Pontinia (LT) dall'ambiente, alla difesa dei diritti civili e sociali, dalla politica alla tecnica. Si riportano stralciriportandone autori. Nota: qualora si ritenga la pubblicazione (o i commenti) siano lesivi o notizie superate si prega di comunicarlo con mail giorgio.libralato@gmail.com e saranno rimossi. Oppure allo stesso modo si può esercitare il diritto di replica. Qualora si ritenga che una pubblicazione o parte di essa ledano i diritti di copyright o di autore saranno rimossi
giovedì 25 giugno 2015
È più pericoloso il clima o un incidente stradale? L’a c c o rd o Dopo il flop di Copenaghen 2009, a dicembre i leader internazionali si riuniscono a Parigi. Con basse aspettative
CAMBIAMENTI CLIMATICI
Cresce l’evidenza scientifica,
ma sembra che a nessuno
importi. Perché non abbiamo
termini di paragone
EVENTI IMPONDERABILI
Sappiamo stimare
la probabilità di morire
alla guida, ma non quella
della rivolta della natura Il libro
l La politica
de l
ca m bi a me nto
cl i m at ico
Anth o ny
Giddens
Pagine: 288
Prezzo: 20
Editore: Il
Saggiatore - E f fet t i
r i moss i
Il deserto
della Namibia;
a m bie nt a l i st i
nel 2009 a
C op e n ag he n
La Pre ss e - Chi è
ANTHONY
GIDDENS
Nato a Londra
nel 1938,
A n t h o ny
Giddens è
co n s i d e ra to
uno dei più
impor tanti
sociologi
viventi. È
celebre per
essere il
teorico della
“terza via”,
la base
ideologica
della sinistra
inglese di
Tony Blair
negli anni
N ova n t a .
Insegna al
Kings College
di Cambridge
ed è
p ro fe ss o re
emerito alla
Lo n d o n
School of
Eco n o m i c - L ectio
M a g i st ra l i s
Oggi alle 19,
presso la
Fo n d a z i o n e
Pini in corso
Garibaldi 2 a
M i l a n o,
At h o ny
Giddens terrà
una lezione da
cui è tratto il
testo che
pubblichiamo
per gentile
co n ce ss i o n e
del
S a g g i a to re .
Proprio per il
S a g g i a to re
Giddens ha
pubblicato “La
politica del
c a m b i a m e n to
c l i m a t i co” e
“Potente e
turbolenta”;
un saggio
sull’Unione
e u ro p e a . - » ANTHONY GIDDENS quando sette o otto anni fa ho
pubblicato la prima edizione
del mio libro La politica del
cambiamento climatico,
molti erano ottimisti sul fatto
che i Paesi del mondo si sarebbero
alleati tra loro e avrebbero
concordato e organizzato
iniziative per ridurre
le emissioni di anidride
carbonica che provocano il
riscaldamento globale. Nel
2009, sotto l’egida delle Nazioni
Unite, si è tenuto un importante
incontro internazionale
per cercare di raggiungere
degli accordi globali
sulla limitazione delle emissioni
di anidride carbonica.
Vi hanno preso parte
115 leader mondiali, compresi
il presidente Obama e Hillary
Clinton. Il luogo prescelto
era in Europa: Copenaghen,
una sede significativa
in quanto l’Unione europea
si considerava capofila
nell’elaborazione delle politiche
attive sul cambiamento
climatico.
AL L’ULTIMO MINUTO, un
gruppetto di capi di Stato si è
riunito per stilare un breve
documento, l’Accordo di Copenaghen,
che alla fine è stato
sottoscritto dalla maggior
parte dei Paesi presenti alla
conferenza. L’Accordo ha avuto
un impatto minimo, se
non inesistente, sulle emissioni
globali. I successivi incontri
dell’Onu si sono dimostrati
irrilevanti. Che cosa è
successo da allora? Abbiamo
compreso più a fondo i fattori
che provocano il riscaldamento
globale e le probabili
conseguenze di quest’u lt imo.
Gli ultimi studi della Nasa,
l’agenzia spaziale americana,
che monitorano il livello
di biossido di carbonio e di
altri gas serra nell’atmosfera,
dimostrano che il 2014 è stato
l’anno più caldo a livello globale
dal 1880, quando ebbero
inizio le misurazioni. A parte
il 1998, i dieci anni più caldi
finora documentati si sono
registrati tutti dal 2000 in
poi.
Con ogni probabilità il riscaldamento
globale provocherà
un numero crescente
di eventi atmosferici estremi
in tutto il mondo, tra cui il
peggioramento della siccità
in alcune zone e inondazioni
e tempeste in altre. Gli scettici
del cambiamento climatico
(quelli che dubitano persino
che il fenomeno sia in atto
o che reputano minime le
sue conseguenze) credono
che la Terra sia resistente e
inattaccabile. Niente di ciò
che possono fare gli esseri umani
è in grado di influenzarla
più di tanto. Gli ambientalisti
tendono a considerare
gli ecosistemi terrestri intrinsecamente
fragili e ritengono
che le attività umane li
danneggino. Tuttavia, in merito
a ciò che stiamo facendo
alla Terra esiste una terza ipotesi,
ancora più allarmante,
sostenuta da alcuni scienziati,
secondo i quali la natura
è come un animale selvaggio.
Noi esseri umani continuiamo
a pungolarlo con il bastone
e il risultato è che alla fine
reagirà in modo violento.
Eppure sembra che la
maggioranza dei cittadini si
preoccupi dei pericoli legati
al cambiamento climatico
meno di quanto facesse qualche
anno fa. Come mai? La
prima ragione, come sappiamo
tutti, sta nel fatto che sono
in gioco interessi enormi, soprattutto
per quanto riguarda
alcune compagnie produttrici
di combustibili fossili.
Queste ultime si sono impegnate
attivamente, almeno
in certi Paesi, in un’opera
di disinformazione, per cercare
di attenuare la consapevolezza
generale del rischio.
Su questo punto esiste una
forte somiglianza tra il cambiamento
climatico e il fumo,
dato che l’industria del tabacco
ha tentato a lungo di
nascondere le conseguenze
del tabagismo.
IL SECONDO MOTIVO è appunto
che le scoperte relative
ai pericoli del cambiamento
climatico sono filtrate dal
lavoro di circa 10 mila climatologi
in tutto il mondo. Non
dovrebbe sorprendere, allora,
che gli scettici del cambiamento
climatico, una percentuale
minima dei clima tologi professionisti, siano in
grado di esercitare un impatto
notevole sull’o pini one
pubblica. In terzo luogo, c’è
un grave problema di free-ri -
ding. Ogni nazione o gruppo
di nazioni potrebbe rifiutarsi
di agire finché non lo faranno
anche gli altri, il che è di fatto
quanto è accaduto a Copenaghen.
Infine, esistono problemi
reali di sviluppo economico.
I Paesi ricchi sono responsabili
della maggior parte delle
emissioni di gas serra nell’at -
mosfera. La loro stessa opulenza
è dovuta al fatto di avere
adottato i combustibili fossili
e altre fonti di inquinamento
climatico. Di conseguenza,
dovrebbero essere
loro ad accollarsi quasi per
intero il fardello di ridurre le
emissioni, anche a costo di
perdere la propria posizione
economica. I Paesi più poveri
dovrebbero avere le stesse
opportunità di sviluppo delle
nazioni industrializzate. Ma,
si potrebbe sostenere, la parte
ricca del mondo non può
perorare la chiusura dei percorsi
di sviluppo che lei stessa
ha seguito per crescere.
TUTTAVIA LA MOTIVAZIONE
fondamentale dello scollamento
fra le preoccupazioni
del grande pubblico e le scoperte
scientifiche non è tra
quelle citate. La ragione sta in
quello che nel ho presuntuosamente
definito “paradosso
di Giddens”: visto che nessuna
generazione prima della
nostra si è mai dovuta confrontare
con il problema del
cambiamento climatico indotto
dall’uomo, nel momento
in cui tale questione viene
messa a confronto con le più
svariate questioni mondiali,
l’opinione pubblica fatica a
considerarla un problema
reale, figuriamoci urgente.
Ogni volta che una persona
sale in macchina, siamo in
grado di prevedere quante
probabilità ci sono che rimanga
coinvolta in un incidente.
Con il cambiamento
climatico, invece, non è possibile
farlo, perché non possiamo
attingere all’esperien -
za passata. Il paradosso sta
nel fatto che, come umanità,
potremmo anche attendere
finché il potenziale distruttivo
del cambiamento climatico
diventerà inconfutabile,
ma, per definizione, a quel
punto sarà troppo tardi, poiché
– per quanto ne sappiamo
al momento – il cambiamento
è irreversibile.
A DICEMBRE si terrà un’altra
riunione dell’organo delle
Nazioni Unite per il cambiamento
climatico. Per la prima
volta dai tempi di Copenaghen
la conferenza si svolgerà
in Europa, in questo caso
a Parigi. Cercando di anticipare
l’opinione pubblica,
come in effetti devono fare, e
con le cicatrici di Copenaghen
in parte risanate, i leader
politici cercheranno
nuovamente di stipulare accordi
internazionali vincolanti
per la riduzione delle emissioni.
Quante probabilità
ci sono di ottenere ciò che
non è stato raggiunto a Copenaghen
sei anni fa? I leader
europei sono fin troppo coscienti
dell’impotenza dimostrata
l’ultima volta, e non
vorranno certo che la cosa si
ripeta.
La spinta a trovare un’in -
tesa è forte. Ma è irrealistico
aspettarsi una svolta. Anche
se verranno raggiunti degli
accordi, non c’è alcun meccanismo
per renderli vincolanti.
L’Onu è relativamente debole,
poiché non ha alcun potere
legislativo, e non esiste
alcun quadro normativo efficace a livello internazionale.
Traduzione di Francesca Cosi
© RIPRODUZIONE RISERVATA il fatto quotidiano 25 giugno 2015
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