Pontinia (LT) dall'ambiente, alla difesa dei diritti civili e sociali, dalla politica alla tecnica. Si riportano stralciriportandone autori. Nota: qualora si ritenga la pubblicazione (o i commenti) siano lesivi o notizie superate si prega di comunicarlo con mail giorgio.libralato@gmail.com e saranno rimossi. Oppure allo stesso modo si può esercitare il diritto di replica. Qualora si ritenga che una pubblicazione o parte di essa ledano i diritti di copyright o di autore saranno rimossi
lunedì 30 dicembre 2013
“Sono i politici che tengono in vita la mafia” PIPPO FAVA
NE L L’ULTIMA INTERVISTA CONCESSA POCHI GIORNI PRIMA DI MORIRE
PER MANO DEL CLAN MAFIOSO DEI SANTAPAOLA, SPIEGÒ: “TUTTO PARTE DALL’A SS E N Z A
DELLO STATO E FORSE DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA COSÌ COME NOI, IN BUONA FEDE,
L’ABBIAMO APPASSIONATAMENTE COSTRUITA E CHE SI STA SGRETOLANDO NELLE NOSTRE
MANI. DA LÌ DOBBIAMO RICOMINCIARE” di Enzo Biagi Il fatto quotidiano 29 dicembre 2013
Il boss Genco Russo
governava venti,
trenta, quarantamila voti
e nessun uomo politico poteva
ignorare questa potenza
determinante. Ecco perché
poteva andare alla Regione
Sicilia e spalancare
a calci la porta degli assessori:
lui era il padrone
Storie d’Italia
L’intervista andata in onda sulla tv Svizzera
il 29 dicembre 1983 è stata l’ultima rilasciata
da Giuseppe Fava prima di essere ucciso da Cosa
Nostra il 5 gennaio 1984, una settimana dopo 25
LE MILLE VITE SPEZZATE
Dai libri ai film, tutte le voci della sua lotta
A CHE SERVE VIVERE se non si ha il coraggio di lottare?”. Questa è una
delle frasi di Giuseppe Fava diventata simbolo del suo impegno nella lotta
alla criminalità organizzata in Sicilia. Personaggio carismatico, scrittore,
giornalista, drammaturgo, saggista e sceneggiatore, direttore responsabile
del Giornale del Sud e poi fondatore de I Siciliani, secondo
giornale antimafia in Sicilia, Giuseppe detto Pippo nacque il 15 settembre
1925 a Palazzolo Acreide ed è stato ucciso il 5 gennaio 1984 a Catania da
alcuni membri del clan mafioso dei Santapaola: fu freddato con cinque proiettili calibro
7,65 mentre era a bordo della sua Renault 5. Aveva appena lasciato la redazione del suo
giornale. Solamente nel 1998 sono stati condannati in primo grado all’ergastolo il boss
mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso
come organizzatori. Condanne confermate in appello nel 2001 e dalla Cass a z i o n e
nel 2003 per Santapaola ed Ercolano. Nel 1980 il film Palermo or Wolfsburg, di cui curò la
sceneggiatura, ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino. L’impegno nella lotta alla mafia
è oggi portato avanti anche dal figlio, il giornalista e politico Claudio Fava .
(continua)
ava nei tuoi racconti sulla mafia a che cosa ti
sei ispirato?
Biagi mi ispiro alle mie esperienze giornalistiche.
Si sta facendo un’enorme confusione sul problema
della mafia. Ti faccio un esempio: i fratelli
Greco, accusati dell’omicidio del giudice Chinnici
sono degli scassapagghiari , delinquenti da tre
soldi. I mafiosi veri stanno in ben altri luoghi, in
ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento,
a volte sono banchieri, sono quelli ai vertici
della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco
di fondo... Insomma, non si può definire
mafioso il piccolo delinquente che ti impone la
piccola taglia sulla tua piccola attività; questa è
roba da piccola criminalità che ormai abita in
tutte le città italiane ed europee. Il problema della
mafia è molto più tragico e importante, è un problema
di vertice nella gestione della nazione che
rischia di portare alla rovina e al decadimento
culturale l’Italia.
È vero che la realtà spesso supera la fantasia?
Sì, anche perché nella mia esperienza personale
mi sono trovato di fronte a fatti, a fenomeni e a
personaggi della realtà che non avrei nemmeno
saputo immaginare. Io se vuoi ti posso citare...
Io voglio.
Conosci la storia di Placido Rizzotto?
Sì.
Placido Rizzotto era un sindacalista pazzo, non
mi fraintendere, pazzo inteso nella maniera nobile
del termine, che si illudeva negli anni Quaranta
di redimere i poveri di Corleone, e come un
pazzo andava a espropriare le terre con delle
bandiere tricolore, bandiere rosse, guidando folle
di contadini affamati. Evidentemente era un
uomo che dava molto fastidio al potere, alla proprietà,
al padrone. Espropriava le terre, che poi
era costretto ad abbandonare perché non c’era
acqua, non avevano strumenti di lavoro, non c’erano
case in cui abitare. Era un uomo che gettava
il seme della rivolta in un territorio dell’isola che
era sempre stato dominato dalla mafia. Accanto
a lui, questa la cosa stupefacente, camminava,
correva, perché i rivoluzionari corrono per tradizione
dietro alle bandiere rosse e tricolori, una
ragazza, che il mito descrive: scarmigliata, alta,
bella, bruna, tipica siciliana, e come Anita seguiva
Garibaldi. Era la sua fidanzata, si chiamava
Leoluchina Sorisi, lavorava con lui, si batteva con
lui, occupava le terre insieme ai contadini, finché
un giorno Placido Rizzotto scomparve. Lui è uno
degli eroi dimenticati, vorrei fare una parentesi e
per questo ti chiedo scusa, ma vorrei che gli italiani
sapessero che non è vero che i siciliani sono
mafiosi, i siciliani lottano da 30 secoli contro la
mafia, lottano alla loro maniera, naturalmente,
lo dimostra il fatto che gli uomini che sono caduti
negli ultimi anni sono tutti siciliani, gli eroi
della lotta contro la mafia sono tutti siciliani, con
l’esclusione del generale Dalla Chiesa, il quale
tutto sommato era anche lui un siciliano perché
ha comandato i carabinieri di Palermo per tanto
tempo. Ecco, Placido Rizzotto era uno di questi
eroi siciliani che spesso vengono dimenticati
dall’opinione pubblica. Placido Rizzotto scomparve
e morì credo come nessuno sia morto, nel
modo più orrendo possibile, venne fatto precipitare
in fondo a una spelonca, una voragine di
centinaia di metri, vivo e incatenato, morì di fame
e divorato dalle bestie della campagna.
Quando i carabinieri con gli speleologi tirarono
su i resti umani che vennero identificati grazie a
una catenina che aveva al collo, Leoluchina Sorisi,
fu lei che riconobbe il cadavere, lo riferiscono
le cronache di allora, disse in siciliano una
cosa molto bella, che io non condivido ma che
amo politicamente: “Chi ti uccise io gli mangerò
il cuore”. Passò del tempo sino quando si seppe
che l’assassino o il mandante era Luciano Liggio,
il Napoleone della mafia, il potente della mafia,
l’inafferrabile primula rossa. Bene, Liggio venne
catturato in casa di Leoluchina Sorisi, nel suo letto,
accudito e curato da questa donna. Io l’ho
cercata a Corleone, dovunque, non l’ho mai trovata.
Qui la realtà va oltre a qualsiasi immaginazione:
una donna innamorata di un uomo, che
assiste alla sua fine, può tenere, accudire, curare,
nella propria casa l’uomo che si presume l’abbia
ucciso, allo scopo di distruggerlo con il suo arresto.
Tu hai fatto una conoscenza diretta del mondo
della mafia come giornalista?
Sì, ho conosciuto diversi personaggi dell’una e
dell’altra parte, attraverso le cronache, le inchieste,
le indagini che andavamo conducendo e che
puntualmente abbiamo riferito sul nostro giornale.
Chi ricordi di più di questi tipi. I vecchi mafiosi sono
cambiati?
Sì, anche questa è una confusione che si fa tra la
mafia di quindici o vent’anni fa e quella di oggi.
Allora il mafioso per eccellenza era Genco Russo.
Io sono stato a casa sua, mi si perdoni il termine,
ho avuto l’onore, lo dico con molta ironia, di intervistarlo
e di avere un memoriale da lui firmato
che cominciava: “Io sono Genco Russo, il re della
mafia”. Genco Russo era un uomo che governava
il territorio di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta,
dove da vent’anni non c’era, non dico
un omicidio, ma uno schiaffo, un furto; dove tutto
procedeva nell’ordine e nella legalità. Era la
vecchia mafia agricola. Russo governava un territorio
e aveva un potere che il mondo di allora
non poteva ignorare. Governava quindi, venti,
trenta, quarantamila voti di una parte della provincia.
E nessun uomo politico poteva ignorare
questa potenza determinante perché bastava che
Genco Russo spostasse, non verso un altro partito
ma all’interno dello stesso partito, quella massa di
voti per fare la fortuna o l’infelicità di un uomo
politico. Ecco perché poteva andare alla Regione
Sicilia e spalancare con un calcio la porta degli
assessori: lui era il padrone. Solo che poi la società
corse avanti, si modificò e i mafiosi non furono
più quelli come Genco Russo. Oggi i mafiosi non
sono quelli che ammazzano, quelli sono esecutori.
Anche al massimo livello. Non so, si fanno i
nomi – io non li conosco – dei fratelli Greco. Si
dice che siano i padroni della mafia, quelli delle
cosche vincenti, i vicerè. Non è vero, loro sono
degli esecutori, sono nell’organizzazione, stanno
al posto loro e fanno quello che altri ordinano. Ci
sono altri al loro fianco che contano infinitamente
di più. I fratelli Greco, lasciando stare se siano
grandi malviventi o grandi innocenti, questo lo
stabilirà il magistrato, non potrebbero essere dei
mafiosi se non ci fosse dietro qualcun altro che
consentisse loro di esserlo.
L’America, i nostri compatrioti all’estero, che parte
giocano in tutta la faccenda?
La loro parte è senza dubbio importante. Sono
portatori di enormi masse di denaro, ma io credo
che la loro parte consista in quella che è ormai la
strategia della mafia, cioè il commercio della droga.
Io ho fatto delle indagini piuttosto sommarie,
che può fare chiunque, e mi sono reso conto di
quella che è la struttura finanziaria della mafia.
Questi sono degli studi che chiunque può leggere.
Ci sono al mondo circa cento milioni di drogati; la
cifra naturalmente è molto più alta ma ufficialmente
è quella. Un milione muore ogni anno di
overdose, dieci milioni restano definitivamente
inabili a qualsiasi tipo di attività umana e gli altri
novanta aumentano continuamente. Si presume
che tutti spendano dalle quindici alle ventimila
lire al giorno per consumo di droga. Secondo calcoli
piuttosto banali, basterebbe una macchinetta,
si tratta di qualcosa come centomila miliardi l’an -
no. Questo denaro viene manovrato quasi esclusivamente
dalla mafia. Ora, io mi sono posto una
domanda che credo tutti, per professione, per
passione politica o per pura umanità, si pongono.
Una organizzazione che riesce a manovrare centomila
miliardi l’anno, se non erro sono più del
bilancio di un anno dello Stato italiano. Questi
miliardi, che sono tutti manovrati dalla mafia, chi
li possiede è in condizione di armare un esercito,
di possedere delle flotte, di avere una propria aviazione.
E in effetti è accaduto che la mafia si è impadronita,
almeno in Medio Oriente, del commercio
delle armi. Ecco, gli americani contano in
questo. Però neanche loro avrebbero cittadinanza
in Italia come mafiosi se non ci fosse il potere politico
e finanziario che consente loro di esistere.
Diciamo che di questi centomila miliardi un terzo,
un quinto resta in Italia, bisogna pure impiegarli,
riciclarli, ripulirli, reinvestirli. E allora ecco
le banche, le banche nuove, questo pullulare di
banche nuove ovunque che servono per riciclare.
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa lo aveva capito
bene, ed è stata questa la sua grande intuizione
che poi lo ha portato alla morte. Era dentro
alle banche che bisognava frugare, e lì aveva indirizzato
le sue indagini, aveva capito che lì c’erano
decine di miliardi insanguinati che venivano
immessi per poi fuoriuscire per andare nelle opere
pubbliche. Credo che parecchie chiese siano
state costruite con appalti che hanno utilizzato
fondi riciclati dei mafiosi.
Il padrino è quello raccontato da Mario Puzo o è
un altro tipo?
Sì, in parte penso di sì. È un uomo saggio e crudele.
Ha saggezza per tutto, ma anche una crudeltà senza
limiti. È disposto ad ammazzare o a far ammazzare
anche il figlio se ce ne fosse necessità. Per
il mafioso la mafia è una causa, per il padrino Genco
Russo la mafia era una causa. Nella mafia moderna
non ci sono padrini, ci sono grandi vecchi i
quali si servono della mafia per accrescere le loro
ricchezze. Questo è un dato che spesso viene trascurato.
L’uomo politico attraverso la mafia non
cerca soltanto il potere, cerca anche la ricchezza
perché è dalla ricchezza personale che deriva il
potere e la possibilità di controllare quei centocinquantamila,
duecentomila voti di preferenza.
Perché purtroppo la struttura della nostra civiltà
politica è questa: chi non ha soldi quei duecentomila
voti non riuscirà ad averli mai.
Una volta si diceva che la forza dei mafiosi era la
capacità di tacere, e adesso?
La mafia gode di una tale impunità da essere diventata
persino tracotante. Le parentele si fanno
ufficialmente. Non credo ci sia questa paura,
questa necessità di far silenzio. Io ho visto molti
funerali di Stato, dico una cosa della quale io solo
sono convinto e quindi potrebbe non essere vera:
molto spesso gli assassini erano sul palco delle
autorità.
Cosa vuol dire essere protetti, secondo il linguaggio
dei mafiosi?
Essere protetti significa poter vivere dentro questa
società. Ho letto, nei giorni scorsi, un’inter -
vista esemplare, a quel signore che a Torino ha
corrotto tutto l’ambiente politico torinese, diceva
una cosa fondamentale, ed è una legge mafiosa
esportata dalla Sicilia e fa parte ormai della
cultura nazionale: “In Italia non si fa niente se
non c’è l’assenso del politico e se il politico non è
pagato”. Ecco, noi viviamo in questo tipo di società,
la protezione è indispensabile se qualcuno
non vuole condurre la vita da lupo solitario, che
può essere anche affascinante non avere né aderenze
né protezioni da alcuna parte, orgogliosamente
soli fino all’ultimo, può essere una scelta
ma sessanta milioni di italiani non hanno...
Non hanno questa vocazione alla solitudine.
No, non ce l’hanno.
Cosa bisognerebbe fare per eliminare questo fenomeno?
Tu fai una breve domanda, ma io per poter rispondere
avrei bisogno di un’enciclopedia intera.
Posso dirti soltanto che tutto parte dall’as -
senza dello Stato, dal fallimento della società politica
italiana, è da lì che bisogna cominciare. È
necessario creare in Italia una seconda Repubblica
che abbia delle leggi e una struttura di democrazia
che eliminino il pericolo che il politico
possa diventare succube o di se stesso, della sua
avidità, o della ferocia degli altri o della paura,
che possa essere soltanto un professionista della
politica. Ripeto, tutto nasce dalla politica e dagli
uomini politici, dal fallimento della struttura politica
e forse della nostra democrazia così come
noi, in buona fede, l’abbiamo appassionatamente
costruita e che si sta sgretolando nelle nostre
mani. Dovremmo ricominciare da lì.
Nessun commento:
Posta un commento