IL
PREMIER E IL CONDANNATO
CON
RENZI AL GOVERNO, I SUOI
MONITI
SI SONO FATTI PIÙ RADI,
MA
NON MENO DISCUTIBILI E
INDECENTI.
IL 1° AGOSTO 2013 B. FU
CONDANNATO
A 4 ANNI PER FRODE
FISCALE.
POI LEI LO INVITÒ E
RICEVETTE
AL COLLE. È NORMALE?
PROCURA
DI MILANO COME
SI
È
PERMESSO DI IMPORRE AL CSM,
CON
UNA LETTERA RIMASTA
SEGRETA,
DI SBIANCHETTARE
LE
CRITICHE ALL’OPERATO DI BRUTI
LIBERATI
NELLA GESTIONE DEL
CONFLITTO
APERTO CON IL SUO
AGGIUNTO
ALFREDO ROBLEDO?
ROMA
E SICILIA QUANDO
LA
GIUNTA DEL SENATO DISCUTE
LA
DECADENZA DI B., VIOLANTE
E
ALTRI INVOCANO UNO STOP.
TRAPELA
L’APPREZZAMENTO
DA
PARTE SUA. NON S’È MAI
VERGOGNATO
DELL'INTERFERENZA?
E
IL CASO LO VOI A PALERMO?
di
Marco
Travaglio
Signor
Presidente, quando uno dei suoi migliori predecessori,
Sandro
Pertini, fu eletto capo dello Stato nel 1978,
Indro
Montanelli gli inviò il seguente telegramma: “Che
Dio
le conceda il coraggio, Presidente, di fare le cose che si
possono
e si debbono fare; l’umiltà di rinunziare a quelle che si
possono
ma non si debbono, e a quelle che si debbono ma non si
possono
fare; e la saggezza di distinguere sempre le une dalle
altre”.
È un vero peccato che Montanelli, essendo scomparso nel
2001,
non abbia potuto inviarlo anche a lei quando fu eletto nel
2006
e rieletto nel 2013. Le sarebbe senz’altro servito a evitare un
sacco
di errori, abusi di potere e deragliamenti dai confini fissati
dalla
Costituzione, che invece hanno costellato l’intero suo settennato
e
anche il post-scriptum degli ultimi 20 mesi. Manca lo
spazio
per riassumerli tutti: li troverà, nel caso in cui le servisse un
ripasso,
nel libro Viva
il Re! uscito
un anno fa. Qui ci limitiamo a
quelli
del suo secondo mandato, che da soli bastano e avanzano a
fare
di lei il peggior presidente della storia della Repubblica.
A
termine e a condizione. Lei,
il 20 aprile 2013, quando smentì ciò
che
aveva ripetutamente giurato agli italiani e accettò la rielezione
al
Colle su richiesta delle cancellerie europee, di Mario Draghi, del
governatore
di Bankitalia Ignazio Visco, ma soprattutto dei vecchi
partiti
(terrorizzati dalla candidatura di Stefano Rodotà, che
avrebbe
impedito la riedizione delle larghe intese Pd-Berlusconi,
già
peraltro bocciate dagli elettori due mesi prima), annunciò
subito
che il suo secondo mandato sarebbe stato “di scopo”, limitato
a
misteriosi “termini entro i quali ho ritenuto di poter
accogliere
in assoluta limpidezza l’invito ad assumere ancora l’incarico
di
presidente”. Sarebbe così gentile da indicarci quale articolo
della
Costituzione prevede l’elezione condizionata e temporanea
del
capo dello Stato, visto che l’articolo 85 stabilisce in
assoluta
limpidezza che “il presidente della Repubblica è eletto per
sette
anni”?
L'abbraccio
allo Statista. In
quei giorni il Corriere
scrisse
che – per
indurla
ad accettare il bis – “decisivo sarebbe stato il colloquio tra
Napolitano
e Berlusconi. Il presidente avrebbe dato atto all’ex
premier
di avere avuto, in questa difficile fase, un ‘comportamento
da
statista’. Prima del congedo, fra i due vi sarebbe stato un
lungo,
caloroso abbraccio, talmente toccante da suscitare emozione
nel
portavoce di Napolitano, Pasquale Cascella”. Dal Quirinale,
nessuna
smentita. Davvero, Presidente, bastava un sì alla
sua
rielezione per trasformare un pluriprescritto
per
reati gravissimi, plurimputato
per
concussione e prostituzione minorile
e
per corruzione di senatori, nonchè
condannato
in appello per frode fiscale,
in
un insigne “statista”?
La
Repubblica di Falò. Il
22 aprile 2013,
mentre
lei preparava il suo discorso di
reinsediamento,
i giudici di Palermo erano
costretti
da un’inaudita sentenza della
Corte
costituzionale a distruggere i
cd-rom
contenenti le quattro conversazioni
legittimamente
intercettate sui telefoni
di
Nicola Mancino, coinvolto nelle
indagini
sulla trattativa Stato-mafia. Vuole
spiegarci,
una volta per tutte, cosa contenevano
di
tanto imbarazzante per lei
quelle
telefonate, al punto da spingerla a
sollevare
un inaudito conflitto di attribuzioni
con
la Procura di Palermo per sottrarre
ai
cittadini un fondamentale elemento
di
conoscenza su un capitolo così
buio
della storia d'Italia?
Il
Discorso del Re. Lo
stesso 22 aprile 2013, nel pomeriggio, lei si
affacciò
alle Camere riunite per un discorso programmatico del
tutto
sconosciuto alla Costituzione e alle democrazie parlamentari,
tipico
dei discorsi della Corona e dei capi delle repubbliche
presidenziali.
Dopo aver giustificato il suo bis con la favola del
“drammatico
allarme” per l’“impotenza” del Parlamento a eleggere
il
suo successore (si era votato per appena due giorni, mentre
in
passato i tentativi a vuoto per l’elezione del Presidente erano
durati
anche 12 giorni), lei intimò al Parlamento di “riformare la
seconda
parte della Costituzione” in base ai “documenti dei due
gruppi
di lavoro da me istituiti il 30 marzo” (i famosi “saggi”
nominati
al di fuori del Parlamento, non si sa bene con quale
legittimità
democratica). A che titolo lo fece, visto che aveva appena
giurato
per la seconda volta di difendere la Costituzione, non
certo
di rottamarla? Non contento, lei minacciò il Parlamento che
l’aveva
appena rieletta e il governo che lei stava per formare: “Ho
il
dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità
come
quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne
le
conseguenze dinanzi al Paese... Eserciterò le funzioni fino a
quando
la situazione del Paese e delle istituzioni me lo suggerirà e
comunque
le forze me lo consentiranno”. Cioè: se e finchè fate
come
voglio io, resto e vi salvo dai guai; se mi disobbedite, me ne
vado
e vi lascio nelle peste. Si è mai reso conto che questo si chiama
ricatto
a due poteri dello Stato –il legislativo e l’esecutivo –che da
quel
momento non sono stati più liberi né sovrani di operare,
sotto
la spada di Damocle della sua minaccia?
Il
Governo del Presidente. Incurante
del popolo sovrano che appena
due
mesi prima aveva platealmente bocciato le larghe intese
(e
dell’impegno preso da Pd e Pdl con i rispettivi elettori di non
governare
mai più insieme), lei aggiunse di aver accettato la rielezione
per
propiziare un governo di “convergenza fra forze politiche
diverse”.
Ma non tutte: solo quelle dell’“appello rivoltomi
due
giorni orsono”. Cioè dei partiti che le avevano chiesto il bis
(Pd,
Pdl, Centro montiano, Lega Nord). Esclusi dunque i 5Stelle,
Sel
e Fratelli d’Italia. S’è mai reso conto che il capo dello Stato,
durando
in carica 7 anni e avendo il potere di nominare il capo del
governo
e i ministri (che durano in carica al massimo 5 anni), non
può
subordinare la sua elezione al crearsi di questa o quella maggioranza
governativa?
Appena due giorni dopo, lei incaricò Enrico
Letta,
scelto da Silvio Berlusconi in persona, cioè da colui che
aveva
perso sonoramente le elezioni con 6,5 milioni di voti in
meno.
E fece subito capire chi era il vero premier, imponendo al
Letta
travicello cinque suoi fedelissimi in altrettanti ministeri-
chiave:
Saccomanni all’Economia, Bonino agli Esteri, Cancellieri
alla
Giustizia, Giovannini al Lavoro, Quagliariello alle Riforme.
Conosce
qualche precedente simile, nella storia delle democrazie
perlamentari?
Saggi
su saggi. Il
29 maggio il governo Letta, in accordo con lei,
nominò
altri 35 “saggi” extraparlamentari, quasi tutti di stretta
obbedienza
quirinalesca, per scrivere le riforme costituzionali da
approvare
– assicurò il premier – in Parlamento “entro 18 mesi”
per
“dare immediato seguito all’impegno preso nel momento in
cui
si è chiesto a Napolitano di essere rieletto”. E, per abbreviare i
tempi,
partorì un ddl costituzionale che stravolgeva tempi e modi
dell’articolo
138 della Costituzione, quello che regola le riforme
costituzionali,
e apriva la strada a ogni possibile scassinamento
della
Carta a tappe forzate. Il 1° giugno lei diede a governo e
Parlamento
un anno per varare le riforme che le garbavano: “Di
qui
al 2 giugno del prossimo anno l’Italia dovrà essersi data una
prospettiva
nuova”, anche perchè l’esecutivo “è una scelta eccezionale
e
senza dubbio a termine”. Come lui. Il 5 giugno Barbara
Spinelli
criticò sul Fatto
l’ennesima
sua interferenza nel potere
esecutivo
e legislativo, e lei si autosmentì, definendo “ridicolo
falso”
la notizia che lei avesse “posto un termine al governo”. Poi
il
6 giugno, non si sa a che titolo, ricevette i nuovi saggi
ricostituenti
col
ministro Quagliariello, per giunta a porte chiuse. Può
dirci
quali articoli della Costituzione le consentivano quelle invasioni
di
campo?
Un
condannato al Quirinale. Il
24 giugno Berlusconi fu condannato
a
7 anni dal Tribunale di Milano per concussione e prostituzione
minorile
e sparò a palle incatenate sulla magistratura,
paragonata
a un “plotone di esecuzione”. Due giorni dopo lei
invitò
e ricevette il neocondannato “per un ampio scambio di
opinioni
sul momento politico e istituzionale”. Tutto normale,
Presidente?
Cicciobomba
cannoniere. Il
29 giugno Camera e Senato approvarono
una
mozione Sel-M5S che impegnava il governo a sospendere
l’acquisto
di cacciabombardieri F-35 dall’americana
Lockheed
fino al termine di un’indagine conoscitiva del Parlamento
sui
costi e la sicurezza dei velivoli. Lei, furibondo, il 3 luglio
riunì
il Consiglio Supremo di Difesa ed esautorò il potere legislativo:
“La
facoltà del Parlamento non può tradursi in un diritto
di
veto su decisioni che... rientrano tra le responsabilità
costituzionali
dell'esecutivo”.
Se n’è mai pentito?
Dissidente
deportata, Alfano salvato. Il
16 luglio il ministro
dell’Interno
Angelino Alfano lesse in Parlamento una relazione
piena
di bugie sul rapimento in Italia e la deportazione in Kazakhstan
di
Alma Shalabayeva –moglie di un dissidente kazako –
e
della figlioletta Alua a opera della polizia e dei vertici del
Viminale.
I
5Stelle e Sel presentarono una mozione di sfiducia individuale
contro
di lui. Il Pd di Epifani, su pressione di Matteo
Renzi,
chiese le sue dimissioni, ma poi fece marcia indietro quando
lei
monitò: “È assai delicato e azzardato invocare responsabilità
oggettive
per dei ministri”. Presidente, s’è poi accorto
dell’articolo
95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili…
individualmente
degli atti dei loro dicasteri”?
Troppa
grazia, San Giorgio. Il
1° agosto 2013 la sezione feriale della
Cassazione
presieduta da Antonio Esposito emise la sentenza definitiva
del
processo Mediaset: B. condannato a 4 anni per frode
fiscale.
Mentre il Caimano tuonava contro i giudici in un videomessaggio
eversivo,
lei monitò dalla Val Fiscalina un incredibile
elogio
per il “clima più rispettoso e disteso” che aveva accompagnato
il
verdetto e auspicò “che possano ora aprirsi condizioni
più
favorevoli” per la riforma della giustizia. I berluscones chiesero
a
gran voce la grazia presidenziale per il capo. Lei, il 2 agosto,
non
la escluse, anzi: “C’è la legge a stabilire quali sono i
soggetti
titolati
a presentare la domanda di grazia”. Poi ebbe una lunga
conversazione
telefonica col neopregiudicato. Bondi, Cicchitto e
Santanchè
intanto le rammentavano i protocolli segreti della sua
rielezione
e delle larghe intese: “pacificazione”, cioè grazia. Il 5
agosto,
di ritorno dalle ferie, lei ricevette i capigruppo Pdl Brunetta
e
Schifani venuti a chiederle la grazia e promise di “esaminare
con
attenzione tutti gli aspetti delle questioni prospettate”.
Csm
e Pg della Cassazione avviarono col suo consenso un
procedimento
disciplinare e una pratica di trasferimento per il
giudice
Esposito, imputandogli un’intervista a Il
Mattino e
ignorando
che
era stata manipolata per inserirvi riferimenti alla sentenza
su
B., mai pronunciati dal magistrato. Il 13 agosto lei diramò
una
lunga nota in cui spiegava a B. che fare per ottenere la grazia:
“presentare
una domanda”; accontentarsi di una grazia sulla “pena
principale”
(quella detentiva e non quella accessoria dell'interdizione
dai
pubblici uffici); “prendere atto” della sentenza e
rispettare
i giudici, anche se è “comprensibile” il “turbamento e la
preoccupazione
per la condanna a una pena detentiva di personalità
che
ha guidato il governo... leader incontrastato di una
formazione
politica di innegabile importanza”; sostenere lealmente
il
governo. Ripensandoci, non trova incredibile che lei,
appena
12 giorni dopo una sentenza, abbia speso tanto tempo e
tante
parole per far balenare una grazia incostituzionale a un
politico
condannato per un delitto così grave e ancora imputato in
altri
processi?
Lodo
Napolitano-Violante. A
settembre la giunta per le elezioni del
Senato
iniziò a discutere della decadenza del condannato B., prevista
in
automatico dalla legge Severino. Ma ecco farsi avanti un
plotoncino
di giuristi legatissimi al Quirinale e capitanati dal
“saggio”
Luciano Violante che invocavano uno stop in attesa che
la
Consulta e le Corti europee si pronunciassero sulla legittimità
della
Severino e della sentenza della Cassazione, per salvare il
seggio
al neopregiudicato che ricattava tutti minacciando il governo.
Lei
fece sapere di aver “letto con attenzione e apprezzamento”
il
“lodo Violante” (poi fortunatamente ignorato dalla
maggioranza
in Senato). Presidente, s’è mai vergognato di quell'ennesima
interferenza?
E, già che ci siamo: intervistato da Bruno
Vespa
per il suo ultimo libro, il ministro Alfano ha rivelato che lei,
in
un incontro a quattr’occhi nel settembre 2013, si disse “pronto
a
concedere la grazia”, anche motu proprio (cioè senza domanda),
se
B. si fosse dimesso da senatore prima che il Senato votasse la sua
decadenza
e, per soprammercato, a lanciare un appello al Parlamento
per
un provvedimento di amnistia e indulto (cosa che
fece
l’8 ottobre, fortunatamente inascoltato). Lei non ha mai
smentito.
Sono
dunque ridicole panzane quelle che lei ha poi raccontato il
20
ottobre 2013, quando definì “ridicole panzane” le notizie sulla
sua
promessa di grazia a B.?
Testimone
obtorto Colle. Da
quando, il 17 ottobre 2013, la Corte
d’Assise
di Palermo la convocò come teste nel processo Trattativa,
lei
fece il possibile e l’impossibile per sottrarsi al suo dovere di
testimoniare,
sostenendo di non aver “alcuna conoscenza utile da
riferire”
su quanto le scrisse il suo consigliere Loris D'Ambrosio
(poi
scomparso) su confidenze fattele a proposito di “indicibili
accordi”
fra Stato e mafia. Perchè allora quando il 28 ottobre 2014
si
decise finalmente a testimoniare, parlò per più di tre ore,
rivelando
importanti
fatti che aveva taciuto per vent’anni (il progetto
di
attentato mafioso contro di lei e Spadolini nel luglio ’93; il
timore
di un “colpo di Stato”; la consapevolezza dei vertici dello
Stato
che le bombe mafiose fossero finalizzate a ricattare il governo
Ciampi
per ottenere l’alleggerimento del 41-bis)?
Nessuno
tocchi Nonna Pina. Nel
novembre 2013 finì nei guai la
ministra
della Giustizia Cancellieri, indirettamente intercettata
sui
telefoni della famiglia Ligresti mentre solidarizzava con gli
amici
imprenditori plurinquisiti per il crac della Fonsai (di cui era
manager
il figlio), si metteva a loro disposizione, brigava per fare
scarcerare
Giulia Ligresti e si abbandonava a dure critiche ai magistrati.
Dinanzi
alla mozione di sfiducia di M5S e Sel e alla richiesta
di
dimissioni avanzata anche da Renzi, lei tornò a interferire,
ricevendo
la ministra e auspicando “l’ulteriore pieno
sviluppo
dell’azione di governo da lei avviata”. Letta telefonò a
Renzi:
“Ho sentito il presidente della Repubblica, ti chiediamo di
ritirare
la tua richiesta”. E l’indecente ministra si salvò, come
Alfano.
Signor Presidente, che cos’è per lei il Parlamento?
Parlamento
abusivo, dunque è ok. Il
4 dicembre 2013 la Consulta
cancellò
il Porcellum, giudicandolo illegittimo sia per l’abnorme
premio
di maggioranza al partito o alla coalizione più votati, sia
per
le liste bloccate che “alterano per l’intero complesso dei
parlamentari
il
rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti...
coartano
la libertà di scelta degli elettori... contraddicono il principio
democratico,
incidendo sulla stessa libertà del voto”. E così
delegittimò
in radice l’attuale Parlamento eletto con quella legge,
il
presidente della Repubblica e il governo da esso espressi, nonché
la
maggioranza che non esisterebbe senza il premio abnorme ora
cassato.
Ce n’era abbastanza per mettere subito in cantiere una
riforma
elettorale purchessia (semprechè non si condividesse
quella
disegnata dalla Corte depurando il Porcellum dai suoi profili
incostituzionali:
il proporzionale puro con preferenza unica,
simile
alla legge elettorale con cui si votò nel 1992) e poi sciogliere
le
Camere infette e restituire rapidamente la parola agli elettori,
cioè
al popolo sovrano. Lei invece, il 5 dicembre, prim’ancora che
la
Corte depositasse le motivazioni della sentenza, se ne infischiò:
decise
che “questo Parlamento è legittimo” e gli dettò un programma
per
l’intera legislatura: “riforma elettorale che superi il
sistema
proporzionale” e “modifiche costituzionali almeno per il
numero
dei parlamentari e per il bicameralismo perfetto”. Ma
come
si permise il presunto “garante della Costituzione” di imporre
a
un Parlamento appena dichiarato antidemocratico e abusivo
dalla
Consulta di restare in piedi sino a fine legislatura, e
addirittura
di modificare la Costituzione e la legge elettorale, dandogli
per
giunta precise indicazioni sui modelli da seguire?
Un
anno vissuto indecorosamente. Il
2014, che sta sta per concludersi,
è
stato l’anno di Matteo Renzi. Che il 18 gennaio siglò,
con
la benedizione del Colle, il Patto del Nazareno con B. per farlo
rientrare
dalla finestra dopo che era uscito dalla porta a fine novembre,
abbandonando
il governo Letta all’indomani della sua
decadenza
da senatore. Il giovane e spregiudicato segretario del
Pd,
a metà febbraio, defenestrò Enrico Letta per prenderne il
posto
e il 22 febbraio giurò nelle mani di un Napolitano inizialmente
contrariato,
poi sempre più rassegnato, infine addirittura
complice.
Lei comunque, Presidente, non rinunziò a mettere le
mani
nella lista dei ministri: non per escluderne gli impresentabili,
ma
per cancellare dalla casella della Giustizia l’elemento
migliore
della lista renziana: il pm anti-’ndrangheta Nicola Gratteri,
cassato
in nome di un’inesistente “regola non scritta” che
escluderebbe
a priori i magistrati dalla carica di Guardasigilli (e
allora
perchè lei, nel 2010, nominò a quell’incarico il magistrato
forzista
Francesco Nitto Palma, nel terzo governo B.?). Con Renzi
a
Palazzo Chigi, i suoi moniti ed esternazioni si sono fatti più radi,
ma
non per questo meno discutibili o indecenti (almeno quanto
certi
suoi silenzi).
Presidente,
non conosceva proprio un giurista meno compromesso
con
l’Ancien Regime e in conflitto d’interesse di Giuliano
Amato
da nominare alla Consulta? Sicuro di aver detto tutta la
verità
sulla nascita del governo Monti nel novembre 2011, alla
luce
delle rivelazioni di Alan Friedman sui suoi abboccamenti col
Professore
fin dall'aprile di quell’anno?
Perchè
lei ha smesso di sferzare il Parlamento affinchè elegga il
quindicesimo
giudice costituzionale, lasciando la poltrona vacante
ormai
da sei mesi?
Anzichè
telefonare un giorno sì e l’altro pure ai due marò imputati
in
India di un duplice omicidio ed elevarli a eroi nazionali, perchè
non
ha mai trovato il tempo e le parole per esprimere la solidarietà
e
la vicinanza dello Stato al pm Nino Di Matteo, condannato a
morte
da Cosa Nostra (con tanto di tritolo già acquistato dai boss
e
nascosto a Palermo) e al pg Roberto Scarpinato, minacciato fin
dentro
il suo ufficio da uomini di apparato ben sicuri dell'invisibilità
e
dell’impunità?
Con
che faccia il 2 aprile scorso ha ricevuto al Quirinale il
pregiudicato
B.
“per parlare delle riforme e del fronte giudiziario”
(Corriere
della sera,
mai smentito)?
Come
si è permesso, a luglio, di bloccare il Csm che stava per
votare
per Guido Lo Forte come nuovo procuratore di Palermo,
costringendo
il Plenum a seguire l’ordine cronologico delle nomine
(mai
seguito prima) solo per rinviare la decisione al successivo
Consiglio,
che poi ha nominato Franco Lo Voi, guardacaso
il
candidato meno titolato ed esperto, ma più gradito ai
politici
di destra e di sinistra, e naturalmente a lei?
A
che titolo una figura super partes quale dovrebbe essere la sua ha
continuato
a difendere il Jobs Act e le controriforme della giustizia
e
della Costituzione, invitando opposizioni, sindacati e
Anm
a non opporsi?
Come
si è permesso di imporre al Csm, con una lettera rimasta
segreta,
di sbianchettare le critiche all’operato del procuratore di
Milano
Edmondo Bruti Liberati nella gestione del conflitto aperto
con
il suo aggiunto Alfredo Robledo, incancrenendo così lo scontro
nell’ufficio
giudiziario più cruciale d'Italia?
Quando
ha scoperto che “il bicameralismo perfetto fu un errore
dei
padri costituenti”, visto che lei entrò in Parlamento nel lontano
1953
senza mai dire una parola? E perchè non s’è accorto che
“il
Senato è un inutile doppione della Camera” nel 2005, quando
accettò
la nomina a senatore a vita senza fare un plissè?
Che
le è saltato in mente di cerchiobottare fra guardie e ladri,
mettendo
sullo stesso piano il dilagare di corruzione e crimine
organizzato
– divenuti un tutt’uno nel sistema Mafia Capitale – e
il
presunto e imprecisato “protagonismo dei pm”?
Come
può chiedere ai magistrati di “non guardare con diffidenza
i
politici”, quando i politici sono i più corrotti dell’Occidente?
E
con
che faccia può definire “eversiva” la cosiddetta
“anti-politica”,
quando
la politica si riduce alla fogna degli scandali Expo,
Mose
e Mondo di Mezzo, questi sì “eversivi”?
Perchè
non ha detto una parola – da garante della Costituzione –
sull’Italicum
che riproduce gran parte dei profili di incostituzionalità
già
sanzionati dalla Consulta nel Porcellum?
Quando
invoca il “rinnovamento” contro i “conservatorismi”,
non
le viene da ridere, essendo il primo freno al cambiamento,
con
la sua rielezione a 88 anni e con l’imbalsamazione dell’Ancien
Regime
di cui è sempre stato il santo patrono e il lord protettore?
Non
s’è pentito di aver così platealmente attaccato, anche in
campagne
elettorali,
un movimento politico con milioni di voti come
i
5Stelle, tacendo invece sull’ultima versione sempre più razzista e
fascistoide
della Lega Nord?
Perchè,
dopo averlo duramente censurato ai tempi di Prodi e in
parte
di B., ha smesso di denunciare l’abuso di decreti e fiducie da
parte
dei governi Monti, Letta e Renzi, guardacaso i tre creati o
avallati
da lei all’insaputa degli elettori?
S’è
mai domandato perchè, fino a tre anni fa, lei godeva di oltre
l’80%
di consenso nei sondaggi, mentre dal governo Monti in poi
è
sceso sotto il 50?
Non
crede di aver abusato del suo potere lanciando continue
minacce
al governo e al Parlamento, tipo “riforme o me ne vado”,
ma
anche “riforme o resto”?
Siccome
tutti nel Palazzo sanno che il 14 gennaio 2015 lei annuncerà
le
sue dimissioni, non le pare il caso di comunicarlo
anche
ai cittadini italiani, anziché seguitare a sfidarli con sciarade
e
indovinelli?
Siccome
è al passo d’addio, non crede che il bilancio del suo secondo
mandato
sia un fallimento totale, con tutti gli indicatori
economici
in picchiata (tranne quelli della corruzione, dell'evasione
e
delle mafie) e nessuna delle riforme da lei dettate nel
messaggio
di reinsediamento approvate?
Può
rassicurarci sul fatto che ora non interferirà nella scelta del
suo
successore per rifilarci un suo clone, tipo Giuliano Amato o
Sabino
Cassese?
E,
siccome considera il Senato un ente inutile, si impegna a evitare
di
frequentarlo da senatore a vita e a ritirarsi a vita privata?
È
un peccato che Montanelli non sia più fra noi. Altrimenti potrebbe
dedicarle
il Controcorrente
che
riservò nel 1985 a Sandro
Pertini
quando lasciò il Quirinale: “Il senatore Pertini ha annunciato
che
intende rientrare nella vita politica e ingaggiare battaglia
per
il riavvicinamento tra Psi e Pci. Con quest’uomo abbiamo
sbagliato
due volte. La prima, mandandolo al Quirinale. La seconda,
rimettendolo
in libertà”. il fatto quotidiano 29 dicembre 2014
Nessun commento:
Posta un commento