venerdì 1 maggio 2015

L’ALTRO PRIMO MAGGIO TARANTO, LAVORO E VELENI

 VENERDÌ 1MAGGIO 2 01 5VIVERE SOTTO L ’I LVA A Taranto si svolge l’altro Primo Maggio. Una fe- sta di chi non si piega al ricatto: sopportare l’in- quinamento pur di avere uno stipendio. La festa per chiedere legalità e una classe dirigente nuova
I 7 peccati della politica a ss e r v i t a . Destra, sinistra: sempre regali
di Giorgio Meletti Nel giorno della Festa del Lavoro, Taranto è il no- stro simbolo dei mille luoghi dell’Italia indu- striale dove una classe dirigente indegna del suo nomeha fattola festaal lavoro.La cosa più odiosa è l’arroganza con cui spiegano che non c’è futuro per l’acciaio a una co- munità a cui essi stessi –o i loro padri o i loro padrini –assegnarono quel lavoro e quella identità.Oggi, donneeuomini diTaranto, si sentono dire che quel lavoro e quella iden- tità sono un vizio assurdo, un’insopporta - bile pretesa. E che la crescente miseria che li assedia è affar loro. Se la sono cercata. La più grande acciaieria d’Europa fu portata a Taranto come una promessa di prospe- rità. La scelta tra lavoro e salute è stata a lun- gosottintesa, primadidiventare ricattoin- derogabile. E il lavoro con una mano veniva donato e con l’altra rubato. Politici, sinda-
calisti,boiardidi Stato,imprenditoriema- nager privati: tutti hanno fatto la loro parte. Quando l’Ilva era statale, fino al 1995, l’han - no usata come bancomat: politici e sinda- calisti scaldavano all’altoforno le loro clien- tele;i boiardieseguivanogliordini dichili aveva nominati per meritare nuovi e più lu- crosi incarichi; le imprese private si rifor- nivano di ottimo acciaio (perché a Taranto lo hanno sempre saputo fare) a prezzi di sal- do. Tanto qualcuno avrebbe pagato. E in- fatti ha pagato il lavoro di migliaia di operai e tecnici capaci e onesti, che per anni si sono spezzati la schiena, per sé e per i furbi, e per i portaborse stipendiati dall’Ilva.
FINCHÉ UN GIORNO gli stessi che si erano spolpati per bene l’acciaieria hanno detto che bisognava privatizzare di corsa: la ge- stione pubblica dell’industria era inefficien- te. Certo, sapevano quel che dicevano. Han- no regalato l’Ilva a un amico di Silvio Ber- lusconi, Emilio Riva, acui per pagarla sono bastati i primidue anni di profitti.Riva l’ha
spolpata a modo suo, pa- gando i politici perché fin- gessero di non vedere che non investiva più un euro, mentre i profitti si gonfiavano e volavano in Svizzera. Per vent’anni, Riva ha sfidato la giustizia, scrollando le spalle davanti al- le condanne per inquinamen- to. Sindacalisti sordi e ciechi, politici muti, economisti a getto- ne, tutti inginocchiati, spacciava- no per lungimirante e saggio il ce- dimento al ricatto: o così o la miseria. Mentre facevano la festa al lavoro, non un uomo della cosiddetta classe dirigente ha fiatato, sapendobenissimo che sarebbe finita male. Oggi supertecnici con m a s te r in vigliaccheria si chiamanofuori: facciamo il possibile, ma èandata male e nonè colpa di nessuno. A pagare sarà Taranto. Lasciata so- la a difendere, e oggi a festeggiare, il lavoro che le stanno rubando.
il fatto quotidiano 1 maggio 2015

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