Andrea
Giambartolomei
Torino
Sulle
morti e le malattie provocate
dall’amianto
all’Olivetti la
procura
di Ivrea va a fondo. Ieri
mattina
i pubblici ministeri Lorenzo
Boscagli
e Laura Longo hanno
firmato
la richiesta di rinvio a giudizio
per
33 indagati e chiesto l’a rchiviazione
per
cinque persone (un
indagato
è morto nei giorni scorsi).
“Il
vaglio fatto dalla Procura della
Repubblica
di Ivrea, alla luce delle
memorie
difensive presentate, non
ha
consentito di effettuare una richiesta
di
archiviazione se non per
posizioni
marginali”, ha dichiarato
il
procuratore capo Giuseppe Ferrando.
Nei
prossimi giorni il gip
Alessandro
Scialabba dovrebbe fissare
una
data per l’udienza preliminare.
I
DIFENSORI NON HANNO ancora
informazioni
per i loro clienti, ma
da
quanto trapelato risulterebbe che
la
richiesta di rinvio a giudizio sia
arrivata
per l’ex presidente Carlo De
Benedetti,
il fratello Franco Debenedetti
e
il figlio di Carlo, Rodolfo (a
capo
della Cir), di Corrado Passera
(ad
dal 1992 al 1996) e di Roberto
Colaninno
(successore di De Benedetti
a
Ivrea). Colaninno e Marco
De
Benedetti sarebbero indagati solo
per
lesioni colpose, mentre tutti
gli
altri dovranno rispondere anche
dell’accusa
di omicidio colposo plurimo.
Sono
13 i casi di ex dipendenti della
Olivetti
morti per mesotelioma, carcinomi
e
asbestosi, patologie provocate
dall’amianto,
mentre due
persone
convivono con questi mali.
L’Olivetti
non era come l’Eternit di
Casale
Monferrato,
ma
l’amianto era
presente.
Fino al
1986
gli operai lo
trovavano
come talco
per
assemblare le
parti
in gomma e in
metallo
oppure per
far
scorrere i fili
elettrici
nelle macchine.
Lo
si trovava
pure
in lastre e rivestimenti
nei
capannoni
di
San Bernardo
d’Ivrea,
di Scarmagno o
Aglié,
o nei controsoffitti nel Palazzo
Uffici,
nelle Officine H, nella
mensa
delle Officine Ico e nel Centro
Studi.
I dirigenti sarebbero stati a
conoscenza
del problema. Nei 25
faldoni
dell’indagine ci sono molti
documenti
che lo dimostrano. C'è
una
lettera dell’ingegnere Piero
Abelli,
ex capo del Servizio ecologia
e
sicurezza sul lavoro, che esprimeva
i
suoi timori sull’eventuale intervento
della
giustizia: “In merito al piano
di
togliere l’amianto dalle Officine
H,
faccio osservare che a fronte di
un
sopralluogo, certo, della Usl 24,
ci
troviamo con metà
officina
occupata
e
con la finitura
d’amianto
non in
buono
stato. Questo
pone
il grosso rischio
di
una segnalazione
alla
Magistratura.
Riflettiamo”.
L’ingegnere
Abelli,
deceduto,
conosceva
il problema
da
tempo, come
lo
conosceva il suo
predecessore,
Maria Luisa Ravera
(indagata
in questa inchiesta) e lo
conoscevano
pure i sindacati che
negli
anni Ottanta avevano denunciato
pubblicamente
la questione.
Eppure
qualcuno non ha rimediato:
sarebbe
una “colpa consistita in negligenza,
imprudenza
e imperizia e
comunque
nell’omessa adozione
delle
misure e della necessaria vigilanza”,
scrivevano
i pm Boscagli e
Gabriella
Viglione, nell’avviso di
conclusione
delle indagini di fine
settembre.
IERI
UN PORTAVOCE di
Carlo De
Benedetti
ha fatto sapere che “per
quanto
di sua competenza, nel periodo
di
permanenza in azienda,
l’Olivetti
ha sempre prestato la massima
attenzione
alla salute e alla sicurezza
dei
lavoratori, con misure
adeguate
alle normative e alle conoscenze
scientifiche
dell’epoca”. Il
suo
successore Colaninno ha dichiarato
che
dal settembre 1996
“non
è mai stata portata alla mia
attenzione
alcuna problematica relativa
alla
presenza di amianto nei
luoghi
di lavoro”.
il fatto quotidiano 20 dicembre 2014
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