Rossella Anitori
SALUTE. Le imprese che producono generi alimentari nel Lazio nell’occhio del ciclone. Il presidente regionale dei Verdi Bonessio: «Vogliamo sapere come la Regione intende aiutare le industrie ad approvvigionarsi di acqua potabile».
Il ciclone arsenico è in arrivo. Nel Lazio sono oltre cinquemila le imprese a rischio. Senza contare i punti vendita: ristoranti, bar, panifici e pasticcerie. L’acqua è un elemento essenziale nella cucina, e se è inquinata rischia di contaminare il cibo. Lo ha detto la Commissione europea, lo ha ribadito il ministero della Salute, l’ha confermato la Regione Lazio. Le imprese alimentari non possono utilizzarla se la concentrazione di arsenico è superiore a 10 microgrammi per litro. «È un elemento cancerogeno certo» ammonisce l’Associazione italiana medici per l’ambiente, «e la sua assunzione cronica è responsabile di patologie cardiovascolari, neurologiche, tumorali e disturbi della sfera riproduttiva». Un rischio che aumenta se si tratta di neonati, bambini al di sotto dei tre anni e donne in gravidanza. Merendine, gelati e biscotti vanno passati allo scanner.
Non c’è tempo da perdere. «Bisogna passare dalle parole ai fatti» dice il presidente regionale dei Verdi Nando Bonessio, che fa appello alla giunta regionale: «Vogliamo conoscere i piani di rientro, tempi, investimenti e cronologia delle opere. Ci preme sapere come la Regione intende aiutare le imprese ad approvvigionarsi di acqua potabile per produrre generi alimentari, nel rispetto del diritto alla salute dei cittadini e degli standard occupazionali che le aziende garantiscono». A reclamare l’intervento delle istituzioni è anche Giuseppe Cappucci, segretario generale della Cgil per il comprensorio di Pomezia, Colleferro, Subiaco e la zona dei Castelli romani, tra le aree più colpite dal problema. «È da più di un anno che, in previsione di quel che sarebbe potuto accadere, chiediamo alla Regione Lazio un tavolo istituzionale con i sindaci delle città maggiormente coinvolte, le associazioni di rappresentanza, per evitare pesanti riflessi sull’occupazione. Purtroppo la nostra richiesta non è mai stata raccolta.
La Regione Lazio è stata insensibile a questo nostro appello. Sul territorio non ci sono solo grandi industrie alimentari – continua Cappucci - ma tantissimi panifici, punti vendita, ristorazione». In ballo ci sono due questioni fondamentali: la sicurezza alimentare dei cittadini e la difesa del lavoro. «L’industria agricola e quella alimentare sono settori nei quali salute e occupazione sono legati in maniera strettissima, e noi come sindacato ci sentiamo investiti dal dovere di tutelare entrambi gli aspetti. Per questo è necessario un tavolo che veda tutte le istituzioni e gli enti impegnati insieme. Ugualmente importante è che l’Istituto Superiore della Sanità, l’Agenzia per la sanità pubblica e lo stesso Ministero si attivino per uno studio epidemiologico, volto a capire il reale impatto sulla salute dei cittadini, non certo per creare ulteriori allarmi ma per informare la cittadinanza e attivare tutte le misure di prevenzione».
http://www.terranews.it/news/2011/08/arsenico-5mila-aziende-rischio
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