domenica 19 febbraio 2012

Turri: la tangentopoli pontina non è finita

Se in Italia l'uomo-simbolo di «Mani Pulite» è l'ex pm Antonio Di Pietro, a Latina è l'ex ispettore e attuale responsabile regionale dell'associazione antimafia «Libera», Antonio Turri. Un periodo oscuro, quello di venti anni fa, anche per il capoluogo pontino che visse in una manciata di mesi tutto il peso, a livello locale, di indagini pesanti che sconvolsero l'assetto della vecchia classe dirigente portando, inevitabilmente, anche a un ribaltone del mondo politico.


Ispettore Turri come iniziò la «Mani Pulite» pontina?
«Svolgevo alla squadra mobile funzioni di vice-dirigente, fui chiamato a Roma alla Criminalpol e, essendo io specializzato nelle indagini sui delitti contro la pubblica amministrazione, mi venne chiesto di indagare su tale fronte a Latina. Fui io a firmare le informative di reato che portarono a 37 arresti; ne avevo chiesti molti di più ma quelli mi vennero dati».
Lavoravate soltanto con la Procura di Latina?
«A Latina venivamo seguiti essenzialmente dai pm Barbara Callari e Pietro Allotta, ma lavoravamo anche con la Procura di Roma e di Termini Imerese. Sono stato il primo poliziotto ad entrare, per effettuare una perquisizione, nella sede della Dc a Roma, in piazza del Gesù. E arrestammo, sempre per concussione, anche il gran maestro della loggia massonica di Firenze. Una cosa portava all'altra, un po' come le inchieste giornalistiche. L'amarezza che resta è legata al fatto che nel 1996, con la riforma del processo penale, molte dichiarazioni rese dagli indagati al pm sono diventate inutilizzabili se non confermate in aula e la prescrizione poi ha fatto il resto».
Qual era il clima in cui vi siete trovati ad operare?
«Avevo contro un terzo della questura e questo perché, oltre a invidie personali, compromissioni c'erano. Anche la Procura era collaborativa solo per un terzo. Ci fu chi arrivò a dirmi che lo stipendio serve per vivere e non per morire. Fu comunque un'esperienza esaltante, ma come cittadino che riesce a fare qualcosa per il suo Paese. Erano lì i responsabili del disastro economico di oggi».
A un certo punto però vi siete fermati.
«Nel 1994 misero una bomba a casa mia, altri colleghi furono trasferiti, e si arrivò anche a dire che ero io che prendevo le mazzette. C'era un livello di compromissione alto tra politica e pubblica amministrazione, evidente nei fascicoli che sequestrammo. In quel periodo iniziarono i contatti tra politica e mafia e venne preparata un'"autostrada" ai Casalesi e ai Santapaola che volevano investire qui. Era tutto collegato».
Avevate vere prove delle «mazzette»?
«Quando ci è stato detto che tale soggetto aveva intascato tale somma quella somma l'abbiamo trovata sui conti correnti; stessa cosa quando avevamo notizia di cessioni di immobili».
Quel denaro veniva realmente usato per finanziare i partiti?
«Assolutamente no, finiva in auto, vestiti e ville».
I politici come reagivano all'arresto?
«Allo stesso modo dei comuni delinquenti, con la sola differenza che avevano la possibilità di pagare buone difese e qualche volta anche di trovare qualche magistrato compiacente».
Da allora è cambiato qualcosa?
«La corruzione è aumentata e nei posti di potere abbiamo le seconde e terze file dell'epoca. Questa è una provincia in cui non si è realizzato nulla».
Clemente Pistilli www.dimmidipiu.it

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