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mercoledì 5 marzo 2014
ENERGIA Attenti alle profezie sulla fine del petrolio
non sono affatto d'accordo con le analisi riportate come critiche nel libro. Per lo meno in generale. Ho sempre sostenuto che il pianeta terra è in evoluzione, con il suo ecosistema alla ricerca continua di un equilibrio come qualsiasi essere vivente. Il petrolio è certamente responsabile di inquinamento e malattie così come il motore di un progresso che sta scoprendo tutti i suoi risvolti negativi, come qualsiasi tecnologia abusata. E spesso utilizzata per scopi e modi disumani. Interessante però l'analisi sul fatto che anche petrolieri o comunque fautori dell'impossibile progresso continuo si rendano conto che un certo tipo di finta energia rinnovabile (come centrali a biogas e biomasse) non servono
NUOVE ENERGIE
di Giuseppe Recchi
Marsilio, pagg. 160,
profeti della decrescita felice, quelli che vorrebbero
tutti i Paesi occidentali con gli standard
di consumo del Benin, dovrebbero dare un’occhia -
ta a “Nuove energie”, il libro che Giuseppe Recchi
ha scritto dopo il suo primo mandato come presidente
dell’Eni. Recchi è un manager, viene da una
famiglia di costruttori torinesi e ha lavorato a lungo
alla General Electric, scelto da JackWelch che
voleva un uomo d’industria per “vendere denaro
agli imprenditori”. Nei tre anni che ha passato all’Eni
ha visto la rivoluzione dello shale gas, quello
che gli Stati Uniti hanno imparato a estrarre dalle
rocce sconvolgendo il mercato dell’energia mondiale
(e per l’Eni sono guai miliardari, visto che si
era assicurato contro eventuali aumenti del prezzo,
invece che contro il suo crollo,
con onerosi contratti con la Russia).
Nel suo libro Recchi dimostra
come le profesie dei malthusiani
di ogni epoca si siano rivelate parecchio sbagliate,
gli apocalittici sottovalutano sempre la capacità
dell’economia di ricalcolare i prezzi relativi (l’olio
di balena è troppo costoso? inventiamoci un modo
più semplice di illuminare le case). Dal 1956 i seguaci
della teoria di Marion King Hubbert aspettano
il “peak oil”, quando gli investimenti per
estrarre petrolio non sono più remunerativi e la
produzione smette di crescere. E invece il picco
non arriva, perché, come spiega Recchi, estrarre
petrolio è più simile all’agricoltura che alla raccolta
di frutta dagli alberi, si fanno investimenti e si ottengono
risultati non sempre facili da prevedere.
Lo shale gas ha stravolto la geografia dell’e n e rg i a ,
ha riportato l’industria negli Stati Uniti e li ha messi
in condizione di esportare gas, con la facoltà di
usarlo come strumento geopolitico. La storia dell’energia
è la storia del nostro sviluppo, la quantità
di risorse nel mondo è finita (almeno per gli idrocarburi),
ma il loro utilizzo è una scelta molto politica.
In Europa il gas col prezzo legato al mercato
spot, cioè a oscillazioni quotidiane invece che a
contratti lunghi, è passato dal 15 al 50 per cento tra
2005 e 2013. Il prezzo scende, ma sale l’incer -
tezza. In un contesto che cambia così in fretta, fare
le scelte politiche sbagliate può essere molto pericoloso.
Ha ancora senso, per esempio, spendere
12-13 miliardi all’anno per finanziare le cosiddette
energie verdi non competitive in un momento di
sovrabbondanza di offerta? In Italia, purtroppo, di
questi temi si discute soltanto tra specialisti. Il fatto quotidiano 5 marzo 2014
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