venerdì 2 ottobre 2015

Altro che Volkswagen: il vecchio trucco “K” - in Italia per gli inceneritori va di moda il fattore “K”



 Nulla di nuovo sotto il sole. Le multinazionali non hanno mai amato mostrare i panni sporchi dei dati ambientali. Se negli Usa la Volkswagen usava moderne centraline, in Italia per gli inceneritori va di moda il fattore “K”. I dati sugli inquinanti spesso sono truccati, ma alla fine nessuno paga Le scintillanti multinazionali non amano mostrare a tutti i panni sporchi. Quando poi si tratta di noiosi dati ambientali, hanno una sorta di pudore irrefrenabile
C’era una volta il controllo ambientale. Una favola bella da raccontare la sera ai bambini, poco prima della nanna. “Non devi avere paura di quei fumi neri. È tutto sotto controllo”. Poi arrivò la Volkswagen, che in tedesco vuol dire “la macchina del popolo”. Pulita, pulitissima, in pratica un aerosol di aria di montagna.
Un software modernissimo, in grado di azzerare quegli antipatici dati sull’inquinamento, quei numeri che pesano i metalli, gli idrocarburi e altre schifezze in grado di ammazzare. L’importante, in fondo, era vendere bolidi per famiglie felici, pronte a scivolare sulle strade stringendo un volante nuovo di zecca.
Qualcuno negli Usa se ne è accorto, ed è arrivato lo scandalo.
Nulla di nuovo sotto il sole, in realtà. Le scintillanti multinazionali non amano mostrare a tutti i panni sporchi. Quando poi si tratta di noiosi dati ambientali, hanno una sorta di pudore irrefrenabile. Così avveniva con le automobili e così è avvenuto in passato con quei motori giganteschi che bruciano rifiuti. In Italia li chiamano amabilmente “termovalorizzatori”, nel resto del mondo più semplicemente inceneritori.
“Inquina come tre auto di media cilindrata”, spiegava qualche anno fa l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi presentando l’ultimo nato, l’inceneritore di Acerra. “È molto, molto, molto meno inquinante delle macchine diesel che passano per Firenze”, faceva eco Matteo Renzi nel 2007, quando, come presidente della provincia, propagandava la bontà degli inceneritori.

Ci sono rischi per la salute dei cittadini? “Il termovalorizzatore in quanto tale, è un normalissimo impianto industriale come tutti gli altri. Non c’è un nesso tra malattie mortali e termovalorizzatori. È molto, molto, molto meno inquinante delle macchine diesel che passano per Firenze”
Matteo Renzi, presidente della provincia di Firenze, 2007
(Video tratto dal canale youtube ufficiale di Matteo Renzi)
Veolia e il fattore “K”
“In cima alla piramide dei rifiuti ci sono le grandi imprese mondiali, come la Generale des Eaux”, raccontava nel 1998 un bizzarro personaggio, Guido Garelli, che amava presentarsi con il grado di Commodoro del Sahara Occidentale. Ha scontato una pena di 14 anni di reclusione e ai magistrati di Milano e di Asti ha raccontato molto sul mondo dei rifiuti, partendo dall’Italia e arrivando in Somalia.
Da anni la Generale des Eaux si chiama Veolia e di rifiuti se ne intende. In Italia oltre ai campus universitari, alla gestione dell’acqua a Latina, in Calabria e in Sicilia ha espresso una particolare vocazione per la monnezza. Per diversi anni Veolia ha gestito gli inceneritori di Gioia Tauro in Calabria, di Falascaia in Versilia, di Brindisi, di Potenza e di Vercelli, molti dei quali acquistati dalla società spezzina Termomeccanica. E non sempre le cose sono andate per il verso giusto.
I dati delle emissioni erano truccati, grazie alla correzione che veniva effettuata dagli operatori, tramite l’inserimento di un fattore di correzione “K” del valore di 0,01. Oggi quell’impianto è definitivamente chiuso, divenuto una sorta di monumento a quella gestione
Quando i tecnici mandati dalla sede di La Spezia del colosso parigino sono entrati negli impianti di incenerimento in provincia di Lucca, si sono accorti che qualcosa non funzionava. I dati delle emissioni erano truccati, grazie alla correzione che veniva effettuata dagli operatori. Un sistema intollerabile, ha scritto l’ingegner Rossi, cognome italianissimo ma datore di lavoro francese, che spiegava in un memorandum interno che era meglio ottimizzare quel sistema: “Si è rivelato necessario introdurre un nuovo artificio, al fine di poter mantenere l’impianto in funzionamento, consistente nel raccogliere i dati rilevati al camino e trasformarli, in modo continuo tramite l’inserimento del fattore di correzione (K) del valore 0,1”, scriveva Paolo Rossi nel 2008. Oggi quell’impianto è definitivamente chiuso, divenuto una sorta di monumento a quella gestione della vita tanto cara alle multinazionali dell’acqua, dei rifiuti e dei servizi. Il caso di Falascaia non è il solo.
Da Brindisi a Brescia, passando per Colleferro
Nel 2009 l’inceneritore di Brindisi, sempre gestito da Veolia, fu sequestrato dal Noe. Anche in quel caso il sistema di controllo delle emissioni aveva seri problemi, secondo le analisi dei carabinieri del Nucleo tutela ambiente. E accanto agli impianti i militari trovarono mille fusti di scorie non identificate, di cui non fu possibile capire la provenienza.
In provincia di Roma il taroccamento dei dati delle emissioni ha colpito i due impianti di incenerimento di un consorzio di comuni, Gaia, ora gestito dalla Regione Lazio. Sempre nel 2009 la procura di Velletri scoprì che i numeri mostrati sui monitor relativi ai valori degli inquinanti venivano manomessi da remoto in caso di sforamento dei limiti di legge. I cittadini che passavano davanti al comune, dove due display mostravano la situazione “in tempo reale”, respiravano contenti: nessun inquinamento, aria pura come in montagna. Tutto falso, secondo i magistrati. Un processo che però rischia di finire – come spesso avviene – per prescrizione.
Una nube nera fuoriesce dall'inceneritore di Brescia
Una nube nera fuoriesce dall’inceneritore di Brescia
A Brescia, dove brucia l’inceneritore più premiato al mondo, i tecnici dell’Agenzia regionale per l’ambiente nel 2009 effettuano analisi in proprio sui microinquinanti e rilevano emissioni di diossina dieci volte superiori a quelle certificate per anni dalla multinazionale A2A tramite l’Istituto Mario Negri di Milano. Nel 2012 poi, la fuoriuscita di una nube nera dal camino – fotografata dagli abitanti – solleva il velo su una serie di anomalie dell’impianto: i rilevatori in continuo di diossina, mai validati dall’Arpa, si spegnevano in caso di incidente, rendendo impossibile ogni monitoraggio. L’inchiesta della magistratura finirà due anni dopo con un’archiviazione.
Far finta di essere sani
La vera questione però è che cosa è accaduto dopo. Cosa sia successo quando l’ente governativo Usa ha scoperto il trucchetto della Volkswagen è ormai cronaca. L’azienda tedesca rischia la più pesante sanzione della storia dell’industria mondiale e, nello stesso tempo, è scattato un controllo a tappeto per l’intero settore automobilistico. Guai a barare da quelle parti. E cosa è accaduto in Italia quando i magistrati di Genova scoprirono il “fattore K” dell’ingegner Rossi? O quando i carabinieri del Noe fecero tana ai tecnici che manomettevano i dati ambientali a Colleferro? Nulla, praticamente. Forse qualche misera multa. Nessuno, ad esempio, ha avuto l’idea di verificare a tappeto anche gli altri inceneritori. In Italia funziona anche un altro fattore. Si chiama “FF”, Farla Franca.

Redazione Toxicleaks http://toxicleaks.org/blog/2015/10/02/altro-che-volkswagen-il-vecchio-trucco-k/

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