Andrea Pira
OCEANIA. Per i 103mila abitanti dell’ex colonia britannica minacciati dall’innalzamento dei mari si sta pensando a una piattaforma marina dove “deportare” una parte dei residenti.
Nel film Waterworld, in un mondo completamente sommerso dall’oceano, il personaggio interpretato da Kevin Costner partiva da una città galleggiante alla ricerca dell’unico leggendario lembo di terra ancora in superficie. Gli abitanti di Kiribati potrebbero invece seguire il percorso inverso, costretti a emigrare su un’isola artificiale per sfuggire all’innalzamento del livello del mare che, a causa del riscaldamento globale, rischia di inghiottire il piccolo Stato insulare dell’Oceania. «Non possiamo escludere nessuna opzione», ha detto il presidente Anote Tong, intervenuto al Forum delle isole del Pacifico ad Auckland, in Nuova Zelanda. Su questi 33 atolli, che coprono una superficie di 810 chilometri quadrati, l’altitudine media delle terre non supera i due metri sopra il livello del mare. Alcuni villaggi lungo le coste sono stati già sfollati per sfuggire alle onde. Mentre le falde acquifere sono state contaminate dall’acqua salata che ha bruciato i raccolti.
La salvezza per i 103mila abitanti dell’ex colonia britannica potrebbe essere su una piattaforma marina, come quelle per le trivellazioni petrolifere. Il costo per realizzare il progetto è di circa 2 miliardi di dollari (1,4 miliardi di euro). «Sembra quasi fantascienza - ha spiegato il presidente - ma nel caso vedessi la mia famiglia sprofondare in acqua cosa dovrei fare»? La storia dell’Isola delle Rose nel mare Adriatico prova tuttavia che la provocazione di Kiribati tanto campata in aria non è. Il primo maggio 1968 l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa proclamò repubblica indipendente una piattaforma al largo delle coste romagnole, 500 metri oltre le acque territoriali italiane. Il governo autonomo era guidato dallo stesso Rosa, la lingua parlata l’esperanto e la moneta il “mill”. L’esperimento durò soltanto 55 giorni, dopodiché la Marina militare occupò la piattaforma che fu affollata e smantellata.
Del progetto, celebrato nel quarantennale dal museo di Vancouver, si tornò a parlare lo scorso agosto con la proposta di Peter Thiel, fondatore del sistema di pagamenti online Paypal, di costruire un gruppo di isole artificiali, libere da ogni forma di legislazione, da ormeggiare in acque internazionali. Già lo scorso dicembre, invece, a margine del summit delle Nazioni Unite sul clima a Cancun, in Messico, i rappresentanti delle Isole Marshall si posero il problema di cosa potrebbe succedere a livello giuridico se i loro 29 atolli fossero sommersi dal Pacifico. Tra le incognite: su quale territorio il loro Stato eserciterà la sovranità e quale status toccherà ai cittadini costretti a lasciare le isole. Una questione legale che non trova riscontro nel diritto internazionale perché gli Stati si sono disciolti, divisi, sono stati conquistati o ceduti, ma nessuno sinora è fisicamente sparito. Per quanto riguarda Kiribati è allo studio anche un sistema di barriere marine - costo stimato 1 miliardo di dollari - per preservare gli atolli dalle maree.
O, in alternativa, si pensa al trasferimento degli abitanti in altre isole del Pacifico. Con una preferenza per l’isola Christmas, sebbene problemi con l’approvvigionamento idrico mettano a rischio il piano. Non tutti gli abitanti sarebbero però disposti ad abbandonare il proprio Paese. «Mai e poi mai permetterò che Kiribati scompaia», ha ribadito lo stesso Tong. Una lotta nella quale è sostenuto da Ban Ki-moon, primo segretario generale dell’Onu a partecipare al Forum. «Chiedo a quanti ritengono che gli effetti dei cambiamenti climatici riguardino un futuro distante di venire a Kiribati. Qui sono già visibili e bagnano i nostri piedi» ha detto Ban, che ha definito il Paese la prima linea nella lotta contro il riscaldamento globale.
Anche il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha annunciato lo stanziamento di altri 10 milioni di euro per il Pacific Fund a favore di progetti per contrastare il cambiamento climatico. Per gli abitanti di Kiribati - così come di Vanuatu, delle Maldive, di Tuvalu e delle isole Marshall - non è più una questione di adattamento, ma di sopravvivenza, ha concluso Tong. Prima che la bandiera con il sole che sorge dalle onde sia ammainata dal palazzo presidenziale di Tarawa per essere issata su una piattaforma in mezzo all’oceano.
NTNN
http://www.terranews.it/news/2011/09/se-il-futuro-di-kiribati-e-su-un%E2%80%99isola-artificiale
Riscaldamento globale, nuovo allarme
“A rischio le popolazioni del Pacifico” L'avvertimento arriva dal Pacific Islands Forum 2011, un'organizzazione intergovernative che riunisce Australia, Nuova Zelanda e altri 14 Stati insulari. L'innalzamento del livello dei mari causato dal cambiamento climatico ha già costretto gli abitanti di alcuni villaggi a spostarsi lontano dalla costa. Ban Ki-moon: "Dobbiamo salvare il pianeta"“É una corsa globale per salvare il pianeta”, ha dichiarato giovedì il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon durante un discorso pronunciato all’Università di Sydney, in Australia, dove si trova per una serie di incontri seguiti alla sua partecipazione al Pacific Islands Forum 2011 (Pif). Dello stesso tenore il comunicato del forum, che si è tenuto tra 6 e 9 settembre a Aukland, la città più grande della Nuova Zelanda.
Il Pif è un’organizzazione intergovernativa fra 16 paesi indipendenti dell’Oceano Pacifico di cui l’Australia e la Nuova Zelanda sono i più estesi e i più ricchi. Il suo scopo è quello di aumentare la cooperazione economica fra gli Stati membri e di aumentare la visibilità e l’importanza internazionale della regione, ma da mesi era chiaro che il focus di questa sessione sarebbe stato il cambiamento climatico, che sta mettendo a rischio lo sviluppo e la stabilità delle popolazioni.
I leader dei paesi dell’area, incluso il primo ministro australiano Julia Gillard, sono stati d’accordo nel dichiarare che “i cambiamenti climatici sono l’unica grande minaccia alla sussistenza, la sicurezza e il benessere delle genti del Pacifico”. I primi ministri delle cosiddette Piccole Isole come le Marshall (poco più di 68.000 abitanti), delle 15 piccole isole Cook (poco più di 20.000 abitanti), di Kiribati (dove vivono circa 100.000 persone) e di Tuvalu (neanche 11.000 abitanti sparsi su isole e atolli) hanno insistito sul problema del pericolo rappresentato dall’alzarsi del livello del mare. Secondo il gruppo dei 16 Stati membri c’è il bisogno impellente di prendere in considerazione il finanziamento delle nazioni del Pacifico, dove la gente sarà presto costretta ad abbandonare le loro case ed emigrare a causa dell’impatto del riscaldamento globale. Gli abitanti dei villaggi di Kiribati, per esempio, hanno dovuto già spostarsi per l’innalzamento del livello marino e le famiglie dislocate hanno bisogno di aiuti economici per la casa e per iniziare nuove attività.
Se il rialzo della temperatura globale sembra un fattore inevitabile, il problema è determinare di quanto sarà e le sue conseguenze. Siccità, uragani, trombe d’aria e inondazioni sono sempre più frequenti, travolgenti ed estremi, e mettono a rischio la vita delle popolazioni colpite. Questi disastri naturali sono più frequenti di prima per i cambiamenti climatici. Le conseguenze su umani, animali, edifici, colture possono essere devastanti. I ghiacciai si stanno sciogliendo più velocemente del previsto, gli oceani si alzano e la terra si riscalda. Secondo le stime del Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, la più grande organizzazione internazionale per la valutazione delle variazioni di clima, fondata dal Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale Meteorologica e sostenuta dall’Onu, la media dell’innalzamento globale del livello marino è stata di circa 1,8 millimetri l’anno nel periodo 1961-2003 e di 3,1 millimetri l’anno, quasi il doppio quindi, nel periodo 1993-2003, anche se non è chiaro se questa tendenza di crescita a lungo termine rimarrà la stessa. I due fattori principali che causano l’innalzamento del livello sono l’espansione termica, dovuta al riscaldamento dell’acqua dell’oceano, e il contributo dato dallo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari.
Ban Ki-moon ha ribadito che c’è bisogno di un’azione globale contro l’effetto serra, sottolineando che ha effetti devastanti non solo sul livello dell’oceano, con conseguenze sulle popolazioni che vivono nelle piccole isole del Pacifico e con le terribili inondazioni dell’Australia settentrionale, ma anche sulla spaventosa siccità che sta affamando le popolazioni del Corno d’Africa. Dopo il forum Ban Ki-moon è andato nelle Isole Salomon e a Kiribati, gli stati più colpiti dall’innalzamento del livello del mare. “Guardo l’alta marea sulle spiagge di Kiribati – ha detto – e l’alta marea ci mostra che è proprio il momento giusto di agire. Il tempo sta per finire”.
Il primo ministro della Nuova Zelanda John Key, che ha presieduto il Pacific Island Forum, ha fatto sapere che i leader hanno discusso non solo del riscaldamento globale, ma anche di altre questioni come le navi sommerse negli Stati Federati di Micronesia e gli effetti dei test nucleari statunitensi nelle Isole Marshall, che nel 1952 hanno portato alla distruzione dell’isola di Elugelab. I leader del forum si sono messi d’accordo per coordinare gli aiuti internazionali alle popolazioni delle isole e perché gli stati colpiti continuino a fare rimostranze ufficiali e richieste alle nazioni che hanno lasciato dietro di sé questi problemi nel Pacifico. Il comunicato del forum ha anche auspicato il ritorno della democrazia e il ripristino dei diritti umani nelle isole Fiji, che nel 2009 sono state sospese dal Pif dopo che il regime militare si è rifiutato di tenere le elezioni a seguito del colpo di stato del 2006.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/10/riscaldamento-globale-nuovo-allarme-a-rischio-le-popolazioni-del-pacifico/156635/
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