La più grande è quella di Belo Monte, in Brasile. Sarà completata a breve, entro il 2016, e con una potenza installata di 11.233 MW sarà la terza diga più grande del mondo, superata solo dalla cinese Diga delle Tre Gole (22,500 MW) e dalla diga Itaipu (14.000 MW) che interrompe il Paraná tra lo stesso Brasile e il Paraguay.
Il più grande stato latino-americano continua dunque la sua politica energetica che privilegia la fonte idroelettrica: i due terzi di quella che i fisici considerano la forma più nobile di energia (l’energia elettrica) il Brasile li ricava dalle cascate d’acqua. E intende continuare: infatti, in questo momento, ha in progetto di realizzare altre 334 dighe nel solo bacino del Rio delle Amazzoni.
Quella idroelettrica è una fonte rinnovabile e “carbon free”, ma la diga di Belo Monte in costruzione è lì a ricordarci che non esistono “pasti gratis” in natura. Che ogni medaglia ha il suo rovescio. E che una politica sostenibile deve tenere in conto tutti gli effetti ecologici e sociali di un’’azione. La diga di Belo Monte modificherà, secondo quanto ha scritto Mark Sabaj Pèrez in un recente articolo sull’American Scientist, il flusso delle acque del Rio Xingu, un grosso affluente del Rio delle Amazzoni, per circa 170 chilometri, dimezzandone a valle la portata della metà e impedendo ai pesci, molti dei quali vivono solo e unicamente nel Xingu, di risalire il fiume.
Gli esperti di biodiversità temono che la gran parte delle specie di pesci del Xingu subirà un drastico decremento di popolazione e alcune spariranno del tutto.
La diga sta inasprendo l’antica controversia tra le autorità brasiliane che vogliono la diga e il movimento di indigeni, conservazionisti e ambientalisti che da decenni tentano di impedire la costruzione. Proteste che sono culminate, ricorda Mark Sabaj Pèrez, nel primo meeting dei Popoli Indigeni tenuto ad Altamira nel 1989, durante il quale Tuíra, membro della tribù dei Kayapó, lanciò un macete contro l’ingegnere capo del progetto, diventando l’icona dell’opposizione alle dighe sul Xingu.
Quella idroelettrica è una fonte rinnovabile e “carbon free”, ma la diga di Belo Monte in costruzione è lì a ricordarci che non esistono “pasti gratis” in natura. Che ogni medaglia ha il suo rovescio. E che una politica sostenibile deve tenere in conto tutti gli effetti ecologici e sociali di un’’azione. La diga di Belo Monte modificherà, secondo quanto ha scritto Mark Sabaj Pèrez in un recente articolo sull’American Scientist, il flusso delle acque del Rio Xingu, un grosso affluente del Rio delle Amazzoni, per circa 170 chilometri, dimezzandone a valle la portata della metà e impedendo ai pesci, molti dei quali vivono solo e unicamente nel Xingu, di risalire il fiume.
Gli esperti di biodiversità temono che la gran parte delle specie di pesci del Xingu subirà un drastico decremento di popolazione e alcune spariranno del tutto.
La diga sta inasprendo l’antica controversia tra le autorità brasiliane che vogliono la diga e il movimento di indigeni, conservazionisti e ambientalisti che da decenni tentano di impedire la costruzione. Proteste che sono culminate, ricorda Mark Sabaj Pèrez, nel primo meeting dei Popoli Indigeni tenuto ad Altamira nel 1989, durante il quale Tuíra, membro della tribù dei Kayapó, lanciò un macete contro l’ingegnere capo del progetto, diventando l’icona dell’opposizione alle dighe sul Xingu.
La diga di Belo Melo non è la sola al centro di controversie. Come ricordano Kirk O. Winemiller, della Texas A&M University, e un nutrito gruppo di biologi in un articolo pubblicato la settimana scorsa suScience, ce ne sono molte altre in costruzione o in fase di progetto avanzato in altre parti del mondo che fanno discutere. Per esempio laInga III, nel cuore dell’Africa, che consentirà al Congo di portare la produzione di energia idroelettrica dal 40% all’83% del suo paniere energetico e di esportare elettricità. La Inga III, si aggiunge a Inga I e Inga II, e rallenterà il flusso di acqua del Congo per almeno 20 chilometri a monte della diga.
Non diversamente vanno le cose in Asia. Ci sono allo stato 88 nuovi progetti di costruzione di dighe nel bacino del Mekong e moli ne temono l’impatto ecologico e sociale. Secondo un recente studio citato da Kirk O. Winemiller e colleghi, per compensare la sola perdita di cibo da pescato con la realizzazione delle 98 dighe, occorrerà espandere la superficie arabile di una quantità compresa tra il 19 e il 63%.
Tuttavia il gruppo di studiosi teme soprattutto per la perdita di biodiversità. In particolare dei pesci che, abituati a vivere e a risalire lungo i fiumi, vedono sconvolto il loro ecosistema. La progettata costruzione di dighe nei soli bacini del Rio delle Amazzoni, del Congo e del Mekong potrebbe portare, sostengono, Kirk O. Winemiller e i suoi colleghi, alla scomparsa di un terzo di tutte le specie di pesci di acqua dolce del mondo.
Ma nulla più dei numeri chiarisce la situazione. In questo momento nel Rio delle Amazzoni sono state catalogate 2.320 specie di pesci, di cui 1.488 endemici. Gli esperti dicono che ci sono anche altre specie non ancora rilevate. Ebbene, in questo stesso momento tutto il bacino è interessato alla realizzazione di 334 nuove dighe, che si aggiungeranno alle 416 esistenti. Non tutte sono grandi come quella di Belo Monte, ma la rete, nell’insieme, potrebbe portare all’estinzione di centinaia di specie di pesci.
Tuttavia il gruppo di studiosi teme soprattutto per la perdita di biodiversità. In particolare dei pesci che, abituati a vivere e a risalire lungo i fiumi, vedono sconvolto il loro ecosistema. La progettata costruzione di dighe nei soli bacini del Rio delle Amazzoni, del Congo e del Mekong potrebbe portare, sostengono, Kirk O. Winemiller e i suoi colleghi, alla scomparsa di un terzo di tutte le specie di pesci di acqua dolce del mondo.
Ma nulla più dei numeri chiarisce la situazione. In questo momento nel Rio delle Amazzoni sono state catalogate 2.320 specie di pesci, di cui 1.488 endemici. Gli esperti dicono che ci sono anche altre specie non ancora rilevate. Ebbene, in questo stesso momento tutto il bacino è interessato alla realizzazione di 334 nuove dighe, che si aggiungeranno alle 416 esistenti. Non tutte sono grandi come quella di Belo Monte, ma la rete, nell’insieme, potrebbe portare all’estinzione di centinaia di specie di pesci.
A RISCHIO LA BIODIVERSITA’Il bacino del Congo ospita almeno 1.269 specie di pesci (sono solo quelle catalogate), di cui 846 endemiche. Anche queste sono minacciate dai progetti di costruzione di 13 nuove dighe che si aggiungeranno alle 51 esistenti. Quanto al Mekong, lo abbiamo già detto sono in progetto 98 nuove dighe che si aggiungeranno alle 371 esistenti, minacciando seriamente le 599 specie di pesci (213 le endemiche) che popolano il bacino.
Naturalmente non ci sono solo i pesci. Ci sono molte altre specie animali e non a rischio. E non ci sono solo il Rio delle Amazzoni, il Congo e il Mekong. La costruzione di nuove dighe crea dei problemi alla biodiversità delle acque dolci. Questo non significa che bisogna rinunciare all’idroelettrico, fonte, lo ripetiamo, rinnovabile e “carbon free”. Occorre, però, utilizzare questa fonte – come qualsiasi altra fonte – con un’ottica sistemica. In grado di tenere conto di tutti gli effetti ecologici e sociali. E di trovare il migliore equilibrio possibile. Sapendo, appunto, che non ci sono “pasti gratis” in natura. Sono queste, a ben vedere, la grande sfida da accettare e la grande presa di coscienza da assumere cui ci obbliga il paradigma ambientale in questo XXI secolo.
Naturalmente non ci sono solo i pesci. Ci sono molte altre specie animali e non a rischio. E non ci sono solo il Rio delle Amazzoni, il Congo e il Mekong. La costruzione di nuove dighe crea dei problemi alla biodiversità delle acque dolci. Questo non significa che bisogna rinunciare all’idroelettrico, fonte, lo ripetiamo, rinnovabile e “carbon free”. Occorre, però, utilizzare questa fonte – come qualsiasi altra fonte – con un’ottica sistemica. In grado di tenere conto di tutti gli effetti ecologici e sociali. E di trovare il migliore equilibrio possibile. Sapendo, appunto, che non ci sono “pasti gratis” in natura. Sono queste, a ben vedere, la grande sfida da accettare e la grande presa di coscienza da assumere cui ci obbliga il paradigma ambientale in questo XXI secolo.
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