PER
L’ACCUSA
I
periti nominati dalla
Procura
sostenevano
che
i decessi fossero
causati
dai coloranti
usati
nel reparto
tinteggiatura
Lucio
Musolino
Reggio
Calabria
Tutti
assolti e che le
morti
bianche riposino
in
pace e con
pochi
spiccioli di risarcimento
ai
familiari. Dopo
10
ore di camera di consiglio, si
è
concluso ieri sera il processo
“Marlane”
che vedeva tra i 13
imputati
anche Pietro Marzotto,
il
conte di Valdagno ed ex
presidente
del gruppo che gestiva
l’impianto
tessile di Praia
a
Mare, nell'alto cosentino.
Una
fabbrica dei veleni che, secondo
l’accusa,
ha provocato la
morte
di 107 persone, tra cittadini
e
dipendenti dell'azienda,
per
l'inquinamento dei terreni
e
delle acque e a causa delle
procedure
adottate per la colorazione
dei
tessuti e per lo
smaltimento
dei rifiuti speciali.
Stando
alla ricostruzione
della
Procura, infatti, un centinaio
di
operai sarebbero
morti
per i tumori provocati
dall'inalazione
dei vapori
emessi
nella lavorazione dei
tessuti.
IL
TRIBUNALE DI PAOLA ha
assolto
tutti nonostante una
pesante
perizia disposta dalla
Procura
che avrebbe dimostrato
il
legame tra i fumi respirati
all'interno
dell'azienda e i decessi.
Con
la delusione del comitato
contro
la Marlane e delle
parti
civili, si chiude così un
processo
arrivato in aula dopo
un
decennio di indagini e dopo
innumerevoli
rinvii delle
udienze.
Una
vicenda iniziata nel 1999
quando
il primo filone dell’in -
chiesta
aperto dalla Procura
della
Repubblica di Paola cercò
di
comprendere il perché, in
una
delle principali aree industriali
calabresi,
ci fosse un così
alto
tasso di tumori. Alcuni dipendenti
della
Marlane avevano
denunciato
una situazione
allarmante
e addebitavano le
morti
dei colleghi alle pessime
condizioni
di lavoro in cui erano
costretti
ad operare all'interno
dello
stabilimento tessile.
L’INCHIESTA
SI STAVA are -
nando
nell'archivio del palazzo
di
giustizia quando, nel 2006, i
vertici
della Procura ripresero
in
mano il fascicolo che ha portato
al
processo concluso ieri
con
l'assoluzione degli imputati
accusati
a vario titolo di omicidio
colposo
plurimo, lesioni
gravissime
e disastro ambientale.
Oltre
a Marzotto, per il
quale
erano stati chiesti 6 anni
di
carcere, è stato assolto l'ex
sindaco
di Praia Carlo Lomonaco,
un
tempo responsabile
del
reparto tintoria della Marlane.
Nei
suoi confronti i pm
avevano
chiesto 10 anni reclusione.
“È
finito un incubo. In questo
momento
non ho altre parole”.
È
l'unico commento di Lomonaco
che
ha partecipato a tutte
le
udienze del processo così come
i
componenti del comitato
contro
la “fabbrica dei veleni”.
Fuori
dal tribunale, tutto il
giorno,
è stato affisso uno striscione
che
chiedeva “verità per
le
morti della Marlane. Processo
e
bonifica. Fate presto”. Uno
striscione
staccato in silenzio
dopo
la lettura della sentenza.
Così
come i tanti manifesti funebri
con
i nomi degli operai
che
si sono ammalati.
Per
le loro morti sono stati assolti
anche
Silvano Storer, ex
amministratore
delegato del
gruppo,
e Jean De Jaegher, consigliere
dell’associazione
europea
delle
industrie tessili e presidente
della
Marzotto Usa dal
1995
al 1998.
“Non
ci aspettavamo questa
sentenza.
– dice Francesco Cirillo,
componente
del comitato
– Questo
non era un processo
indiziario.
C'erano prove evidenti
con
operai che si sono autoaccusati
di
aver sotterrato i
veleni
di quella fabbrica. Noi
continueremo
perché quello
che
è successo alla Marlane è
palese”.
Lo racconta Luigi Pacchiano,
uno
di quegli operai
che
oggi lotta con un tumore:
“Ho
lavorato alla Marlane dal
1969
al 1995 e sono un sopravvissuto.
In
fabbrica si lavorava
senza
nessuna norma di sicurezza
o
misura di protezione. In
tanti
anni non ho mai visto un
ispettore
o un sopralluogo. Mi
sono
ammalato per colpa dell'azienda
e
l'Inail mi ha riconosciuto
la
malattia professionale”.
E
se per l'avvocato Giancarlo
Pittelli,
difensore di uno degli
imputati,
“la sentenza rende
giustizia
rispetto a un caso che è
stato
oggetto di strumentalizzazione”,
Fulvio
Aurora, di
Medicina
democratica, ricorda
il
processo Eternit: “Il mese
scorso
abbiamo gridato vergogna.
Oggi
davanti ad altri 100
morti
credo che non ci sia altro
da
dire se non il fatto che non
c'è
giustizia. Ricorreremo in
appello”.
“PRENDIAMO
ATTO della
decisione
dei
giudici e della circostanza
che
gran parte delle
parti
civili sono state risarcite”
ha
commento il procuratore
Bruno
Giordano che non si sbilancia
sul
ricorso in appello:
“Leggeremo
con molta attenzione
le
motivazioni della sentenza.
Solo
dopo decideremo il
da
farsi”.
“È
strano – ha dichiarato Rodolfo
Ambrosio,
l’avvocato di
Legambiente,
parte civile nel
processo
–perché le vittime sono
state
anticipatamente pagate
con
un indennizzo. Come si
fa
a pagare un risarcimento e
poi
assolvere qualcuno che è
causa
di quel risarcimento danni?”.
il fatto quotidiano 20 dicembre 2014
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