ALLA
VIGILIA DELLE NOMINE DI STATO, ARRIVA LA SENTENZA
DEL
TRIBUNALE DI ROVIGO NEL PROCESSO AI VERTICI DELL’ENEL
PRESENTI
E PASSATI PER LA CENTRALE DI PORTO TOLLE
OMISSIONE
Per
i giudici
i
manager hanno
creato
le condizioni
per
il disastro, evitando
di
installare dispositivi
anti-
emissioni
di
Thomas
Mackinson
Tre
anni di carcere a
Paolo
Scaroni e
Franco
Tatò e cinque
anni
d'interdizione
dai
pubblici uffici. Assolto per
“mancanza
dell'elemento soggettivo”
l'attuale
amministratore
dell’Enel
Fulvio Conti. A Rovigo
è
arrivata ieri la sentenza
sulla
centrale a olio Enel di Porto
Tolle,
il primo processo in
Italia
per inquinamento collegato
al
pericolo per la pubblica
incolumità
in relazione alle malattie
respiratorie.
E il verdetto è
un
macigno, da molti punti di
vista.
Il premier Matteo Renzi
dice
“Rispettiamo le sentenze
della
magistratura”, così ha risposto
sibillino
a chi gli chiedeva
se la
condanna di Scaroni (in
quanto
ex ad di Enel) inciderà
sull'imminente
giro di nomine
nella
società pubbliche, tra le
quali
l’Eni, che Scaroni guida da
nove
anni. La condanna dei manager
non
comporta un'automatica
causa
d'ineleggibilità e
tuttavia,
a sole due settimane
dal
rinnovo, li può rendere “im -
presentabili”.
La senatrice veneta
Laura
Puppato (Pd), a pochi
minuti
dalla lettura del dispositivo,
cannoneggiava:
“Sia
chiaro
a chi nominerà i prossimi
dirigenti
che i nomi di Scaroni
e Tatò
non sono più disponibili”.
Tatò,
da pochi mesi ex
presidente
Parmalat, non è nel
totonomine
per le partecipate, a
differenza
di Scaroni che aspira
al
quarto mandato all’Eni. Politica
a
parte, quello che conta è
l'esito
del processo. Per trent'anni
la
centrale ha “marciato”
a
“olio pesante” sforando i limiti
di
legge dei particolati inalabili
grazie
a compiacenti deroghe
ministeriali.
Le tenaci popolazioni
del
Polesine sono state costrette
ad una
lunga battaglia
contro
l’Enel, spalleggiato da
politica,
sindacati, istituzioni
locali
e governi.
PER
FAR EMERGEREla verità
c'è
stato
bisogno dell'intervento
della
magistratura che già quattro
anni
fa, nel processo è celebrato
ad
Adria, ha riconosciuto
colpevoli
i massimi dirigenti
dell'Enel
di aver deliberatamente
aggirato
le disposizioni di legge.
Tatò
e Scaroni sono stati
condannati
per emissioni moleste,
danneggiamenti
e violazione
della
normativa sull'inquinamento
per il
periodo dal 1996 al
2004:
la Cassazione conferma la
condanna
nel 2011, quando il
reato
era prescritto (restano le
conseguenze
patrimoniali che la
Corte
d'Appello civile di Venezia
sta
quantificando).
Dalla
coda del processo, sempre
per
impulso del pm Manuela
Fasolato,
è partito il cosiddetto
“Enel
bis”, relativo ai danni prodotti
per il
periodo successivo fino
al
2009. Vengono disposte le
perizie
che alzano il tiro ipotizzando
l’esistenza
di un nesso
causale
tra le emissioni in eccesso
e
l'aumento di malattie respiratorie
riscontrate
specie sui
bambini.
La sentenza di ieri
condanna
Tatò e Scaroni per disastro
ambientale
doloso, art.
434
del codice penale, ma solo
per il
primo comma. Tradotto: il
giudice
ha ritenuto provati i
comportamenti
illeciti che creavano
le
premesse del disastro
ambientale
ma non l’aumento
dei
ricoveri in ospedale conseguenti.
Il
collegio accoglie la tesi
per
cui l'inquinamento si è protratto
anche
successivamente
alla
gestione dei singoli imputati.
I
manager avrebbero creato le
condizioni
stabili per il disastro
omettendo
di installare dispositivi
di
abbattimento delle emissioni
e
lasciando per ultima la
centrale
nel piano di ambientalizzazione.
Così
è caduta l'ipotesi
prescrizione
sostenuta ancora
ieri
dai legali di Enel.
SCARONI
si dichiara estraneo
agli
addebiti e annuncia ricorso
in
appello. Lo stesso fa Tatò che
considera
la sentenza “assurda”.
Soddisfatto
dell'assoluzione
l’attuale
ad Enel, Fulvio Conti.
Esultano
le associazioni ambientaliste,
parte
civile nel processo.
“Finalmente
chi inquina
paga”,
dice Giuseppe Onufrio
(Greenpeace)
mentre si leva un
coro
per fermare il processo di
conversione
a carbone. Il legale
di
Italia Nostra e Wwf, Matteo
Ceruti,
nota che assolvendo
quadri
e direttori di centrale il
collegio
ha accolto la tesi dell'accusa
sulle
responsabilità dei vertici.
E che
ora si impone la verifica
delle
conseguenze sanitarie
sulla
popolazione residente
nonché
l'accertamento di quelle
patrimoniali
per danni ambientali
e
costi sanitari. Una perizia
Ispra
disposta dall'Avvocatura
dello
Stato li quantifica in 3,6
miliardi.
Scaroni e Tatò sono
condannati
a pagare provvisionali
per
circa 430 mila euro.
il fatto quotidiano 1 aprile 2014
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