CINIGIANO. Il Tribunale del riesame aveva disposto la revoca del sequestro preventivo dell’impianto e delle somme; la Cassazione aveva poi dichiarato inammissibile il ricorso dei pm. Ma la Procura ritiene che via siano spazi e argomenti per un processo nei confronti dei presunti responsabili di una truffa da 2,5 milioni ai danni di Gse, il Gestore dei servizi energetici, che sarebbe stata messa a segno con l’impianto di Camona a Santa Rita.
Così al termine delle indagini di Digos e corpo forestale (tra l’altro anche con un consitente apporto di intercettazioni, da 45mila euro) è stato chiesto il giudizio nei confronti dei tre indagati iniziali ma anche di altri cinque. Insieme a Marzio Scheggi (presidente di Cinigiano Agri Power Plus fino all’ottobre 2013), Andrea Salzillo (direttore dei lavori e responsabile dell’impianto) e Giovanni Di Meo (amministratore delegato tra il 2012 e il 2014 e consigliere di Renewex proprietaria di quote di Cinigiano Agri Power) ci sono adesso anche Nicolò Marzano, presidente del cda di Cinigiano Agri Power dal marzo 2014, Antonio Pinto e Biagio Vallefuoco, componenti del cda di Renewex e comunque co-amministratori di fatto di Cinigiano Agri Power, Alessandro Metz, componente del cda di Cinigiano Agri Power, Giancarlo Batignani, il professionista redattore della relazione tecnica per il Programma aziendale pluriennale di miglioramento agricolo ambientale. Anche la Cinigiano Agri Power è indagata, per l’illecito amministrativo.
Scheggi, Salzillo, Di Meo, Marzano, Pinto, Vallefuoco, Metz e Batignani devono rispondere di truffa per tutta una serie di condotte ritenute illecite dai pm Alessandro Leopizzi e Salvatore Ferraro, dalla presentazione alla Provincia dell’autorizzazione unica alle false attestazioni sull’alimentazione dell’impianto; dalla richiesta di riconoscimento di qualifica di impianto a fonti rinnovabili alla falsa attestazione di entrata in esercizio; dalla conclusione lavori per una parte dell’impianto alla richiesta di proroga per la messa a regime non comunicata a Gse.
Secondo l’accusa l’impianto sarebbe stato alimentato con digestato liquido per 2.000 tonnellate (che arrivavano anche da Biogas Merse Siena) e con biomasse esterne per 9.000 tonnellate (dalla Pianura padana, da Foggia e da varie località toscane); quantità non prodotte nella medesima azienda agricola, per oltre il 50%, così da incidere sulla qualità di imprenditore agricolo della società. Contestata anche la dichiarazione di autoproduzione di 15.570 tonnellate di biomasse aziendali (la produzione reale sarebbe stata di 4.290). Le biomasse sarebbero arrivate da ben oltre i 70 km della filiera corta: sarebbero state fatte arrivare al Consorzio agrario e poi girate al Camone con documenti intestati al Consorzio. Gli amministratori avrebbero poi chiesto a Gse, ogni mese, l’erogazione di incentivi e delle somme dovute per la produzione di energia. Avrebbero così ingannato la Provincia e Gse. Il tutto fino al giugno 2015.
Inoltre, Salzillo,
Di Meo e Marzano devono rispondere degli scarichi abusivi di acque reflue industriali, che finivano nell’Orcia. A breve si terrà l’udienza preliminare.
Un procedimento analogo è stato formato per Scheggi e Alessandro Cinughi De Pazzi in relazione all’impianto di Istia d’Ombrone.
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