VENERDÌ 04 GIUGNO 2010 14:22
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http://www.latina24ore.it/latina/6812-rapporto-ecomafie-a-latina-situazione-allarmante.html
Legambiente ha diffuso il Rapporto Ecomafie 2010. "Allarmante la situazione del Sud Pontino - scrive Legambiente - la Provincia di Latina è al terzo posto in Italia per le illegalità nel Ciclo del Cemento e le Agromafie spadroneggiano al Mercato ortofrutticolo di Fondi. A rischio prescrizione il processo di Viterbo per traffico illecito di rifiuti nelle cave di Cinelli (Vetralla), Capranica e Castel S. Elia. A fine giugno si dovrebbe aprire il processo per i reati nella Valle del Sacco".
Il Lazio scala la triste classifica delle illegalità ambientali di ben tre posizioni e sale sul podio passando dal quinto al secondo posto: è questo il dato eclatante del rapporto redatto come ogni anno elaborando i dati delle forze dell’ordine.
Il Lazio finisce per “accogliere” perfino rifiuti pericolosi e cancerogeni come l’amianto provenienti dalla Sicilia. È accaduto il 7 agosto 2009, quando gli uomini del Noe di Roma hanno eseguito nove misure cautelari personali emesse dal gip del tribunale di Velletri, bloccando un traffico di amianto proveniente soprattutto dal sito di bonifica di interesse nazionale di Milazzo (Messina). Teatro dell’operazione la discarica di Pomezia, idonea a riceve soltanto amianto compatto, mentre vi erano finite circa un milione di tonnellate di fibra friabile provenienti dalla ex Nuova Sacelit di Milazzo. Ma il territorio della regione Lazio si è trovato, nel corso del 2009, anche al centro di inquietanti rivelazioni di pentiti di camorra e di mafia che indicano la provincia di Latina come sversatoio di rifiuti pericolosi e addirittura radioattivi. Nella prima metà del 2009, a maggio, sono tornate in primo piano le dichiarazioni rese nel 1993 dal pentito di camorra Carmine Schiavone, che aveva parlato di fusti tossici interrati dalla criminalità organizzata nella discarica di Borgo Montello, Latina. I magistrati pontini hanno trovato tracce di una notevole quantità di fusti contenenti rifiuti tossici derivanti da scarichi industriali di aziende del Nord Italia, interrati nell’impianto pontino all’inizio degli anni Novanta. A novembre, invece, sono arrivate le rivelazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti. L’ex ‘ndranghetista, ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha parlato di rifiuti provenienti dalle centrali nucleari, tirando in causa anche Latina e un presunto traffico che partiva dalla centrale nucleare di Borgo Sabotino. Fonti ha affermato, infatti, che il suo coinvolgimento negli smaltimenti illeciti è iniziato nel 1987 con 500 fusti andati in Somalia e 100 interrati in Basilicata. Il Lazio è teatro del disastro della Valle del Fiume Sacco. Il Sacco è avvelenato, colmo di una densa schiuma bianca, e avvelenata è anche la popolazione residente nell’area. L’11 marzo 2005, la situazione esplode e precipita nell’emergenza. I servizi veterinari della Asl di Colleferro pongono sotto sequestro il latte di un’azienda di Gavignano, perché conterrebbe il beta-esaclorocicloesano (β-HCH) che è un prodotto di sintesi del Lindano, un fitofarmaco bandito nel 2001 perché potenzialmente nocivo per la salute umana e animale e altamente inquinante. Il β-HCH ha una vita lunga, è solubile nei grassi e non può essere metabolizzato dal corpo umano. A essere posto sotto accusa è il foraggio irrigato con l’acqua del fiume Sacco, inquinata dagli scarichi della zona industriale di Colleferro. Dopo il sequestro si susseguono controlli dell’Arpa Lazio e dei Carabinieri e dalla fine del mese di marzo vengono bloccate la produzione di latte e la commercializzazione di bestiame provenienti da più di quaranta aziende di nove comuni della Valle del Sacco, nelle province di Roma e Frosinone. A fine giugno si dovrebbe aprire il processo. Roma e il Lazio partecipano anche alla guerra in atto nel racket dei rifiuti. Uno stillicidio di atti intimidatori, dal nord al sud del paese, dove appare fin troppo evidente l’offensiva della criminalità organizzata per accaparrarsi quanti più possibili appalti e subappalti. Un’escalation di episodi di cronaca nera che spesso vede prese di mira aziende che si occupano di autodemolizioni, finite in tutta Italia al centro di numerose inchieste sui traffici illeciti di rifiuti costituiti da parti di autovetture rottamate, come il car-fluff (ciò che rimane delle autovetture dopo la demolizione). Il 12 maggio a Setteville di Guidonia (Roma) viene dato fuoco a tre compattatori nell’area adibita alle attività di raccolta, stoccaggio, selezione e riciclaggio delle cassette di frutta e verdura. Il 25 maggio a Roma, nel quartiere Appio-Tuscolano, viene dato fuoco alla sede della cooperativa sociale Ape Maia. L’incendio, sicuramente doloso (viene trovata una porta aperta e nei pressi una tanica con residui di liquido infiammabile), si è sviluppato nel locale adibito al riciclaggio di abiti usati. È sicuramente doloso l’enorme incendio che il 12 luglio scorso avvolge un autodemolitore a Roma, in via dell’Almone, nel quartiere Appio Latino, sul margine del parco regionale dell’Appia Antica. Le fiamme distruggono più di mille auto su un’area di oltre 20 mila metri quadri. Il deposito è della Romana recuperi, che ha un contratto con il comune per il recupero delle auto abbandonate nella capitale. E non si fermano gli incendi agli autodemolitori nell’area romana. Il 21 luglio le fiamme colpiscono un impianto a Vermicino. Il 23 luglio un altro proprio a Roma, in via del Forte di Pietralata. Tre incendi in dieci giorni fanno sospettare agli inquirenti l’esistenza di un racket della demolizione. Il 15 settembre le fiamme tornano a colpire un autodemolitore di Roma, quello in via di Centocelle. All’inizio del 2010, sabato 2 gennaio, scoppia un nuovo incendio a un autodemolitore di Roma, in via del Foro Italico. È l’ennesima prova del racket nel settore.
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