Da ormai due settimane la nostra nave Esperanza, partita da Diego Suarez in Madagascar, sta instancabilmente solcando l’Oceano Indiano per fermare la pesca distruttiva di Thai Union, proprietaria anche del marchio italiano Mareblu. Dal 2012 a oggi, è la terza spedizione di Greenpeace in questi mari. E dalla prima volta a oggi la situazione è purtroppo peggiorata.
Le flotte che operano nell’Oceano Indiano infatti pescano sempre di più, e per giunta con sistemi non sostenibili come i FAD (sistemi di aggregazione per pesci), che stanno mettendo a rischio non solo le popolazioni di tonno, ma tutto l’ecosistema marino. Si stima che nel 2013 siano stati messi in mare tra gli 80 e i 120 mila FAD, mentre le catture accessorie o “by-catch” potrebbero superare le 100 mila tonnellate: si tratta di migliaia di esemplari giovani di tonno e altre specie, come gli squali, catturati indiscriminatamente dalle reti dei mega pescherecci industriali, e troppo spesso ributtati in mare senza vita.
Solo pochi mesi fa il Comitato Scientifico della Commissione per la pesca al tonno nell’Oceano Indiano (IOTC) ha ufficialmente sancito che in queste acque il tonno pinna gialla è ormai sovrapescato e sovrasfruttato. È ora di cambiare rotta, e questo deve avvenire anche in Italia, tra i più grandi produttori e consumatori al mondo di tonno in scatola, nonché mercato in cui si predilige la famosa varietà pinna gialla. Come si può non capire che insistendo con metodi di pesca eccessiva e distruttiva non ci sarà un futuro né per i nostri oceani né per le aziende stesse?
Per questo abbiamo deciso di entrare in azione proprio “sul luogo di pesca” di Thai Union: per vedere, documentare e fermare le pratiche di pesca che stanno distruggendo i nostri oceani. In queste due settimane abbiamo inattivato e rimosso i FAD che abbiamo incontrato lungo la nostra navigazione, quasi tutti di proprietà di pescherecci che riforniscono Thai Union, e quindi Mareblu in Italia. E, analizzandoli, abbiamo scoperto che nessuno di loro è di “nuova generazione” o biodegradabili, come riportato dalla stessa Mareblu sul suo nuovo sito internet.
La verità è che, nonostante quanto promesso da Mareblu nel 2012, i FAD non sono affatto scomparsi dalle sue produzioni, mentre l’unica cosa che sembra essere sparita nel frattempo dalle pagine del suo sito è proprio l'impegno preso quattro anni fa.
A oggi oltre 300 mila persone in tutto il mondo hanno chiesto a Thai Union, e a tutti i suoi marchi, di impegnarsi per una pesca equa e sostenibile. Ma il colosso del tonno in scatola, anziché sviluppare una politica globale che dia precise garanzie di sostenibilità ambientale e sociale in tutte le sue produzioni, ha finora fatto ben poco.
Noi siamo già in azione nell'Oceano Indiano, ma per cambiare l’industria del tonno abbiamo bisogno anche del tuo aiuto! Segui la nostra spedizione e chiedi a Mareblu di mantenere le sue promesse suwww.tonnointrappola.it
Siamo stufi di tante parole e belle pubblicità: Mareblu, è ora di passare ai fatti!
Giorgia Monti, responsabile campagna Mare http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/lesperanza-nelloceano-indiano-a-caccia-di-fad/blog/56406/
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