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lunedì 30 dicembre 2013
I RAPPORTI TRA PALAZZO E CLAN DESCRITTI SUL QUOTIDIANO “I SICILIANI” NEI PRIMI ANNI 80 SONO GLI STESSI SU CUI INDAGA ORA IL PM DI MATTEO
La trattativa costante
oggi come 30 anni fa
Il fatto quotidiano 29 dicembre 2013
di Loris Mazzetti
Fra qualche giorno ricorreranno
i trent’anni
dall’omicidio di
Giuseppe Fava, detto
Pippo, ucciso la sera del 5 gennaio
1984 con cinque colpi di pistola
(condannati all’ergastolo il
mandante Nitto Santapaola e il
suo braccio destro Aldo Ercolano,
uno degli esecutori materiali).
L’agguato avvenne di notte, il
giornalista era da poco uscito
dalla redazione de I Siciliani,
mensile da lui fondato alla fine
del 1982, insieme ad alcuni giovani
giornalisti che decisero di
seguirlo dopo la sua cacciata dalla
direzione del Giornale del Sud.
L’intervista di Enzo Biagi a Pippo
Fava, che il Fatto Quotidiano
pubblica oggi, fu realizzata il 29
dicembre, una settimana prima
del suo omicidio, per la tv Svizzera.
LA TRASMISSIONE, Film- sto ry ,
aveva come argomento la mafia e
la camorra, in studio con il direttore
de I Siciliani c’erano: Nando
dalla Chiesa e l’avvocato Giuseppe
Mirabile, difensore dei fratelli
Greco al processo per l’omi -
cidio del giudice Chinnici. Biagi
conobbe Fava grazie all’amico
comune Nino Milazzo, giornalista
del Corriere della Sera. “A Tavola
prima della trasmissione –
scrisse Biagi ricordando l’incon -
tro con il giornalista siciliano –
abbiamo chiacchierato di nipoti:
‘Non voglio che si attacchino
troppo, li tengo lontani, perché
poi non soffrano’ disse. Mi parlò
di una bambina della sua figliola
che aveva portato con sé a teatro:
mi parve orgoglioso. Non l’ho
conosciuto bene, ma mi è parso
un personaggio carico di vitalità,
innamorato del lavoro, capace di
grandi intuizioni, e di impegni
rischiosi: uno di quelli che, anche
nel mio mestiere, sono sempre
pronti a ricominciare, a rimettere
tutto in discussione. Adesso
mi chiedo: ‘Perché?’ Perché si
uccide un giornalista con la tecnica
di Fronte del porto, che cosa
temevano, di che cosa lo volevano
punire? Che cosa sapeva Giuseppe
Fava, quali scoperte aveva
fatto, con quella sua straordinaria
capacità di analisi, di guardare
oltre i fatti e le apparenze,
per arrivare a scoprire le ragioni
del male che ci affligge?”.
Fava amava la sua terra, ed era
orgoglioso della sua gente, ha pagato
con la sua vita questo amore,
e ha nobilitato, come Impastato,
Rostagno, Casalegno, Tobagi,
Cristina, Alfano, De Mauro,
Siani, Spampinato, Francese,
Baldoni, Lucchetta, Ciriello, Alpi,
Cutuli, Russo, Puletti, Arrigoni
e altri ancora, il mestiere del
giornalista. Nell’intervista, Fava
ha la solita faccia tesa e serena di
uomo del Sud (come nelle varie
foto che in occasione del trentesimo
corrono in Internet), con
quel suo ragionare che non lascia
scampo, che hanno i siciliani, che
sembrano persino impietosi. Pirandello
poteva nascere solo in
Sicilia e anche Giuseppe Fava.
Alle domande di Biagi sulle ragioni
della sua condanna a morte,
con il tempo e l’aiuto di qualche
pentito, sono state date risposte.
Un’inchiesta del 1983 che
Fava fece per I Siciliani sulle attività
illecite de “i quattro cavalieri
dell’apocalisse mafiosa”:
Carmelo Costanzo, Francesco
Finocchiaro, Gaetano Graci e
Mario Rendo, imprenditori catanesi
che tenevano rapporti con
Nitto Santapaola, fu la goccia che
fece traboccare il vaso.
COME SI EVINCE dall’intervista
di Biagi, Fava fu il primo a raccontare
il “terzo livello del potere
mafioso”: il potere politico, di
conseguenza l’intreccio tra politica,
mafia e Stato. Ci sono voluti
trent’anni prima di vedere in un
processo sulla stessa sbarra degli
imputati boss della mafia e politici,
ed è quello che sta accadendo
ora al processo di Palermo
sulla “Trattativa” tra Stato e mafia,
in cui il pubblico ministero
Nino Di Matteo, più volte minacciato
di morte da Totò Riina,
insieme ad alcuni colleghi, sta
portando avanti nella più totale
solitudine. I nomi di questi magistrati
sono impronunciabili da
parte delle istituzioni anche durante
le poche volte che manifestano
solidarietà nei loro confronti.
Il dato in mano ai magistrati
di Palermo, ricavato da inchieste
e dibattimenti, è che dopo
l’uccisione di Giovanni Falcone,
la mafia stava progettando
l’eliminazione di altri politici
che, come era già avvenuto per
Salvo Lima, dovevano essere uccisi
perché non avevano mantenuto
i patti fatti con Cosa Nostra:
Calogero Mannino, Carlo Vizzini,
Salvo Andò, allora ministri, e
il fedelissimo di Lima, Sebastiano
Purpura. Oggi come allora, i
mafiosi hanno bisogno di luci
spente, che tutti tacciano, perché
il silenzio, l’omertà sono il pilastro
della loro forza.
Davanti al ricatto, alla minaccia,
alla paura, Giuseppe (Pippo) Fava
non si è mai piegato e ha sempre
detto la sua verità, sui giornali
e sul palcoscenico, davanti
alle telecamere: “Io ho un concetto
etico del giornalismo. Ritengo
infatti che in una società
democratica e libera quale dovrebbe
essere quella italiana, il
giornalismo rappresenti la forza
essenziale della società. Un giornalismo
fatto di verità impedisce
molte corruzioni, frena la violenza
della criminalità, accelera le
opere pubbliche indispensabili,
pretende il funzionamento dei
servizi sociali, tiene continuamente
in allerta le forze dell'ordine,
sollecita la costante attenzione
della giustizia, impone ai
politici il buon governo”. n
IL 5 GENNAIO Rai3
trasmetterà in prima tv
I ragazzi di Pippo Fava, il docufilm
di Franza di Rosa, ideato
e scritto da Gualtiero
Peirce e Antonio Roccuzzo,
prodotto da Cyrano New
Media con RaiFiction e tratto
dalle pagine del libro di
Roccuzzo Mentre l’o rc h e s t r i n a
suonava gelosia.
L’ANNIVERSARIO
Il 5 gennaio
su Rai Tre
il docufilm
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