le perdite sulla rete idrica come fa Riolo Terme (Ravenna).

Anche l’energia ha bisogno di misure salva-spreco. Nei paesi sviluppati si stima che il 15-30 per cento del consumo totale di energia sia imputabile alle filiere agroalimentari. Altra viene utilizzata per smaltire ingenti quantità di rifiuti.

Tra i progetti c’è l’innovativa operazione promossa dal Caab (caab.it), il Centro agroalimentare di Bologna che ospita il mercato ortofrutticolo, grazie a un investimento di oltre 22 milioni. Oltre a essere l’impianto fotovoltaico su tetto più grande d’Europa, 100 mila metri quadri pari a 14 campi da calcio, il Caab unisce risparmio energetico con recupero di cibo, riciclo di acqua e riduzione dell’inquinamento.

Spiega il direttore marketing e qualità Duccio Caccioni: «Abbiamo quasi 44 mila pannelli solari con una produzione di oltre 11 milioni di Kwh. Il mercato è del tutto autosufficiente e stiamo mettendo a punto progetti per usare il surplus di energia. In autunno a ogni grossista del Caab verrà proposto in comodato un veicolo elettrico da ricaricare presso tettoie provviste di pannelli dove prendere batterie di ricambio e lasciare quelle da ricaricare».

Così l’ortofrutta del Caab raggiungerà la città abbattendo l’inquinamento del centro di Bologna. Coinvolte anche le comunità solari, caratterizzate da pannelli fotovoltaici in comune montati su proprietà pubbliche. Un punto di ricarica sarà infatti presso la comunità solare di Casalecchio di Reno.

Neanche l’acqua va persa in questo progetto apprezzato dal senatore Harris McDowell, consulente di Obama per le energie rinnovabili, che lo ha inaugurato: i pannelli inclinati permettono di raccogliere l’acqua piovana e usarla per lavare le piattaforme. Le buone idee vanno raccontate, così diventano contagiose.

In Europa è stata messa a punto Fusions, “Food use for social innovation by obtimising waste prevention strategies” (eu-fusions.org), una piuattaforma che riunisce 13 nazioni impegnate a raccogliere dati e sviluppare linee guida da adottare nei paesi dell’Unione europea. Obiettivo? Ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2020. E dimostrare che unire solidarietà e sostenibilità è ancora possibile.  http://espresso.repubblica.it/visioni/societa/2013/10/03/news/primo-non-sprecare-1.135854
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