tratto da https://ambientenonsolo.com/bioeconomia-e-territori/
Bioeconomia e territori
Recensione di Franco Pistono
Bioeconomia e territori: oltre la crescita, a cura di Margherita Ciervo, edito da SdT Edizioni, è un saggio a più mani, liberamente scaricabile, che ho letto volentieri, facendo esperienza del pensiero di Nicholas Georgescu-Roegen, che mai avevo indagato.
Lo studioso viene più volte citato (sono poco meno di 400 le ricorrenze, nel testo) e, con lui, le teorie e meditazioni di cui è padre.
Come spesso ho l’abitudine di fare, partirò dal fondo, occupandomi dell’ultimo capitolo, dal titolo “Il (non) Manifesto della Bioeconomia”.
La curatrice ci informa che “un’economia sostenibile e circolare non richiede soltanto flussi rinnovabili, ma una compatibilità e integrazione fondativa tra velocità/densità dei flussi nella tecnosfera e capacità/velocità di ricircolo di materia e di rigenerazione dei fondi nella biosfera” e procede a declinare ciò che non può dirsi bioeconomia.
Dieci i punti, a valle dei quali, appare la definizione, in positivo: “un’economia in armonia con la vita e le leggi della natura”.
Mi sposto così all’inizio del libro, isolando la premessa: l’umanità si trova dinanzi a una profonda crisi ecologica, che Ciervo denomina Capitolocene, puntando il dito sul sistema capitalista, con i suoi “connessi meccanismi di sfruttamento, mercificazione e messa a profitto del vivente, nonché delle logiche delle forme di produzione che si sono imposte a scala globale”.
Questa condizione fa sì che, di fatto, molte attività siano fondate sui dogmi della crescita e della competizione (con aggiunta del culto della digitalizzazione) come soluzioni ultime ai problemi; da qui, l’esigenza di riscoprire il pensiero di Georgescu-Roegen, critico nei confronti di questo approccio e attento, viceversa, a “sottolineare l’origine biologica dei processi economici e chiarire che l’esistenza dell’umanità deve fare i conti con la limitatezza delle risorse, localizzate e distribuite in modo diseguale”.
Egli ritiene che sia saggio e necessario non inseguire la crescita, ma pianificare la diminuzione, ovvero la decrescita. A chi sollevasse la mano, dicendo “giammai!” nel timore di tornare all’età della pietra, faccio presente che l’idea esposta non va in quella direzione, bensì di un approccio “sano” capace di ridurre “quella parte di produzione legata agli aspetti più deleteri del consumismo: sprechi energetici e materiali, obsolescenza programmata, progettazione che rende impossibile o economicamente svantaggiosa la riparazione, utilizzo di materie prime inquinanti e non rinnovabili, mode stravaganti e frivole, ecc.”.
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