L’ULTIMO
SALUTO A MANCINI CHE HA INDAGATO PER PRIMO SULLA TERRA DEI FUOCHI
L’APPELLO
DEI COLLEGHI AL CAPO DELLA POLIZIA E IL LUNGO APPLAUSO DELLE MAMME
CAM PA N E
di
Enrico
Fierro
L’onore
di un poliziotto
e il
disonore
dello
Stato. Il
coraggio
di una
famiglia
che ha visto l’unico
suo
pilastro distrutto da un
tumore
e la pavidità di un Paese
avaro
con i suoi uomini migliori.
C’era
tutto questo ai funerali
di
Roberto Mancini, il
vicecommissario
di polizia
che
per primo ha indagato
sulla
Terra dei Fuochi. Per
questo
suo lavoro, Roberto è
morto,
ucciso da un linfoma.
La
Repubblica italiana, rappresentata
dal
viceministro
Filippo
Bubbico, non ha voluto
riconoscere
i funerali di
Stato,
si è limitata al picchetto
d’onore
delle esequie solenni,
ma la
gente della Campania
avvelenata
è venuta insieme a
don
Maurizio Patriciello, il
suo
parroco, per rendere
omaggio
a un eroe.
SONO
nella basilica di San
Lorenzo
fuori
le mura, a Roma,
insieme
ai colleghi di Roberto,
poliziotti
dai capelli ingrigiti,
in
divisa o in jeans e giubbotti
alla
Serpico
. È quella leva
arrivata
in
polizia alla fine degli
anni
Settanta dalle università e
dalla
società civile, i poliziotti
“democratici”,
li chiamavano.
Roberto
è “Robé”, nelle parole
dell’omelia
di don Patriciello.
“Tu
sei stato il primo a capire –
dice
il prete – e hai scritto dossier
e
informative che sono rimaste
dormienti.
Perché? Cosa
si
vuole coprire? Robé qui ci
sono
le mamme della Terra
dei
Fuochi, hanno i figli uccisi
dal
tumore, passati direttamente
dal
seno materno all’in -
ferno
della chemioterapia. Robé
tu sei
stato isolato, come
Michele
Liguori, il vigile di
Acerra.
Anche lui aveva capito
tutto
sul business dei rifiuti e
anche
lui è stato ucciso dal tumore”.
Momento
tesissimo quando
parla
un poliziotto amico di
Mancini.
La basilica ammutolisce,
il
capo della Polizia,
Alessandro
Pansa, è in prima
fila
insieme al viceministro.
“Roberto
Mancini era un vero
uomo
libero. Lavorava all’Ucigos
e dei
benpensanti lo trasferirono
a
Spoleto perché fu
scoperto
a leggere un giornale
eversivo,
il
manifesto. Vinse
il
concorso
da ispettore e tornò a
Roma,
ha lavorato come un
pazzo
in quella commissione
d’inchiesta
sui rifiuti perché
voleva
stare dalla parte dei deboli”.
Poi la
parte più dura del
discorso,
rivolta direttamente
a
Pansa: “Signor capo della
Polizia,
se vuole davvero essere
accettato
in tutto come
nostro
capo, si attivi per riconoscere
a
Roberto lo status di
vittima
del dovere e chiarisca
chi
gli ha impedito di entrare
in
qualsiasi struttura investigativa
facendolo
finire in un
commissariato
di frontiera”.
PARLA
MONIKA, la moglie
del
vicecommissario e si rivolge
alle
mamme venute dalla
Campania:
“Continuate a
combattere
per la Terra dei
fuochi”.
E la figlia, 13 anni e
una
dignità sconfinata: “Papà
era un
eroe, aveva tanti nemici?
Vuol
dire che ha combattuto
per
qualcosa nella sua vita”.
Suona
il silenzio di ordinanza,
le
sciabole dei poliziotti
si
alzano al cielo. Roberto, dicono
i
colleghi, la mattina faceva
la
chemio e il pomeriggio
era
per strada, al lavoro. “Do -
veva
mantenere la famiglia”.
La
vergogna dello Stato è scritta
su un
documento della Camera
del 13
luglio 2013, dove
si
nega “una qualsiasi responsabilità
risarcitoria”.
Perché
“la
collaborazione del sig.
Mancini
con la Commissione
parlamentare
sul ciclo dei rifiuti,
non
può in alcun modo
inquadrarsi
in un rapporto di
lavoro
con l’organo competente”. il fatto quotidiano 4 maggio 2014
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