IL VERDETTO
Il vice presidente
Legnini si è mosso
subito dopo gli articoli
del Fatto, i tanti che
sapevano non avevano
mai fatto nulla
I SENTORI
Due pubblici ministeri,
la polizia giudiziaria,
l’avvocatura dello
Stato e il presidente
abruzzese D’A l fo n s o
erano informati
di Antonio Massari
P
arole. Voci di corridoio.
Il temutissimo
chiacchiericcio.
E così si scopre che
persino al Csm, al suo vicepresidente
abruzzese Giovanni
Legnini, tra il dicembre
2014 e il gennaio 2015, a cavallo
della sentenza, arrivano
le voci sull’assoluzione per gli
ex tecnici Montedison e i
chiacchiericci sulle anomalie
del processo. Le voci solitamente
sono accompagnate da
volti, nomi e cognomi, talvolta
documenti e persino tesserini
d’un qualche ordine. Ma,
fintanto che restano voci, un
vicepresidente del Csm che
può farci? Niente.
SE NON C’È NEANCHE uno
straccio di esposto, l’ombra di
una nota firmata, Legnini con
tutte queste voci, che ci può
fare? Niente, ci fa. Poi arriva il
13 maggio: il Fatto Quotidiano
rivela le presunte pressioni
sulle giudici popolari della
Corte d’Assise. E il Csm – che
questa volta è in condizioni di
agire - avvia immediatamente
una pratica per fare chiarezza.
È un gesto che a Legnini deve
essere riconosciuto. Nel pomeriggio,
a poche ore dalla
pubblicazione del nostro articolo,
previo riscontro con l’av -
vocatessa dello Stato Cristina
Gerardis, che conferma gran
parte di quanto abbiamo scritto,
la pratica al Csm è già stata
avviata.
Le voci giunte al Csm restano
però una notizia, perché a noi
sembra importante raccontarla
tutta, la storia che gira intorno
alla sentenza di Bussi,
incluso chi ha registrato nel
tempo – attraverso voci, fonti
dirette o indirette – le eventuali
anomalie che l’hanno
contraddistinta. Il motivo è
semplice: gran parte delle persone
che hanno avuto il sentore
di qualche anomalia appartengono
allo Stato. Ma fino
al 13 maggio – salvo smentite
– lo Stato è rimasto ufficialmente
in silenzio. È il 13 maggio
che quelle voci, quel chiacchiericcio,
si trasformano finalmente
in una notizia. Quella
notizia aveva una firma: la
nostra. E così interviene il
Csm e persino la procura di
Campobasso, che sta indagando,
e l’altro ieri ha sentito per
ben sette ore, come persone
informate sui fatti, i due (a nostro
avviso ottimi) pm che sostenevano
l’accusa contro la ex
Montedison, Giuseppe Bellelli
e Anna Rita Mantini.
S ECO N D O le testimonianze
raccolte dal Fatto Quotidiano e
dalla procura di Campobasso,
però, anche i due pm appartengono
alla lista di coloro che
avevano saputo, ben prima
della sentenza, che si andava
verso l’assoluzione. E l’aveva -
no anche detto in giro, come
vedremo. L’abbiamo scritto
due giorni fa ma gli abruzzesi
– tranne i lettori del Fa t to - non
lo sanno perché - a parte l’in -
formatissimo quotidiano on
line primadanoi.it - né il Ce n t ro
né il dorso locale del Messag -
g e ro hanno ritenuto di diffondere
la notizia. Che pure - considerato
il sospetto di una sentenza
viziata da pressioni, considerato
che riguarda la più
grande discarica abusiva d’Eu -
ropa, considerato che stiamo
parlando di falde acquifere inquinate
che danno da bere a
circa 700mila persone – forse
ha la sua importanza e non
soltanto in Abruzzo. Sarà un
caso, ma il silenzio è calato
quando il Fatto Quotidiano –
senza essere smentito – che ad
essere al corrente delle “ano -
malie” sul processo c’era anche
un altro uomo dello Stato:
il presidente della Regione
Abruzzo, Luciano d’Alfonso,
ripetutamente (e inutilmente)
contattato dal Fa t to per avere
una conferma o una smentita.
A oggi non ha mai smentito.
Due giorni fa, abbiamo aggiunto
che – in base a più fonti
anonime che abbiamo riscontrato
- fu proprio d’Alfonso ad
avvertire i due pm, prima della
sentenza, che sul processo gravavano
delle anomali. Ora però
immaginate questa scena,
che il Fatto quotidiano può rivelare
con nuovi dettagli. Siamo
a dicembre e i pm dell’ac -
cusa, avendo saputo che la
sentenza è in qualche modo
già scritta e si va verso l’as -
soluzione, incontrano, in
compagnia di un agente di polizia
giudiziaria del corpo forestale
dello Stato, sia l’avvo -
catura dello Stato, sia altre
parti civili. E dinanzi a tutti
dichiarano: “Si va verso l’as -
soluzione”. Guardatela questa
fotografia: c’è tutto lo Stato!
Due pubblici ministeri, la polizia
giudiziaria, l’avvocatura
dello Stato: tutti hanno notizia
che, nel processo, c’è qualche
anomalia. Aggiungiamo che le
voci raggiungono persino il
Csm e c’è da chiedersi, davvero,
chi altri possa mancare
all’appello. Fin qui siamo alla
vigilia della sentenza. E dopo?
E quando – come da profezia -
i 19 ex dirigenti Montedison
vengono assolti dal reato di
avvelenamento delle acque,
quando viene prescritto il reato
di disastro ambientale, derubricato
da doloso in colposo,
che accade? Si scopre che le
giudici popolari, durante una
cena in pizzeria, erano state
edotte dal presidente della
corte d'assise, Camillo Romandini:
se avessero condannato
per dolo, e poi la sentenza
fosse stata ribaltata in appello,
avrebbero rischiato pagare
danni fino al punto di perdere
i propri beni personali. Non
rivelerò la fonte, ma vi assicuro
che non era un segreto,
poiché fu qualcuno a mettermi
sull’avviso e, incontrando
le giudici popolari, si scopre
che – addirittura! - avevano
predisposto un esposto da inviare
al Csm, per rappresentare
tutta la loro frustrazione
nel non aver letto gli atti e, soprattutto,
per la discussione
avvenuta durante la cena in
pizzeria. Poi qualcuna, tra le
giudici, si tirò indietro e non se
ne fece più nulla. E non dimentichiamo
che in quanto
giudici – sebbene popolari –
rappresentano lo Stato anch'esse.
Il Fatto Quotidiano ha riportato
le loro testimonianze e
sono finalmente intervenuti il
Csm e la procura di Campobasso.
Resta ancora un vuoto
da colmare, però. Non abbiamo
letto una sola intervista a
d’Alfonso, una sola domanda
sull’argomento, nessuno che
gli abbia chiesto se è vero o e
falso quello che abbiamo scritto,
nessuno che gli abbia chiesto
se davvero sapeva in anticipo
della sentenza, nessuno che gli abbia chiesto nome e
cognome di chi – eventual -
mente – gli avesse fornito la
notizia. Come se la parola
Bussi, ormai, sia stata essa
stessa derubricata: Bussi, ex
discarica, ora seconda persona,
modo imperativo, del verbo
bussare: bussi. E noi continueremo
a bussare, questo è
certo.
Nessun commento:
Posta un commento