domenica 20 ottobre 2013
le dichiarazioni del presidente della repubblica Giorgio Napolitano a proposito della trattativa stato mafia
Lui sa
di Marco Travaglio Il fatto quotidiano 19 ottobre 2013
Se non fosse così mal consigliato e mal circondato,
Giorgio Napolitano chiamerebbe
i giornalisti e direbbe: “Diffido chicchessia dal
parlare ancora a nome mio. Sbagliai, un anno
fa, obnubilato dal mio ego smisurato, a ingaggiare
un’assurda guerra contro i magistrati di
Palermo che cercano faticosamente la verità
sulla trattativa Stato-mafia, costata la vita a tanti
innocenti. Così come sbagliai, prima, ad assecondare
le richieste di protezione di un uomo
disperato come Mancino, e a trascinare in un
abuso di potere il mio consigliere Loris D’Ambrosio.
Avrei dovuto dissipare subito le ombre
che, a causa della mia leggerezza, si addensavano
sulla mia persona e sull’alta funzione che
ricoprivo e ricopro. Ma ora basta, ora ho deciso
di rivelare quel che dissi a Mancino in quelle
quattro telefonate ormai distrutte, anche se una
sentenza della Consulta – da me richiesta con
un ricorso che non si poteva rifiutare – mi consentirebbe
di non farlo. Anzi, per mostrare anche
visivamente che non ho nulla da nascondere
né privilegi da rivendicare, rinuncio al mio
diritto di essere sentito al Quirinale e testimonierò
nell’aula della Corte d’Assise di Palermo,
come un cittadino comune. E risponderò a tutte
le domande, nessuna esclusa: sia su quelle
maledette telefonate, sia sulla lettera che mi inviò
D’Ambrosio sul timore che mi aveva esternato
di essere stato usato in passato come ‘ingenuo
e utile scriba di cose utili a fungere da
scudo per ‘indicibili accordi’. Avrei dovuto farlo
prima, spontaneamente, ma non lo feci perché
sottovalutai i suoi turbamenti e ora me ne
pento e intendo riparare, per quanto possibile,
alle mie omissioni. Perché non voglio che la
mia reputazione venga macchiata, agli occhi
dell’opinione pubblica e anche della storia, da
condotte che possano apparire reticenti. Quindi
prego il ministro Cancellieri, il saggio Violante,
i giuristi e gli editorialisti e i quirinalisti
corazzieri che ancora in queste ore, credendo di
farmi cosa gradita ma rendendomi un pessimo
servigio, attaccano i giudici di Palermo per
avermi citato come testimone nel processo sulla
trattativa di riporre le armi e le penne: sono io
il primo a volermi mettere a disposizione della
Giustizia, come ogni buon cittadino deve fare
in questi casi, per raccontare tutto ciò che so”.
Sarebbe un atto nobile e apprezzato da tutti
coloro che leggono con inquietudine le incredibili
panzane pubblicate dai giornali e non
possono fare a meno di intravedervi l’ispirazione
del Colle, purtroppo abituato da anni a
far precedere le sue mosse da un borbottio di
cortigiani teleguidati o proni a tutto. Repubblica
e Corriere descrivono, citando le solite “fonti del
Quirinale”, un Presidente che mediterebbe addirittura
“un nuovo ricorso alla Consulta” (un
altro conflitto di attribuzioni, stavolta contro la
Corte d’Assise), “irritato” e pieno di “riserve”
contro i giudici che avrebbero addirittura “aggirato”
la sentenza della Consulta del 4 dicembre
2012: sentenza che riguardava le telefonate
con Mancino, non certo la lettera in cui D’Ambrosio
ricordava al capo dello Stato di avergli
esternato (“Lei sa”) i suoi timori, e che timori! Il
trio Ferrara-Sallusti-Belpietro difende con pelosa
solidarietà Napolitano da presunti “ricatti”,
“invasioni” e “strapoteri” giudiziari, per accomunarlo
con sillogismi farlocchi alla cosiddetta
“persecuzione” di Berlusconi. Il presidente
emerito della Consulta Piero Alberto Capotosti,
sul Messaggero , si gioca quel che resta della
sua reputazione criticando la decisione dei giudici
come un ennesimo, immaginario “scontro
fra politica e magistratura”. Ma anche come un
“trabocchetto” per sindacare le “attività informali
del Presidente” dichiarate insindacabili
dalla Consulta. Come se queste potessero includere
l’occultamento di notizie sulla trattativa
Stato-mafia trasmesse a Napolitano dal suo
consigliere che nulla c’entrano con le attività
presidenziali, né informali né funzionali.
Infatti riguardano il periodo 1989-'93,
quando né D’Ambrosio né Napolitano
sedevano al Quirinale, e che riguardano al
massimo cose fatte da D’Ambrosio, non
certo (si spera) da Napolitano. Sarebbe come
se un cittadino, poi scomparso, avesse
confidato al Presidente di aver assistito a un
delitto e il Presidente rifiutasse di testimoniare
al processo per l’omicidio, trincerandosi
dietro le sue “attività informali”.
Poi ci sono i corazzieri della penna, tipo il
solito Massimo Franco, che riesce a superare
persino se stesso (il che è tutto dire).
Sostiene, sulla prima
pagina del Corriere ,
che la testimonianza
del Presidente non è
un sacrosanto dovere
civico, una prova di
trasparenza e un bell’esempio
per tutti gli
italiani, ma un fatto
“surreale” che desta
“stupore e perplessità”,
un “ulteriore
strattone di alcuni settori del potere giudiziario”
(una Corte formata da 2 giudici
togati e 6 giurati popolari estratti a sorte)
che avrebbero dovuto non citarlo per “una
questione di opportunità”: come se i magistrati
soggetti soltanto alla legge fossero
dei politici che agiscono in base alla convenienza
del momento. Ad avviso del
Franco, il processo sulla trattativa non nasce
dal fatto che c’è stata una trattativa, ma
da un non meglio precisato “conflitto trasversale
fra spezzoni della magistratura e
dei partiti” (quali? in che senso? ma de
che?). E citare Napolitano come teste sarebbe
un modo per “gettare ombre” su
“uno dei pochi ancoraggi” dell’Italia a livello
internazionale”, addirittura un “at -
tacco al Quirinale” per “dare una spallata al
governo delle larghe intese” con un “nuovo
conflitto tra vertici dello Stato” (Franco
non si dà pace neppure della convocazione
come teste “perfino di Piero Grasso”, manco
fosse Nostro Signore). Ora, a parte il fatto
che il governo le spallate se le dà da solo,
sfugge l’attinenza fra la testimonianza presidenziale
e il governo. Possibile che il primo
giornale d’Italia non si renda conto che
testimoniare è un dovere di ogni cittadino e
che a “gettare ombre” su Napolitano anche
“a livello internazionale” sarebbe proprio il
suo rifiuto di riferire su fatti così gravi? Signor
Presidente, per carità, si dissoci dai
suoi corazzieri e corra dai giudici
a dire tutto
ciò che sa. È l’ultima occasione.
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