La denuncia dei pescatori: i lavori per il porto dello scandalo hanno disperso in mare il veleno delle testate belliche. Scaricate lì in quantità colossale dal 1943 in poi. E ancora oggi letali
E che – stando alle accuse documentate dai comitati ambientalisti e dalle associazioni di pescatori pugliesi – sono state liberate alla fine del 2007 proprio dagli scavi per i pontili di cemento del nuovo porto, un'opera da 150 milioni di euro fortemente voluta da Antonio Azzolini, allora sindaco della cittadina e oggi senatore del Pdl.
Mentre il mondo si è mobilitato per mettere in sicurezza i gas del regime siriano, l'esistenza in quella fascia di Adriatico di enormi quantità di testate colme di sostanze devastanti continua a essere ignorata dalle autorità. Lì dal dicembre 1943 ai primi anni Cinquanta americani e inglesi hanno gettato tutti i residui degli arsenali usati per la guerra in Italia. Munizioni d'ogni tipo: dai proiettili d'artiglieria ai razzi controcarro. L'eredità più pesante è quella della 15ma Air Force statunitense, la gigantesca flotta di quadrimotori schierata in 24 aeroporti pugliesi per colpire i territori meridionali del Terzo Reich: in diciotto mesi sganciò 300 mila tonnellate di bombe. Alla caduta di Berlino però nei depositi sparsi tra Foggia e Taranto c'erano ancora decine di migliaia di testate. E soprattutto era rimasta l'intera scorta di armi chimiche accumulata nell'eventualità di una rappresaglia contro la Germania: migliaia di ordigni carichi di arsenico, iprite, fosgene e altri gas letali.
Questo carico devastante è stato gettato in una colossale discarica sottomarina a largo di Molfetta. Molte armi sono finite nel porto o nei bassi fondali a poche centinaia di metri dalla costa. L'operazione pulizia infatti venne affidata soprattutto a ditte locali che, per risparmiare carburante o a causa di incidenti nel trasporto delle ogive contaminate, spesso le scaricò in prossimità del porto. I primi affondamenti risalgono al dicembre 1943, all'indomani del disastro di Bari. Nel capoluogo un raid a sorpresa della Luftwaffe distrusse 19 mercantili alleati: una nave americana – la John Harvey – era piena di bombe all'iprite, che scatenarono nelle acque e nel cielo della città un'onda di sostanze che bruciavano la pelle, intossicavano il sangue e distruggevano i polmoni. La strage chimica venne tenuta segreta per esplicito ordine di Winston Churchill.
Le bombe americane inesplose furono recuperate e trasferite a Molfetta: la prima di tante operazioni misteriose, proseguite per mesi e mesi. Gli ordigni si sono dispersi nei fondali, disperdendo il veleno in una vasta zona. Spesso finivano nelle rete dei pescatori: tra il 1946 e il 1995 ben 232 persone sono state vittime dei gas. Il male invisibile si è diffuso nella flora e nella fauna sottomarina, come ha dimostrato nel 1996 la ricerca dell'Icram coordinata dal professor Ezio Amato: sono state riscontrate persino mutazioni genetiche in alcuni pesci rimasti a contatto dell'iprite.
Come ha dichiarato il professor Amato: «I pesci dell'Adriatico sono particolarmente soggetti all'insorgenza tumori, subiscono danni all'apparato riproduttivo, sono esposti a vere e proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi». Monitorando un rettangolo di cinque miglia per due al largo di Molfetta gli esperti hanno individuato ben 102 “possibili ordigni”. Solo sedici sono stati ispezionati e undici erano proprio bombe all'iprite.
Stando alle denunce dei comitati locali, questo mostro è stato risvegliato proprio dai lavori per il nuovo porto. Il cantiere è partito a grande velocità alla fine del 2007, con una bonifica dei fondali altrettanto rapida. Nei mesi successivi i pescatori hanno cominciato a segnalare la presenza nelle reti di liquidi misteriosi, che provocavano svenimenti e le ferite tipiche dell'iprite. Analisi effettuate sul sangue dei pescatori hanno accertato la presenza di sostanze provenienti dalle testate belliche delle armi chimiche come lewsite, adamsite e arsenico.
A quel punto è intervenuta la Marina Militare, con una campagna di bonifica affidata ai sommozzatori del Comsubin: in meno di due anni hanno neutralizzato 68 mila ordigni d'ogni genere, incluse una «piccola percentuale» di testate chimiche. Distinguere però un proiettile e una bomba chimica da quelle caricate con normale esplosivo è difficile, se non impossibile. Gran parte delle 68 mila bombe sono state fatte esplodere in mare, ripulendo però un'area di soli 250 mila metri quadrati a ridosso del porto.
Mentre le discariche più grandi e pericolose sono segnalate a circa 35 miglia dalla costa. Di fronte a Torre Gavettone, uno dei siti più suggestivi del litorale, c'è un cimitero di ordigni imprigionati in una colata di cemento: nonostante i divieti di balneazione e persino di sosta, ogni estate la zona è affollata di bagnanti, incuranti del rischio chimico.
La caccia all'arsenale sottomarino continua. L'elenco delle munizioni neutralizzate nei primi sei mesi del 2012 è lungo quindici pagine. C'è di tutto: razzi, mine, bombe d'aereo e da mortaio. E i pescatori continuano a denunciare malattie e tumori senza spiegazione, che colpiscono all'improvviso persone giovani e sane. Le loro segnalazioni sono confluite nelle istanze del Comitato nazionale bonifica armi chimiche (www.velenidistato.it), che cerca invano l'attenzione del Parlamento e dei governi per fare luce sugli arsenali letali sepolti nel mare e nei terreni di tante località italiane, da Pesaro al Lago di Vico, da Ischia a Melegnano. http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/10/07/news/armi-chimiche-il-mostro-di-molfetta-1.136699
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