domenica 25 maggio 2014

Amianto, 27 condanne per l’acciaio dell’Ilva DURA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI TARANTO

I SIGNORI DELLA SIDERURGIA IN SOCCORSO DEI RIVA STRINGONO D’ASSEDIO BOND
FINE DI UN’EPOCA
Da Arvedi a Duferco
a Marcegaglia,
i gruppi concorrenti
premono sul governo
per ipotecare il futuro
dello stabilimento
di Salvatore Cannavò
Arischiarare i giorni bui dell’Ilva di Taranto
sembrano esserci solo le sentenze. In grado
di chiarire cosa è stata la fabbrica e di fare giustizia.
Ieri è giunta quella, in primo grado, relativa
alle morti causate dall’amianto sia durante il periodo
gestito dall’Italsider che quello dell’Ilva. Il
giudice monocratico ha effettuato 27 condanne
comminando il massimo della pena, 9 anni e mezzo,
all’ex direttore dell’Italsider Sergio Noce. Ha
invece avuto 8 anni di reclusione Giorgio Zappa,
ex direttore generale di Finmeccanica, mentre è
stato dichiarato il non doversi procedere per l’ex
patron, Emilio Riva. Suo figlio Fabio, e l’ex direttore
dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso
sono stati condannati a 6 anni. L’unico
politico a salutare la sentenza positivamente è stato
il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, che ieri
sera ha chiuso, non casualmente, la campagna
elettorale al quartiere Tamburi di Taranto. Tra i
condannati, a otto anni, c’è però anche Piero Nardi,
all’epoca dirigente Italsider e oggi commissario
straordinario della Lucchini di Piombino, dove
qualche giorno fa è stato chiuso l’altoforno. Ed
è Nardi che funge da trait d’union tra le sentenze e i
rapporti burrascosi ormai esistenti tra la famiglia
Riva e il commissario governativo Enrico Bondi.
Ieri mattina, infatti, si è svolto un incontro in cui il
Commissario dell’Ilva ha illustrato
agli attuali proprietari il
nuovo piano industriale. Incontro
che sembra essere finito male:
Daremo le nostre risposte
lunedì” ha detto Claudio Riva.
La tensione riguarda il futuro
dello stabilimento che perde circa
70 milioni al mese e in cui si va
avanti con i contratti di solidarietà.
Secondo fonti sindacali,
sembra anche che l’azienda non
sia in grado di effettuare i dovuti
versamenti Inps e di pagare i
fornitori.
ENRICO BONDI era stato chiamato all’Ilva per i
suoi legami con il mondo bancario, ma si è via via
distanziato dalla famiglia Riva fino a quando il piano
di risanamento ambientale approvato dal governo
lo scorso mese gli ha imposto un nuovo piano
industriale nel quale è previsto un aumento di
capitale di 1,8 miliardi.
La ricapitalizzazione dell’azienda significherebbe
o un maggior impegno o la diluizione della proprietà
dei Riva che, però, non hanno alcuna intenzione
di abbandonare quella che per anni è stata
una gallina dalle uova d’oro. Il problema è esploso
soprattutto quando Bondi ha ipotizzato l’idea
che per sostenere l’aumento di capitale si potessero
utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia dalla
procura di Milano, circa 1,9 miliardi, ipotesi che è
stata vista quasi come un “esproprio”.
Il vero fatto nuovo è la poderosa discesa in campo
di tutta l’acciaieria italiana a difesa dei Riva contro
Bondi. È avvenuto a inizio di settimana in occasione
dell’assemblea annuale di Federacciai dove il
presidente, Antonio Gozzi, si è scagliato duramente
contro Bondi accusato di “proporre improbabili
piani industriali” e di portare l’Ilva “al collasso”
e chiedendo al governo di “voltare pagina”.
Gli industriali dell’acciaio, quindi, hanno fatto
quadrato attorno a uno di loro, difendendone i
legittimi interessi proprietari”. Si farebbe strada
l’ipotesi di una cordata, comprensiva di italiani
come Arvedi, Duferco e Marcegaglia ma anche
degli indiani della Mittel, che affianchi i Riva. Ma
la condizione posta a Renzi è che Bondi sia fatto
fuori (il suo mandato scade il 4 giugno). Sembra
che nei giorni scorsi ci siano state numerose pressioni
sul ministro dello Sviluppo economico, Federica
Guidi, per fare spazio a un altro commissario.
E QUI ENTRA IN SCENA NARDI. Il suo curriculum
nel mondo dell’acciaio è di tutto rispetto e,
secondo gli ambienti sindacali, anche i suoi rapporti
con i signori dell’acciaio. Piero Nardi vanta
anche ottimi rapporti con gli uomini che, al ministero
dello Sviluppo economico hanno finora
gestito l’acciaio, come il viceministro Claudio De
Vincenti. Ma la sua condanna in primo grado dovrebbe
costituire un impedimento alla nomina a
commissario Ilva anche se in Italia non è mai detto.
A esprimere grande preoccupazione per quanto
accade a Taranto, e non solo, ieri sono state
Fiom, Fim e Uilm che, unitariamente, hanno tenuto
un convegno nazionale e licenziato un documento
comune. La richiesta a Renzi e al governo
è di dotarsi di una strategia istituendo un Tavolo
per la siderurgia. Maurizio Landini (Fiom) chiede
un “intervento transitorio” dello Stato per sostenere,
di fatto, un’Ilva senza più i Riva.

il fatto quotidiano 24 maggio 2014

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